Allo scrittore siciliano Andrea Giostra il prestigioso “Premio della Giuria Narrativa Inedita” della Toscana. L'intervista di Fattitaliani

Incontriamo oggi, ospite per la nostra intervista, lo scrittore palermitano pluripremiato, Andrea Giostra. Che dire di lui, se non che è un autorevole, stimatissimo ed edotto personaggio dell’ambiente culturale? Iniziamo dunque con l’enunciare, per chi non lo conoscesse, le sue attività principali.
È writer di innumerevoli testate giornalistiche sulle quali pubblica le sue recensioni di arte ed eventi artistici, tra cui la prestigiosa testata “Artribune”, ma non solo. Andrea essendo anche appassionato di cultura, propone le sue recensioni di film e libri con una puntualità impressionante che impreziosisce ed incuriosisce sempre la lettura del fortunato interlocutore, spingendolo senza dubbio, ad approfondire la scoperta del film o del libro da lui proposto. Un suo saggio, scritto a più mani, sugli “Internet Haters e Trolls” è inserito nella bibliografia della voce “Troll (Internet)” di Wikipedia. Abbiamo detto che è uno scrittore pluripremiato; al suo attivo ha infatti diversi libri e saggi tra cui “Novelle brevi di Sicilia” (2017) per il quale lo scorso 25 novembre è stato premiato dalla Giuria Lombarda del “Premio Letterario Milano International”, con la “Targa Milano International”. Ancor prima ha ricevuto un altro prestigioso riconoscimento nell’ambito del “Premio Letterario Nazionale L’anfora Di Calliope” di Erice per la sua instancabile attività professionale, culturale e sociale, che svolge da oltre vent’anni nell’amata sua terra: la Sicilia. Poiché parliamo d’amore, giungiamo a questo ulteriore prossimo riconoscimento per “Mastr’Antria e altri racconti”, un libro, potremmo dire, dedicato alle varie sfaccettature dell’amore, che la giuria del “Concorso di Letteratura a Carattere Internazionale Città di Pontremoli” ha premiato assegnando ad Andrea Giostra il più prestigioso dei premi letterari del concorso ovvero il “Premio della Giuria Narrativa Inedita”. Il libro, infatti, ancora non è stato pubblicato, ma già da diversi critici letterari e lettori che hanno avuto modo di leggerlo, ha riscosso grande plauso. Diamo dunque il benvenuto ad Andrea Giostra e non senza un pizzico di emozione da parte mia, per avere oggi qui con noi una così autorevole voce culturale della Sicilia.
Ciao Andrea, benvenuto e grazie per l’averci dedicato oggi il tuo tempo qui con noi ed i nostri lettori. Il 12 aprile scorso la Giuria del Concorso di Letteratura a Carattere Internazionale Città di Pontremoli 2018, ti ha comunicato l’assegnazione del prestigioso Premio della Giuria che ritirerai il 6 maggio prossimo in Toscana, indiscussa culla e patria della lingua italiana. Cosa ci dici in proposito?
Intanto un saluto ai tuoi lettori e grazie a te Ester per la tua intervista e per la bellissima presentazione che hai fatto.
Per quel che riguarda il premio, voglio ringraziare pubblicamente la Prof.ssa Rina Gambini, Presidente della Giuria del “Concorso di Letteratura a Carattere Internazionale Città di Pontremoli”, che il 12 aprile scorso mi ha gentilmente scritto per comunicarmi la decisione della Giuria del Premio di Pontremoli che ha assegnato all’unanimità alla raccolta “Mastr’Antria e altri racconti” il “Premio della Giuria Narrativa Inedita”.
Poi voglio dire che da siciliano, quale sono visceralmente, considero questo Premio un grandissimo riconoscimento per la Sicilia e per la sicilianità, per almeno due motivi: il primo perché la Giuria è composta da importantissime personalità della cultura e della letteratura della regione Toscana, terra madre indiscussa della lingua italiana e al contempo terra che ha l’onere di conservare e promuovere, in particolare con l’Accademia della Crusca, la purezza della nostra madre lingua; il secondo motivo perché i racconti sono scritti con una struttura dialettale, quella siciliana appunto, ovvero, con intere parti che usano il dialetto parlato, incomprensibile ai non-siciliani… tanto è vero che il racconto “Mastr’Antria”, ultimo degli otto racconti della raccolta, dopo la prima stesura in vernacolo, l’ho dovuto “tradurre” in italiano proprio perché incomprensibile ai miei Reader Influencer non siciliani, che sono i miei amici lettori che mi onorano del loro tempo per leggere in anteprima tutto quello che scrivo per poi essere pubblicato… in questa “traduzione” dal dialetto all’italiano, ho però lasciato la cadenza discorsiva, il ritmo e la musicalità proprie del mio dialetto. Ecco, da questo punto di vista considero questo riconoscimento di grandissimo valore proprio perché la Giuria ha apprezzato la narrazione nella mia lingua, il dialetto siciliano. Il rischio che percepii al momento di partecipare a questo concorso, fu proprio quello che all’interno di standard concorsuali “ortodossi”, che devono ovviamente privilegiare la correttezza e l’eleganza della lingua italiana, il mio modo di scrivere “da strada”, “volgare” se vogliamo, sarebbe potuto apparire come una incapacità dell’autore di scrivere in perfetto italiano, ovvero, sarebbe potuta essere vista come una “frittata” o un “omogeneizzato” di lingue tale da rendere la lettura astrusa e incomprensibile a lettori non siciliani, e a maggior ragione, a lettori della regione Toscana che storicamente è la madre della nostra lingua madre.
Andrea tu hai un amore viscerale per la tua terra, la Sicilia, che promulghi attraverso le tante tue attività quotidiane, e che forse ancor di più hai potuto apprezzare nel periodo in cui hai vissuto all’estero, comprendendone appieno la ricchezza. Rammentiamo ai nostri lettori che sei, fra l’altro, laureato in Psicologia Clinica con lode, con tesi di laurea preparata all’Università di Gent (Belgio), all’interno di un progetto di ricerca scientifica della Faculty of Psychology and Educational Sciences. Ti chiedo da cosa è stata dettata la scelta di scrivere una raccolta di racconti, in gran parte scritti in dialetto siciliano alternato all’italiano?
Il mio scrivere in questo modo, non è mai stato una scelta pensata, ragionata. Scrivo come penso le scene che voglio descrivere, di getto, senza pensare troppo. È come se ricordando delle scene vissute o osservate, ascoltassi le voci dei miei protagonisti che cerco di fissare con la scrittura. Sono le voci dei personaggi delle mie storie, che ho conosciuto direttamente, del presente o del passato, tutti reali, mai inventanti, e li sento come uno spettatore che li osserva e al contempo che scrive quelle scene. Qualche volta sono personaggi che hanno la struttura propria della “condensazione onirica”, come si direbbe in psicoanalisi, ovvero, parti di alcuni personaggi che si sommano a quelle di altri facendone un unico personaggio della narrazione, del racconto. Il mio modo di scrivere è il linguaggio del quotidiano, è la parlata di strada, delle nostre case siciliane, delle piazze, dei bar, dei clienti di un solone da barba, per esempio, che aspettano il loro turno e parlano delle loro cose. È il modo in cui parliamo normalmente in Sicilia, a Palermo, nel mio paese di collina, Montelepre. Alterno il dialetto siciliano all’italiano. Ci sono delle frasi che si usano normalmente nella quotidianità siciliana, dei proverbi, dei detti, delle frasi fatte, insomma, tutte quelle cose che si dicono in dialetto in qualsiasi regione d’Italia e che danno una pregnanza di significato che secondo me è impossibile tradurre in un’altra lingua perché si perderebbe tutta la semantica di quella parola che racchiude la “saggezza” e la storia che ci sta dietro, quella sorta di legame indissolubile tra gli accadimenti narrati e le parole utilizzate che li identificano in quella particolare comunità, nelle borgate di Palermo, nei quartieri cosiddetti bene della città, nei paesini siciliani. Io tutto questo lo vedo come un doveroso rispetto linguistico-culturale. Di riverenza verso una cultura popolare, quella che si tramanda di padre in figlio, di nonna in nipote, che la cultura dominante in Italia, negli ultimi settant’anni, ha cercato di cancellare, di distruggere, di annullare, con una miopia formidabile e con una “intolleranza” sorprendenti e inconcepibili dal mio punto di vista. È come se cancellando una lingua, un dialetto, delle espressioni e dei modi di dire, si volesse cancellare una cultura, una tradizione, una storia, le vite dei nostri avi, dei nostri nonni, dei nostri padri. Per me è questo che è intollerabile, non certamente l’uso del dialetto siciliano, o di tutti gli altri bellissimi dialetti del nostro splendido Paese. Dialetti che sono stati mortificati da miopi supponenti che vedono nella “purezza della lingua italiana” la vera cultura, mentre tutto il resto è “volgare” e quindi da vergognarsi. Per me è molto importante la purezza della lingua italiana, ma è altrettanto importante mantenere e conservare nel tempo, come dei beni preziosi, i dialetti. Si possono parlare e scrivere entrambi senza alcuna difficoltà. Il dialetto siciliano ha una storia millenaria, come millenarie sono le storie di tutti gli altri dialetti italiani. E allora, perché cancellarli? Perché metterli al bando? Perché ritenerli volgari e da rifiutare? Io non trovo nessunmotivo intellettualmente onesto.
Detto questo, il mio scrivere, alternando siciliano e italiano, ha proprio questa spontaneità culturale che mi appartiene, che ripeto, non è pianificata ingegneristicamente. È la spontaneità che vivo quotidianamente nella mia città, nel mio paese, nella mia regione, quando parlo con i miei amici, con i miei familiari, con i miei compaesani, con i miei colleghi di lavoro, e con tutti coloro che utilizzano il dialetto insieme all’italiano nella vita di tutti i giorni.
Il tuo libro “Mastr’Antria e altri racconti” è una raccolta di otto racconti. La tua preparazione come psicologo clinico e come criminologo ha influito nell’osservazione e narrazione degli stessi? O meglio qual è il fil rouge, se c’è, che lega le varie storie, oppure ognuna è a sé stante?
Sono otto storie scritte in momenti diversi della mia quotidianità, nell’arco di poco meno di un anno, e raccontano tutti fatti realmente accaduti. Il filo conduttore è la sicilianità, la Sicilia, le sue maschere, i suoi personaggi, i costumi, i desideri… insomma, la vita che osservo della mia terra e dei suoi molteplici personaggi. È chiaro che il mio modo di osservare le cose del mondo che vivo è frutto di tutto quello che ho letto, di quello che ho studiato, di quello che ho imparato, delle mie esperienze di vita, della mia formazione professionale e accademica. È frutto di quel sub strato culturale che vale per tutti quando vogliono esprimersi ed esprimere le loro emozioni o i fatti che vogliono raccontare o semplicemente confidare ad un amico, ad un familiare. Se guardo retrospettivamente ai miei studi e alle mie letture da questa prospettiva, allora è chiaro che c’entrano, ma non è determinante rispetto alla mia sensibilità narrativa ovviamente. Quella è unica e irripetibile in ognuno di noi, in ogni essere vivente.
Parliamo un po’ di te Andrea, so attraverso le diverse tue interviste, ma anche direttamente da te, che hai una passione in particolare per la letteratura russa, e specificatamente per Fëdor Michajlovič Dostoevskij, che non da meno in alcune teorie psicoanalitiche ispirò Sigmund Freud, padre della psicoanalisi. So che hai letto, tra i romanzi di Dostoevskij, “Delitto e Castigo”, da te definito crudele e mistico insieme. Queste letture, in cui si può scorgere il travaglio interiore del protagonista descritto in modo superbo, hanno in qualche modo influenzato il tuo modo di scrivere?
Da adolescente liceale ho iniziato a leggere Dostoevskij, poi all’università ho dovuto studiare Sigmund Freud che mi ha letteralmente catturato, dopo la prima fase di necessaria incomprensione dei suoi modelli interpretativi e delle sue teorie psicodinamiche. Freud non è un romanziere, non è un novellista, e secondo me, alla luce dei miei studi, non è un autore che si può leggere come si legge un romanzo o un saggio qualsiasi. Non è un autore per tutti. Il passaggio da Dostoevskij a Freud è notevole, un romanziere il primo, uno teorico-clinico il secondo. Le letture dei romanzi e dei racconti di Dostoevskij, e lo studio approfondito della psicoanalisi freudiana che ho fatto con l’aiuto del mio preparatissimo professore di psicologia clinica di allora, il prof. Lucio Sarno, mi hanno fornito gli strumenti clinici e interpretativi per comprendere e leggere meglio l’animo umano, l’intimità delle persone, capire cosa succede dentro quando c’è un agito di un certo tipo, un comportamento apparentemente incomprensibile ai più, cose di questo tipo insomma.
Dostoevskij e Freud hanno in comune soltanto l’oggetto dei loro scritti, il profondo dell’animo umano, l’inconscio se vogliamo dirla in psicoanalisi, con tutto quello che genere nella vita relazionale, sociale e quotidiana. Ma mentre il primo lo descrive nei suoi romanzi, il secondo cerca di comprenderne la struttura e le dinamiche per poi intervenire clinicamente per modificare lo stato psichico delle persone in cura perché stiano meglio, perché guariscano dai loro traumi, perché risolvano i loro conflitti interiori. Sono due approcci di studio e di osservazione completamente diversi, ma certamente complementari. Fatta questa breve premessa, non credo che queste letture e questi miei studi abbiamo a che fare con il mio modo di scrivere. Almeno questo è quello che io penso.
Molte persone pensano di essere o semplicemente “provano” a fare “gli scrittori” così, senza nemmeno la parvenza di volerlo diventare veramente un domani, quasi un vago tentativo. So invece che tu in cuor tuo aspiri profondamente a divenire uno scrittore riconosciuto e devo dire che a mio modestissimo parere ne hai tutte le qualità attraverso il tuo fluido modus narrativo delle tue esperienze vissute o osservate in una sorta di forma catartica, termine che ti sento usare spesso. La strada di uno scrittore, quando percorsa in modo serio e soprattutto ai giorni nostri, spesso è in salita. Tu che ci dici in tal senso, cosa è per te la scrittura?
Per me scrivere è una forma molto potente per fissare la memoria, uno strumento per dare senso alle proprie esperienze di vita, ai propri pensieri, ai propri ragionamenti, ai propri vissuti, al proprio dolore o alle belle gioie vissute. Da questo punto di vista chi scrive e si narra, ha la possibilità di rileggersi e di rivedersi come allo specchio, quando ci si guarda attentamente e si scorgono le rughe e i segni dell’esperienza che segnano la nostra pelle. Questo processo consente a chi scrive di imparare dalla propria esperienza di vita e di metabolizzare i propri vissuti, positivi o negativi che siano. E tutto questo ha una poderosa azione catartica e di crescita personale ed emotiva. È in questo senso che quando ne parlo utilizzo il “processo della catarsi” di chi scrive per sé stesso o per gli altri. Un’azione per “eruttare” tutto quello che si deposita dentro la nostra anima che altrimenti rischia di implodere fragorosamente se non buttato fuori con coraggio. Da questa prospettiva, chi scrive non sbaglia mai secondo me, e non ha certamente intrapreso una strada errata. Anzi, ha avuto ilgeniodi tracciare su carta il proprio cammino e di poterlo interpretare per il significato che saprà dare. Questo indiscutibilmente gli consente una maturazione che nessun’altra forma di riflessione consente. Io ho sempre scritto per me stesso, per fissare la memoria e per portare fuori le mie pulsioni. Poi rileggo quello che ho scritto e vedo tutto da una prospettiva nuova, illuminante, che mi fa riflettere e che mi fa dare un senso nuovo alle cose che ho tracciato nero su bianco. Questo processo, e qui invece possiamo dirlo, come vale per me credo valga per tutti quelli che scrivono.
Per quel che riguarda invece la prima parte della tu domanda, diventare scrittori… bè, cosa significa diventare scrittori oggi io non lo so! Forse diventare un Dostoevskij, un Hemingway, un Tolstoj, un Dumas, un Pirandello, un Verga, un Manzoni, un Bukowski, un Roth… del ventunesimo secolo? Significa questo essere “scrittori”? Secondo me sì! Io, quando dico “scrittore”, non posso che pensare a questi grandi uomini della narrativa della cultura occidentale. Ci sono anche grandi contemporanei di questo secolo, è vero, ma nessuno di loro ha raggiunto quel livello. Ho citato solo alcuni di quelli che per me sono dei veri scrittori del passato, tranne Roth che è contemporaneo ma è un grandissimo riconosciuto da tutti… ce ne sono tantissimi altri del passato e del secolo scorso ovviamente… l’ho fatto solo per fare alcuni esempi, ai quali chi ambisce a diventare uno scrittore deve proiettarsi. Se l’obiettivo è questo, allora bisogna mettersi al lavoro seriamente e leggere leggere leggere, scrivere scrivere scrivere.
Per quel che mi riguarda, io per me utilizzo il termine anglosassone “writer” che ha una doppia accezione, “scrittore”, ma al contempo “chi scrive”. Mi vedo come “uno che scrive”, quindi “writer”, non mi sono mai sentito uno “scrittore” nell’accezione italiana più comune del termine, né a dire il vero aspiro a diventarlo perché so bene di non possedere il talento letterario dei “grandi scrittori” che ho citato prima come esempio.
Tornando all’amore per la tua terra, la Sicilia, sappiano che è un luogo di storia millenaria e al contempo ricco e generoso, anche nelle persone. Sappiamo tutti che il percorso per giungere ai traguardi importanti, proprio in Sicilia, spesso è tortuoso e molto duro. Forse per questo quando si riesce a realizzare un’opera nell’ambio della propria attività, da un punto di vista professionale, culturale, sociale, è molto più gratificante e pieno di significati emozionali. È davvero così anche per te Andrea?
È vero che emergere in Sicilia, o avere successo in Sicilia, così come in tutte le regioni del sud Italia, è molto ma molto più difficile che in qualsiasi altra parte del mondo occidentale. Non è un caso che tutti i grandi siciliani del passato e del presente, lo sono diventati solo quando hanno lasciato la Sicilia oppure quando sono stati grandi personaggi del nord, o di altre nazioni, a scoprirli e a farli uscire prepotentemente dall’anonimato e dalla omogeneizzazione di quella che in una bellissima metafora Andrea Camilleri definisce la siepe squadrata che deve rimanere sempre tale e quale, e che quando spunta un piccolo germoglio verde e vitale, allora arriva di corsa il giardiniere che zac, in un sol colpo di forbici taglia il ramoscello ribelle per riportare la squadratura del fogliame alla sua mediocrità estetica che non deve essere assolutamente compromessa alla vista dell’osservatore. Qui però il discordo diventa rischioso, complicato e complesso insieme, e il pericolo è quello di far apparire vittimismo quello che è invece un sistema storicamente consolidato che premia qualche volta la mediocrità tal altra, come direbbe Robert Musil, l’uomo senza qualità, proprio perché chi detiene il potere e vuole mantenerlo, suppone che persone con queste “virtù” siano più gestibili e manovrabili come un pupo del nostro geniale e straordinario concittadino Cuticchio. Fatta questa premessa, per rispondere alla tua domanda, dico che tutto quello che faccio nel mio lavoro e nella mia vita, cerco di farlo bene e ricerco esclusivamente una soddisfazione personale nel momento in cui ho terminato il lavoro che ho fatto, l’opera che ho realizzato spesso con i miei tanti collaboratori e colleghi. Se poi c’è il riscontro di altri, sono molto contento, se invece non c’è o c’è solo critica distruttiva come spesso accade in Sicilia, va bene lo stesso, non ne faccio più da tantissimi anni un dramma.
Qual è secondo te un buon modo per trovare ispirazione?
L’unico modo di trovare ispirazione è quello di cercare di capire cosa produce ispirazione in noi. Ognuno di noi è un essere unico e fatto in modo completamente diverso da ogni altro essere vivente. Omogeneizzare, per semplificare o facilitare le letture degli accadimenti della nostra mente, è un’operazione illusionistica e qualunquista. Ognuno di noi deve cercare di capire cosa gli procura piacere, emozioni, cosa lo porta a riflettere, a pensare, a ragionare, cosa gli procura vibrazioni nell’animo, nel cuore, nella mente. Quando avrà capito questo, allora potrà decidere se ricercare quelle emozioni per viverle con la massima intensità possibile. È questa l’operazione che bisogna fare. Se una cosa funziona con me, non è detto che funzioni con tutti gli altri esseri viventi. Anzi, non funziona proprio per nulla con altre persone. Chi cerca di trasmettere questa forma di sapere esperienziale autoreferenziato,“Questo è quello che mi ispira, e se ispira me, sicuramente ispirerà anche te!”, è semplicemente un egocentrico e narcisista che non vede oltre la sua persona e che ha una scarsissima considerazione delprossimo.
Abbiamo parlato di Andrea Giostra scrittore, ma nella vita quotidiana chi è Andrea, come ama trascorrere le sue giornate, il suo tempo libero? So che sei una persona riservatissima, ma vuoi svelarti un pochino per i nostri lettori?
Il mio lavoro non mi concede molto tempo libero. Il mio tempo “libero” lo impiego a fare le cose che amo fare, scrivere, leggere, guardare film, andare a qualche concerto, vagare per il centro storico della mia città col naso all’insù, vedere delle mostre che in questi ultimi anni a Palermo abbondano. Insomma, cose che credo facciano tutti nella loro vita quotidiana.
Nel ringraziare ancora lo scrittore Andrea Giostra per essere stato con noi oggi, per questa intervista, gli chiediamo di indicarci dove i lettori potranno seguirlo e senza meno, già lo so, senza poter sfuggire al fascino del suo sapiente e discorsivo scrivere.
Ti scrivo a seguire il link della pagina ufficiale Facebook della raccolta “Mastr’Antria e latri racconti”. Poi il link per leggere gratuitamente online la raccolta “Novelle brevi di Sicilia” del 2017, che potrebbe essere un bel regalo estivo “a costo zero” per i tuoi lettori e per tutti coloro che amano leggere. Poi tutti gli altri link che dovessero essere di interesse per chi leggerà questa intervista, dove si trova tutto quello che faccio nel campo dell’arte, della cultura e dello scrivere.
Grazie Ester per avermi chiamato e grazie per la tua interessante intervista.
Grazie infinite a te Andrea e ad maiora!
Pagina ufficiale Facebook di lancio della raccolta “Mastr’Antria e altri racconti”:
La lettura di “Novelle brevi di Sicilia” è gratuita da questo Blog:
Link di Andrea Giostra:
Ester Campese 
Fattitaliani

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