Al Teatro Golden di Roma, fino al 21 gennaio, il Recital “Non si butta via niente” che metaforicamente usa l’immondizia composta per lo più da cose inutili che acquistiamo compulsivamente quando abbiamo dei momenti di sgomento e poi tendiamo a buttarle quando stiamo meglio. In realtà è un’esortazione a non perdere la fiducia e a farci comunque sorprendere dalla vita.
Una squadra fortissima e molto affiatata, un trio rodato: Claudia Campagnola, Marco Fiorini e Marco Falaguasta ai quali si aggiunge Valeria Nardilli nel ruolo di una prostituta pensatrice che interpreta con grazia e senza volgarità. Guidati da una grandissima regista come Tiziana Foschi.
Diverte, si ride tantissimo, pur condividendo delle riflessioni sui nostri tempi, con gli spettatori. Ridere dei nostri vizi è l’espediente migliore per renderci conto di ciò che stiamo vivendo, sottolineando che non abbiamo più tempo per l’attesa, vogliamo tutto e subito. Attori eccellenti non deludono mai.
Negli anni 70, Pasolini aveva girato un documentario sullo sciopero degli scopini. Credo che da allora nulla sia cambiato. Il testo di “Non si butta via niente” usa l’immondizia come metafora della vita. Come nasce l’idea dello spettacolo?
Falaguasta: Credo che Pasolini abbia avuto le antenne del Genio, ha visto prima quello che sarebbe accaduto e quello che sarebbe rimasto. L’Autore è l’immortalità della tematica. Se pensiamo a quello che ha scritto Plauto, ancora oggi è contemporaneo. Lo spettacolo nasce da una considerazione apparentemente semplice ma solo apparentemente. Quando leggo del problema dei rifiuti c’è un po’ una tendenza della cronaca attuale, di parlare del problema ma non di parlare delle cause da cui esso scaturisce. Ci si focalizza sul problema da un punto di vista fotografico perché oggi la comunicazione è molto fotografica. Si parla di Termovalorizzatore, dell’inceneritore, della discarica, degli aiuti delle altre Regioni ma non si parla del perché produciamo tutta questa immondizia. Non sarà che forse compriamo troppo? Compriamo più di ciò che abbiamo bisogno? Non è che con un abile manovra comunicativa e psicologica ci stanno convincendo che abbiamo bisogno di tutto quando invece possiamo fare a meno di tante cose perché non servono al nostro tipo di vita?
Siamo costantemente bombardati dalla pubblicità mentre prima c’era solo Carosello?
Dire questo implica una riflessione, questa è una società che non è più abituata a riflettere perché va veloce, è una società a cui non è stato insegnato a rispettare i tempi di attesa. Una società che ragiona con lo stesso tempo della scrollata sul video del telefonino. Sono questi i tempi in cui noi ci siamo abituati a ragionare e quindi non aspettiamo più. Non abbiamo la pazienza di cercare la felicità ma ci accontentiamo di comprare oggetti e questo è uno dei motivi per cui abbiamo scritto il testo. Chi produce tutta questa immondizia, unita poi alla inciviltà? Si fa presto a deresponsabilizzare e dire che è colpa dell’Amministrazione Capitolina, il materasso vicino al cassonetto o il comodino non lo butta la Sindaca o l’Assessore alla Cultura ma ce lo buttiamo noi. Lo spettacolo è estremamente comico proprio per questo, mette alla berlina questi comportamenti che ognuno di noi ha e ci portano a pensare di autoassolverci perché tanto è colpa dell’altro. La differenziata è una scoperta geniale, veramente sarebbe un recupero ma noi speriamo sempre che la faccia li vicino perché farla è un impegno e tutto quello che impegna e che prevede utilizzo del tempo, lo fanno passare come qualcosa di dannoso, qualcosa che ci fa lasciare per strada opportunità invece di darcele. L’attesa invece è un momento importante che dà identità.
Contemporaneamente faccio anche il suo opposto perché sono una Signora della Roma bene che ha la compulsione di comprare qualsiasi oggetto e poi allo stesso modo, li butta. Usa e getta il più veloce possibile, senza ragionare. Faccio anche una bambina, una vecchietta e son tutti dei pretesti per raccontare delle cose comicamente ma non solo. Mi è stata anche affidata una scena poeticamente più impegnativa perché ad un certo punto c’è anche un siparietto hot cioè mi spoglio della tuta per ritrovare la sua femminilità. Intimamente è molto bello da fare. Sono molto contenta.
Valeria Nardilli: Ho anch’io tre personaggi, quello principale è una prostituta sui generis, un po’ bohemienne e un po’ alla Tim Burton. E’ siciliana, invece io sono romana. Mi è stato proposto di farlo in siciliano da Tiziana Foschi, l’ultima settimana di prove. E’ molto interessante perché colleziona aria e spinge la netturbina, interpretata da Claudia ad attivare un cambiamento ed ha a che fare con tutti. Marco Fiorini che fa il marito della signora che usa e getta in maniera compulsiva, dà anche a lui un cambiamento. Il fatto che sia una prostituta passa in secondo piano perché è molto riflessiva in alcuni contesti e che raggiunge degli obiettivi ben precisi, aiutando gli altri a capire delle cose. Interpreto anche una figlia adolescente dei giorni nostri ed una vegana rompiscatole. La cosa più importante è stata sperimentare diversi linguaggi.
Marco Fiorini: I miei più che dei personaggi, sono delle caratterizzazioni e bisogna venire a vedere lo spettacolo per capire. All’interno dello spettacolo ho il compito di caratterizzare delle scene che fanno da corollario al racconto portante di Marco. I vari personaggi che snocciolo all’interno dello spettacolo, servono a rendere ancora più fruibile il suo racconto, a farlo vivere, a dar vita a dei personaggi che lui evoca e a renderli vivi agli occhi del pubblico. Il mio ruolo è fatto di tante sfaccettature, di tanti personaggi diversi, molto simpatici e che il pubblico sembra gradire.
A proposito di pubblico, qual è la scena in cui si ride di più? Ce ne sono tante perché al di là della tematica che affronta con leggerezza e chi vuole si porta via un messaggio e anche degli insegnamenti, lo scopo è quello di far ridere la gente, dirti quale sia la scena più divertente è difficile perché sono veramente tante.
Claudia Campagnola: La comicità è su vari livelli, ci sono delle battute che hanno un tono più sofisticato, altre più grottesco e quindi le persone a seconda dei loro gusti, della loro Cultura, delle loro conoscenze, prendono poi varie scene su cui poter ridere. Una delle mie preferite in cui non sono in scena è quella del ristorante ed ogni volta rido tantissimo.
Marco Falaguasta: Il mio in realtà non è un ruolo perché non è una Commedia ma un Recital, ruolo che invece hanno i miei compagni di avventura perché loro interpretano degli sketch. Sono me stesso, Marco, un “Cantastorie” che scende da casa ed ha il problema di buttare l’immondizia ed ha tutti i dubbi che abbiamo ognuno di noi in relazione all’indifferenziata, all’organico e a tutto il resto. Attraverso l’immondizia che viene utilizzata attraverso il suo contenuto metaforico, racconto vizi e virtù di questi nostri giorni. Ho quindi il pretesto di parlare di queste nuove frontiere della modernità, la vendita on line, l’e-commerce, la sostituzione della Moka con la Nespresso. Racconto che i nostri tempi stanno cambiando all’insegna della rapidità, del tempo risparmiato e a mio giudizio, stiamo buttando in maniera compulsiva così come facciamo con tanti oggetti perché ne compriamo troppi e spesso anche di inutili, allo stesso modo bruciamo i rapporti interpersonali. Ormai la voglia di sacrificarsi in un rapporto sia esso sentimentale o di amicizia, per vedere se ci sono i presupposti per continuare nonostante la crisi, la divergenza, la nevrosi, non c’è più. L’abbiamo persa allo stesso modo di come quando un oggetto non funziona più, non si ripara ma si butta. Ci hanno detto che bisogna accelerare ma non sempre è un bene.
Com’è stato dirigere questi “Moschettieri”?
Tiziana Foschi: Difficile, sono subito entrata in analisi dopo questo spettacolo e ne pago ancora le conseguenze… Devo dire che sono veramente felice di fare questo spettacolo. Ha una definizione netta, chiara, dentro c’è la Commedia, il Cabaret perché Marco Falaguasta parla con il pubblico e rompe questa famosa quarta parete, tanto celebrata e lì parte un’altra dimensione dello spazio scenico, una sorta di riflessione continua che fa insieme agli spettatori sugli argomenti trattati e poi c’è lo sketch con la scenetta che mi è tanto cara anche perché venendo dalla Premiata Ditta ci ho vissuto per trent’anni di sketch e scenette e che sono delle parentesi che si aprono durante il racconto della Commedia e che percorre tutto lo spettacolo. È interessante inventare uno spazio scenico che possa diventare qualsiasi cosa e che improvvisamente apra al surreale o a qualsiasi tipo di rapporto con la parola e con il pubblico.
Hai parlato di parentesi che prima o poi si chiudono o che si trascinano nel tempo?
L’argomento principe del nostro spettacolo è quello che non si butta via niente, é la nostra inclinazione verso il consumo, come dice Marco nello spettacolo, cerchiamo di consolarci comprando cose e che viene comunque sollecitata da tutto ciò che abbiamo intorno e questa cosa non si chiude mai anche se cerchiamo di combatterla. Non si finisce mai d’imparare, sia di fare la differenziata sia a differenziare noi stessi secondo gli argomenti della vita, le nostre passoni, le nostre voglie, le nostre cose materiali che prima o poi ci seppelliranno.
Elisabetta Ruffolo
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