Opera, alla Monnaie di Bruxelles un "Gallo d'oro" colorato, divertente, petulante, sinistro, mortale. La recensione di Fattitaliani

Il gallo d'oro è l'ultima opera di Nikolaj Rimskij-Korsakov composta di un prologo, tre atti e un epilogo con libretto di Vladimir Belskij. Il compositore pensava di aver datto tutto con la sua opera precedente La leggenda dell'invisibile città di Kitež e della fanciulla Fevronija, ma la situazione politica della Russia lo ispirò per comporre "una satira tagliente dell'autocrazia, dell'imperialismo russo e della guerra russo-giapponese".

E la presenza fisica e scenica del "Coq d'or", il grido continuo e ripetuto del suo Chicchirichì, le movenze, il colore rappresentano in pieno il significato che l'autore le ha attribuito e l'interpretazione che ne ha dato il regista Laurent Pelly.
È un gallo divertente che suscita simpatia al suo apparire; è un gallo che stuzzica il gioco quando lo si vede inseguito dai fedeli e dai figli del re; è un gallo che sembra invitare all'ossequio quando conforta il soprano e lo invita a riposare; è un gallo che diventa gradualmente petulante e insopportabile quando ammonisce e avverte dell'incombente pericolo.
Ogni elemento nella sua logica drammaticità diventa oggetto e motivo di ilarità: tutto è ribaltato. Ed ecco dunque che la musica diretta dal M° Alain Altinoglu ne accompagna le azioni marcandone l'assurdità: un re che cerca di governare dal suo giaciglio; i suoi figli che si disputano la mossa giusta per arginare e sconfiggere il nemico facendosi reciprocamente dispetti; un generale claudicante che di fronte a scelte e comportamenti indegni rimane inascoltato.
Questo è quello che voleva ritrarre Nikolaj Rimskij-Korsakov: sotto lo zar Nicola II la Russia combatté una guerra con il Giappone altamente impopolare tra i russi, e si risolse in un disastro militare e una disfatta per la Russia (nell'opera lo zar Dodon decide follemente di attaccare uno stato confinante provocando grave disordine e spargimento di sangue. Lo zar stesso dedica più attenzione ai suoi piaceri personali, e fa una brutta fine). I russi si lamentavano anche delle loro misere condizioni di vita e ciò portò alla rivoluzione del 1905...

L'opera perseguiva quindi l'intento di denunciare il disastroso regime zarista, e per questo fu immediatamente censurata dal potere, vista la chiara somiglianza tra lo zar e il pazzo Dodon.
Nella rappresentazione alla Monnaie l'aspetto della recitazione sembra prevalere su quello canoro: se il re interpretato da Alexey Tikhomirov raggiunge l'apice a livello attoriale, per il canto i momenti più alti si raggiungono con la zarina di Chemakhane (Nina Minasyan) specialmente nel momento dell'incontro con Dodone e quando lo abbindola e seduce, e con Alexander Kravetz nel ruolo dell'astrologo.
Da sottolineare il magnifico intermezzo di dieci minuti fra il secondo e terzo atto con al piano il M° Altinoglu e un'eccellente violinista.
Giovanni Zambito
Fattitaliani

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