Al Teatro Marconi di Roma - fino al 7 gennaio - Testimone di Nozze con Siddhartha Prestinari, Felice
della Corte, Maria Vittoria Argenti, Massimo Ceccovecchi. Regia e adattamento
di Felice Della Corte e Siddharta Prestinari. Aiuto Regia: Rebecca Righetti.
Scene: Giulia Colombo. Costumi: Lucia Mirabile.
È Siddhartha Prestinari a prestare voce e volto
al personaggio di Lilly, fidanzata con Benny (Felice della Corte) e prossima alle nozze. La commedia mette in
risalto la caducità della coppia e dell’amore ed è ricca di colpi di scena. Il
tema è stato trattato spesso al cinema ed in televisione ma in questa commedia
offre maggiori spunti di riflessione, indagando maggiormente sui sentimenti e
su ciò che rende fragili uomini e donne nel rapporto di coppia.
Nella Commedia “Testimone di nozze” di Jean-Luc
Lemoin interpreti Lilly, che personaggio è?
Sono la futura sposa, sono fidanzata con Benny da
ben dodici anni e dopo aver rodato il nostro rapporto abbiamo deciso di
convolare a nozze. Pur essendo una coppia matura decidiamo di fare il grande
passo.
Perché perdi le staffe quando Benny
decide di invitare a cena Luca (Massimo Ceccovecchi) il testimone di nozze con
Elynea la fidanzata (Maria Vittoria Argenti)?
Mi arrabbio perché non sapevo
che lui fosse fidanzato di nuovo. Prima uscivamo in quattro con la sua
precedente fidanzata che era una mia carissima amica. Si erano lasciati due
anni prima della cena e lui aveva agito in malo modo, l’aveva fatta molto
soffrire. Questa cosa la tollero con grande fatica perché trovo che sia una
persona molto scorretta, impulsiva e poco sincera. Questo è il preambolo e quando
vengo a scoprire che è addirittura fidanzato e si presenta con questa
bellissima ragazza che potrebbe essere quasi la figlia, lì non ci vedo più.
Perdo totalmente il senso della ragione.
La tua carriera parte con la danza, sei
figlia d’arte e hai studiato mimo con Marcel Marceau che ricordi hai di
quell’esperienza?
Ho un ricordo molto bello, avevo dieci anni. Mia madre
aveva organizzato questo seminario e con lui c’era anche Lindsay Kemp che
faceva uno spettacolo a Montepulciano. L’avevo già conosciuto molto prima
perché mia madre era una sua allieva. Con me era molto tenero e in
quell’occasione quando ho studiato con lui aveva un particolare affetto nei
miei confronti perché ero abbastanza portata per l’arte del mimo e per lui da
bravo “nonno” vedere un giovane talento così curioso lo inorgogliva. Quando
andavo a vedere i suoi spettacoli ero sempre in estasi. Ho imparato l’arte del
silenzio anche grazie a lui.
La prima regola per un attore è la
naturalezza e la capacità di comunicare emozioni anche senza l’ausilio della
parola. Che ne pensi?
È la mia regola di base, l’ho imparata da mia madre,
da Maestri americani, da spettatrice, lavorando come coach, quando insegno a
giovani artisti o colleghi che si vogliono preparare. A mio avviso la parola è
bellissima ma se non è sostenuta dall’emozione è soltanto indicativa. Riuscire
a recitare un'emozione, la tensione, la gioia, il piacere, l’erotismo, il
silenzio, la comunicazione corporea, per l’attore è una grandissima possibilità.
“L’ho imparato da spettatrice”. Non pensi
che il pubblico sia abbastanza indisciplinato?
È vero, il pubblico è molto
indisciplinato nel seguire la storia, i personaggi, nell’arrivare in ritardo a
teatro. Spesso noi attori ci ritroviamo dietro le quinte ad aspettare gruppi
che stanno cercando parcheggio. È un’indisciplina che rasenta il paradosso.
Credo moltissimo nel teatro come specchio della società in cui si può ridere,
si può ragionare, si può semplicemente evadere. È un contesto molto utile per
crescere, per divertirsi e per confrontarsi. Diamo forza al Teatro.
Nel 1999 hai messo in scena “La voce
umana” di Jean Cocteau. Com’è nata l’idea?
L’idea è nata da mia madre che
mi ha diretto in questo testo che lei ha amato moltissimo. Stavo sperimentando
in maniera molto intensa tutto il lavoro del metodo che avevo fatto, è nato un
po’ per gioco e come il libro di cui porto il nome “Siddhartha” sono quelle
occasioni che ogni tanto nella vita ti si ripropongono e che mi piace
riconsiderare. L’abbandono di un amore a venti anni ha una forza, a quaranta ne
ha un’altra e probabilmente a sessanta, settanta ne ha un’altra ancora. È nato
come esperimento ed anche di quello ne ho un bellissimo ricordo.
Di recente hai condotto una Master Class
con il Metodo Strasberg. Cosa consiglieresti a dei giovani che volessero
intraprendere la tua carriera? Fortunatamente io lavoro tanto con Master
Class con attori giovani e colleghi. Il consiglio che posso dare a prescindere
dalle tante scuole che ci sono e non necessariamente la scuola che propongo io
che ho imparato da mia madre e da questi maestri americani, non è
necessariamente il verbo. Quello che dico sempre io è che un attore deve essere
curioso, deve essere una spugna, deve rubare. Ecco perché dico da spettatrice
perché io stessa lo sono tutti i giorni, nella metropolitana, alla fermata
dell’autobus, quando vado a teatro, quando sono alla Posta per pagare le
bollette. Ognuno di noi racconta delle cose ed ognuno di noi ha il dovere di
carpire tanti piccoli segmenti delle persone che gli stanno accanto. Archiviare
situazioni, ricordi, posture, emozioni, per poi proporle nei suoi personaggi.
Foto di Valerio Faccini
Elisabetta Ruffolo
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