Paolo Battaglia La Terra Borgese, critico e curatore dell’arte, ci parla della sua professione. L'intervista

di Andrea Giostra.
 
Ciao Paolo, benvenuto e grazie per la tua disponibilità. Se volessi presentarti ai nostri lettori, cosa diresti di te quale critico d’arte?

La critica artistica, quella che tende alla valutazione ed alla esplicazione di un dipinto o di una scultura, prende avvio nel Seicento; ed ancora oggi giudica, con dati di ragione, per apprezzare i contenuti e misurare il valore delle opere. Ma è solo dagli anni Ottanta del secolo scorso che la critica considera pure la presenza dello spettatore non già come un dato casuale o secondario dell’esperienza artistica, ma come un motivo costituente. Ecco che oggi del linguaggio dell’arte - di una scultura, piuttosto che di un dipinto, o dell’architettura di un edificio – si riflette pure sul suo impatto psicologico, percettivo, ideologico, emotivo, estetico puro, e in uno temporale, e ciò diventa la ricca connessione di diversi elementi del gioco comunicativo: la critica dell’arte offre dunque una gamma di indicazioni efficacissime per inquadrare buona parte di quelle istanze percettivo-psicologico-sociologiche, e non avrebbe senso distinguere schematicamente tra forme estetiche e contenuti culturali. Il critico dell’arte è dunque un professionista, in genere anche scrittore, saggista e curatore, a cui si rivolgono gli enti pubblici e privati, gli editori e gli autori letterari, per consulenza, parere e testi; al suo studio si rivolgono anche pittori e scultori per quotazioni ufficiali, critiche d’arte, pubblicazioni, libri, bibliografie, mostre in enti pubblici e privati, o anche per veicolare l’acquisizione di loro opere nel patrimonio artistico di Enti Pubblici, o per comunicazioni stampa. Lo studio di un critico dell’arte si occupa anche di strategia ed organizzazione nei sistemi culturali pubblici e privati e della progettazione di mostre oltre che di intermediazioni culturali.

Ci parli dei tuoi ultimi lavori e dei lavori in corso di realizzazione?

Dal 2015, in qualità di consulente artistico del Sindaco di Castronovo di Sicilia, il dottor Francesco Onorato, curo la nascita del Museo Civico di Arte Contemporanea e Moderna di Palazzo Giandalia, e ne dirigo la piena attuazione prevista entro il prossimo mese di giugno 2018. Gli ultimi miei lavori, invece, riguardano testi, per autori ed editori, di cui si cedono anche i diritti di legge, e perciò non è possibile citarli. Posso però aggiungere che molti altri recenti lavori li ho svolti su mandato di pittori e scultori, si tratta di testi critici facilmente consultabili sul web, perché pubblicati da parecchie testate giornalistiche.

Se dovessi definire il critico d’arte, come lo definiresti per farlo comprendere a ragazzi appassionati d’arte?

Come il mediatore culturale: è un delegato bilingue, che media tra condividenti monolingue ad una chiacchierata di due collettività filologiche differenti.

C’è qualche critico del passato al quale ti ispiri?

Credo che la critica dell’arte debba ispirarsi esclusivamente alla storia della critica d’arte in generale e alla storia dell’arte tutta. Al contrario delle altre discipline, ho da ritenere che nella critica dell’arte un modello di riferimento tradirebbe il fine stesso della professione, che è quello di guardare un’opera e aggiungere all’impianto già esistente il proprio contributo critico, che deve essere sempre nuovo e diverso rispetto a quello già espresso dai Colleghi, arricchendolo.

Chi sono, secondo te, i più bravi critici nel panorama internazionale?

Bruno Munari, Artista e designer, nel 1971 scrisse la critica finta, quella che va bene per qualsiasi artista di qualsiasi tendenza ed epoca: ‹‹Con la sua personale tecnica e con un modo di esprimersi del tutto adeguato, attraverso segni, colori, forme e materie particolari, il Nostro ci propone, nelle sue opere, delle sensazioni elaborate secondo il suo schema, alle quali lo spettatore è libero di partecipare o meno. Il lungo e paziente lavoro, fatto sotto la guida spirituale del suo grande maestro preferito, giorno dopo giorno, nel segreto del suo luminoso studio al settimo piano di via Roma 18, lo ha condotto a queste inevitabili scelte. Le sue opere sono quindi il frutto prezioso di una ispirazione personale e di una esperienza che il Nostro ha dovuto farsi da solo, a tu per tu col mondo esterno dal quale capta il bene e il male. Non si può negare il valore artistico di queste opere proprio per le qualità specifiche che le formano. Ancora una volta il Nostro ci dimostra le sue qualità estetiche con rara coscienza ed esemplare equilibrio...››. Io, caro Andrea, aggiungo che i più bravi critici nel panorama internazionale aiutano invece la gente a capire, e a non mescolare falsi e buoni in un unico calderone. Essi svolgono il lavoro serio di una categoria socialmente valida.

E con chi di loro vorresti lavorare e perché?

Un critico lavora sempre coi suoi Colleghi, pur non conoscendoli, poiché nessun testo potrà mai intendersi quale lettura completa ed esaustiva di un’opera. L’arte è la società. È attraverso il segno che l’uomo si distingue dagli altri animali, è attraverso il segno che l’evoluto uomo tramanda la sua conoscenza. E qualunque opera, se d’arte, non si potrà mai finire di criticare, in quanto estrinsecazione estetica della conoscenza sensibile umana della scintilla divina che è dentro di noi, e non può esistere perciò nessuna esegesi indubbia.

Quanto è importante la critica d’arte per un’opera artistica?

Il testo critico serve all’artista per storicizzare il proprio nome, la propria firma, per focalizzare le aree dove lui eccelle e, di conseguenza, dedurre in quali altre migliorarsi. Serve a rassicurare chi compra l’opera, a fidelizzare i propri collezionisti e a trovarne di nuovi.  È un modo per dire “io ci sono” “si parla di me” “si continua, sempre, a parlare di me” “si studiano le mie opere”.

Chi sono, dal tuo punto di vista, i critici contemporanei più bravi?

È la storia – col senno del poi e con i suoi limiti - a decidere sulla bravura dei critici nella loro contemporaneità, posso pensare con piena convinzione a Baudelaire, una delle coscienze critiche più acute dell’epoca, anche per quanto riguarda le arti figurative. Ma ho detto prima che la critica, come l’arte più elevata, vivono necessariamente di diversi suggerimenti.

Come è nata la tua passione per l’arte?

Quando avevo nove anni: vedevo usare i pastelli ad olio - forse di marca tedesca e con un odore inconfondibile che saprei riconoscere ancora oggi - ad un mio compagno di scuola bravissimo che sapeva affascinarmi coi suoi paesaggi e i suoi castelli, un certo Giovanni Lembo, che morì quello stesso anno per leucemia. Da adolescente invece guardavo mia madre dipingere, e spesso mi capitava di assistere alla pittura di altri autori suoi amici. A 16 anni avevo notato che il quadro, che in qualunque modo è un complemento d’arredo, non era presente nei negozi di mobili e in quelli delle liste nozze, perciò decisi di fare business “speculando” su questa lacuna del mercato di allora. Per promuovere le mie vendite indagavo sull’arte e sulle motivazioni all’acquisto delle opere d’arte. Tuttavia, la mia “tenera” età e le mie poche competenze imprenditoriali decretarono il fallimento di un’idea tanto geniale quanto lungimirante, tant’è che oggi l’opera d’arte è presente nei negozi di mobili e di liste nozze. Ma ormai avevo preso il vizio dell’arte!

Cos’è oggi la “Critica d’Arte”? Perché, secondo te, oggi la critica d’arte è importante?

La critica d’arte è importante in quanto religiosità del dubbio. È la ricerca della verità. Ed è importante perché concede di poter vedere qualcosa oltre il firmamento stellato, oltre i pianeti e le stelle, oltre il pensiero e oltre la Vita. In sua assenza prenderebbe residenza il vulnus dell’humus.

Nel dialogo immaginato tra Ernest e Gilbert da Oscar Wilde nel suo saggio “Il Critico come Artista” (1890), nella parte introduttiva, si legge questo:
«ERNEST. Ma la critica è davvero un’arte creativa?
GILBERT. Perché non dovrebbe esserlo? Opera con materiali, e li mette in una forma che è nel contempo nuova e gradevole. … Davvero, amerei definire la critica una creazione entro la creazione. Perché proprio come i grandi artisti, da Omero a Eschilo, fino a Shakespeare e Keats, non ricorsero direttamente alla vita per il loro soggetto, ma lo cercarono nel mito, nella leggenda, e nella fiaba antica, così il critico tratta con materiali che altri hanno, per così dire, purificato per lui, e ai quali la forma immaginativa e il colore sono stati già aggiunti. Non solo, di più, io direi che la più alta critica, essendo la più pura forma di una impressione personale, è a modo suo più creativa della creazione, dal momento che ha minor riferimento a qualsiasi standard esterno a sé, ed è, infatti, la sua propria ragione per esistere, e, come asserirebbero i greci, in sé e di per sé un fine.»
Qual è la tua posizione rispetto a questa geniale premessa di Oscar Wilde? Cosa ne pensi in merito?

Dico che non bisogna mai perdere di vista quella luce indicata da Oscar Wilde, di cercare di guardare sempre nella direzione da cui proviene, perché quella è la luce della ragione critica in termini kantiani.

Un’ultima domanda Paolo: immaginiamo che ti trovi in un teatro, per esempio il Teatro Massimo di Palermo, per assistere a uno spettacolo che ha a che fare con il mondo dell’arte. Il conduttore è in ritardo e gli organizzatori, che tu conosci bene, ti chiedono di intrattenere per dieci minuti la folta platea composta da adolescenti appassionati di arte contemporanea e moderna. Cosa diresti loro, nei pochi minuti che ti sono stati concessi, per intrattenerli sul mondo dell’arte, per catturare la loro attenzione in attesa che arrivi il vero conduttore e dia il via allo spettacolo?

Direi loro di imparare ad ascoltare le voci smarrite e timorose di quegli uomini che con la loro arte cercano sicurezze nelle loro opere. Perché ne colgano quel messaggio d’Amore che tende a proporre soluzioni alle innumerevoli ingiustizie che pervadono la nostra società.

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Paolo Battaglia La Terra Borgese

Andrea Giostra
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