di
Goffredo Palmerini - L’AQUILA
- C’è sempre un affanno a riordinare idee ed emozioni, quando si
rientra da un viaggio all’estero.
Specie quando ormai s’attendono
il racconto. E quando capita che si torni d’ottobre da New
York, nel periodo di maggior
opportunità per essere quello il mese canonico della cultura
italiana nella Grande Mela, e del Columbus
day più suggestivo e fastoso
di tutti gli Stati Uniti, l’impegno a mettere bene in fila
incontri, eventi, personaggi ed atmosfere che connotano quella
straordinaria città è un esercizio un po’ complesso, anche per
chi ha confidenza con la scrittura. Allora i miei quattro lettori non
se la prenderanno se il racconto tarda, per l’esigenza di
meditarlo, affrancandolo dalla banalità. Perché in ogni viaggio che
si rispetti ciascun fatto va guardato oltre l’apparenza, ogni
evento deve lasciar traccia, ogni persona arricchisce la nostra
dimensione umana e marca la sua impronta. La pioggia che da sabato
scorso infastidisce queste giornate aquilane fa da contrasto alle
radiose giornate di sole lasciate a New
York. Vi ero giunto nel primo
pomeriggio del 6 ottobre, con un tranquillo volo da Roma della nostra
compagnia di bandiera. Planando verso l’aeroporto Jfk, con il cielo
sereno, è sempre uno spettacolo ammirare il profilo dei grattacieli
di Manhattan.
In orario l’atterraggio, un mare di persone in fila agli sportelli
d’immigrazione, un’ora per il disbrigo. Poi è tutto più fluido,
quando s’esce dall’aeroporto e l’ordinata attesa si consuma con
il costante rosario di taxi che porta ciascuno alla sua destinazione.
Un’ora e sono a casa Fratti. Mario
m’accoglie con grande calore. Reco notizie e ricordi della sua e
nostra città, L’Aquila,
e l’amicizia feconda maturata in due decenni si nutre di
sentimenti, condivisioni e stati d’animo che vanno assai oltre le
parole. Lo trovo al suo posto di lavoro. E’ insolito vederlo in
casa a quest’ora, di pomeriggio, quando d’abitudine sta già a
teatro a vedere novità per recensirle puntualmente nella sua
rassegna domenicale su America Oggi. Ma questa è giornata speciale.
E infatti si festeggia con una buona cena in ristorante, prima
ch’egli vada a teatro per le prove di due suoi atti unici, Wives
e Academy,
entrambi per la regia di Stephan
Morrow, che andranno in scena
dall’8 al 25 ottobre al Theater of the New City. Approfitto per
fare quattro passi a Times Square. Al solito il pienone, tra le luci
delle pubblicità e l’inciampo d’un cantiere stradale. Ma nulla
ferma la fiumana di persone che la anima, tra spettacoli di strada,
giovani che scattano foto, altri che si godono la vista del famoso
orologio dalla tribunetta dove si compete per conquistare una
seggiola. Il 7 ottobre levata di buonora, a dispetto del jet lag.
Alle 5 di mattina sono già connesso a sbrigare i miei lavori e la
corrispondenza. In mattinata si prendono gli appuntamenti della
settimana. Abbiamo una sorpresa da fare, in serata. La nostra amica
Mariza Bafile
festeggia il primo anno del magazine ViceVersa.
La bella rivista bilingue, inglese e spagnolo, raccoglie le migliori
espressioni della cultura ispanica negli Stati Uniti. E’ diventato
punto di riferimento per intellettuali, artisti, scrittori e cultori
delle radici latino-centroamericane. E’ stato fondato un anno fa e
vi collabora stabilmente la figlia Flavia, che a New York ha fatto
gli studi universitari.
Mariza Bafile lo
dirige con perizia. D’altronde è figlia d’arte. Suo padre
Gaetano, nel 1950 fondò a Caracas La
Voce d’Italia, settimanale
poi diventato quotidiano che è stato punta di diamante nella difesa
dei diritti degli emigrati oltre che fonte d’informazione e di
promozione della cultura italiana in Venezuela. Del giornale lei è
stata vicedirettore fino alla sua elezione nel Parlamento italiano,
nel 2006. Alla morte di Gaetano
Bafile, nel 2009, la
direzione è stata assunta dal figlio Mauro. Alle 7 di sera andiamo
alla festa, sulla 67 East Street, presso
Henrique Faria Fine Art,
lo studio d’un artista
che volentieri l’ha messo a disposizione di Mariza. Lei ci accoglie
festosamente al nostro ingresso, è quasi una sorpresa per lei,
avendoglielo appena accennato qualche giorno fa che forse saremmo
andati a trovarla. Ma non potevamo mancare l’appuntamento nei
confronti d’una persona amica, che stimiamo e amiamo per il suo
talento e la grande umanità, oltre che per le comuni radici
aquilane. Con noi è venuto anche Piero, un amico romano che da
vent’anni vive a New York. Con Mariza abbiamo alcuni minuti tutti
per noi, per raccontarci le nostre cose, giacché siamo arrivati con
qualche minuto d’anticipo. Ci presenta sua figlia Flavia, splendida
ragazza che ci irradia con il suo sorriso. Nel giro di qualche
istante l’ampio studio, dove sono esposte due mostre fotografiche,
si riempie di ospiti. C’è il tempo di fare un brindisi augurale e
di accomiatarci. Il drammaturgo ha i suoi impegni in teatro per le
ultime prove delle sue commedie, prima del debutto, l’indomani
sera. E infatti presto s’avvia verso il teatro.
Piero ed io, su incarico di Mario
Fratti, abbiamo invece il
compito d’accogliere all’arrivo a casa sua un’artista di rango,
Ksenja Prohaska,
la più grande attrice di teatro della Croazia. Arriverà da
Burlington,
nel Vermont, per salutare Mario, prima di proseguire per la Florida.
E infatti non passa molto che l’ospite s’annuncia alla porta. E’
alta, bionda, bella. Il dialogo è immediato, piacevole,
interessante. Ksenja parla bene l’italiano, come diverse altre
lingue. Grande cultura e raffinatezza, ci racconta la sua vita sui
palcoscenici e nel cinema, a Hollywood,
negli anni della giovinezza. Ci parla della famiglia, della sua
nipotina appena vista nel Vermont, ce ne mostra la foto. S’informa
su di noi. Anch’io le mostro i miei due nipotini, Chiara e
Francesco. Piero, che è bravissimo in cucina, sta preparando un buon
sugo per la pasta all’amatriciana ed altre leccornie. L’attrice è
nata a Spalato,
dove vive, tuttavia calcando teatri anche all’estero. Diplomata
all’Accademia d’arte drammatica di Zagabria, dal 1980 per sei
anni ha lavorato nel Teatro nazionale della capitale, esordendo anche
come cantante. Attrice in alcuni lungometraggi di successo. Nel 1987
si trasferisce a Los Angeles.
A Hollywood si perfeziona sia in recitazione che in canto, con grandi
maestri, continuando a pieno ritmo l’attività di attrice di prosa,
in tv e nel cinema, lavorando con registi come Barry
Levinson, Warren
Beatty, Joe
Mantegna e Ben
Kingsley.
Nel ‘99 rientra in Croazia, nel Teatro
nazionale di Spalato, portando in scena il monodramma musicale
Marlene Dietrich,
che ancor oggi interpreta nei teatri di molti paesi europei, in
Russia,
negli Stati Uniti
e in Venezuela.
Nel 2005
debutta al Parco della Musica di Roma,
accompagnata dall’Orchestra Sinfonietta diretta da Francesco
Lanzillotta, al pianoforte in alternanza Antonello Di Majo e Ivan
Božičević. Ksenja
si
esibisce nei brani di Fabio Borgazzi Fabor nel dramma musicale Mata
Hari,
di Maria Letizia Compatangelo. Allestisce anche due
recital-concerti: Raccontare
Edith Piaf e La
Chanson.
Con il Teatro nazionale di Spalato interpreta personaggi in opere di
grandi autori, quali Tennessee
Williams
(La
rosa tatuata),
Miroslav
Krleža (I
Glembay),
William Shakespeare (La
Tempesta, Amleto),
Edward Albee (Chi
ha paura di Virginia Woolf),
Molière (Le
donne saccenti);
e ancora Billie
Holiday,
scritta a quattro mani con il cineasta Arsen Ostojic. Per il teatro
nazionale di Fiume veste i panni di Filumena
Marturano;
per quello di Sarajevo, in coproduzione con Banja Luka e Mostar -
regista la serbo-berlinese Mira Herceg Haveman - è Madre
Coraggio di
Bertolt Brecht, in occasione del cinquantenario della scomparsa del
grande drammaturgo tedesco. Nel 2013 torna a Los
Angeles
con Marlene
Dietrich,
recitato in lingua spagnola. Già vincitrice del Premio
internazionale “Adelaide Ristori” ed altri riconoscimenti, lo
scorso anno il Ministero della Cultura della Croazia le ha conferito
il titolo di “Artista nazionale”, il maggior riconoscimento del
paese.
Intanto Mario
Fratti
fa rientro a casa. Sono quasi le 10 di sera. Un ampio abbraccio lo
attende, Ksenja
ha
grande confidenza ed amicizia con il drammaturgo. Si continua a
parlare di musica e teatro, con sconfinamenti sulla vita, sugli
affetti, sul futuro. Ksenja
Prohaska
vorrebbe dedicare il suo futuro professionale al cinema e alla
televisione, dividendosi tra Stati Uniti e Croazia. Ci riserva una
brillante performance di canto, interpretando per noi La
vie en rose
e Lili
Marlene.
La conversazione procede fin dopo la mezzanotte. Facciamo qualche
foto ricordo e un ultimo brindisi, poi Ksenja si ritira, salutandoci,
nella stanza dell’attico che Mario le ha riservato. Rimarrà fino
al pomeriggio di domani, quando volerà verso Miami.
Andrà a trovare una cugina, che non vede da moltissimi anni, facendo
con lei una crociera nei Caraibi. E’
stata una bella serata, in compagnia d’una persona amabile,
un’artista eclettica. In casa Fratti si fanno sempre incontri
interessanti, talvolta straordinari. Con Ksenja volentieri resteremo
in contatto. La vedo per qualche ora, nella mattinata di giovedì, a
causa dei miei impegni già programmati.
All’una del pomeriggio, infatti, sono
già al Calandra Italian
American Institute del Queens
College, sulla 43rd Street, per incontrare il preside (dean), prof.
Anthony Julian Tamburri.
L’Istituto, fondato nel
1979, è nato per preservare la cultura e documentare la presenza
degli italiani in America. E’ il primo e più
grande centro universitario di studi e ricerche sull’esperienza
italiana negli Stati Uniti, affiliato alla City University of New
York (CUNY).
Intitolato alla memoria di John
D. Calandra, senatore dello
stato di New York e infaticabile promotore di giustizia sociale,
l’istituto promuove l’alta formazione e conduce ricerche per
approfondire la conoscenza del grande patrimonio costituito dalla
cultura italoamericana tramite conferenze, seminari, mostre e
convegni, grazie alla fornitissima biblioteca e agli archivi. E
infatti di questo parliamo con il prof. Tamburri, in specie pensando
al varo della prima opera dell’Oral
Hystory Archive “Maria
Federici”, un progetto
sviluppato in partnership tra Calandra
Institute e ANFE,
con il sostegno della Direzione generale per gli Italiani all’estero
e Politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri. L’archivio
sarà un importante presidio della memoria della nostra emigrazione
negli States. Il primo volume “Italians
in Politics in America”, di
Ottorino Cappelli,
riporta 25 interviste con altrettanti legislatori italoamericani
dello stato di New York. Fulcro del partenariato internazionale per
questo ambizioso programma è la collaborazione tra il Calandra
Institute e l’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE),
com’è evidente dalla decisione d’intitolare l’OHA all’on.
Maria Federici, una grande
donna politica italiana (L’Aquila, 19 settembre 1899 – L’Aquila,
28 luglio 1984) membro dell’Assemblea
Costituente e fondatrice nel
1947 dell’ANFE, di cui fu presidente per oltre 30 anni. Con Anthony
Tamburri - origini pugliesi,
di Faeto
(Foggia), piccolo paese riconosciuto come un’isola culturale
francoprovenzale - molto parliamo della straordinaria figura di Maria
Federici, della sua opera in
politica come donna della Costituente,
come legislatrice illuminata, come personalità di forte caratura,
impegnata nel mondo dell’emigrazione italiana che in lei, e
nell’ANFE, trovò un punto di riferimento imprescindibile per la
costituzione dei diritti degli emigrati e della difesa delle loro
famiglie.
Mentre completiamo le riflessioni sul
rilevante progetto dell’Archivio per la storia della nostra
emigrazione, è già pronto un altro step con Maria
Basanese Tamburri. Con la
signora Tamburri parliamo della National Organisation of Italian
American Women (NOIAW),
organizzazione di cui lei è presidente. La NOIAW è
la prima organizzazione di donne negli States impegnata a
salvaguardare il patrimonio linguistico e culturale italiano,
promuovendo e sostenendo l’eccellenza femminile di origine
italiana. Al servizio dei suoi associati attraverso programmi
culturali ed opportunità di networking, sostiene
le giovani donne attraverso borse di studio nazionali, tutor e
programmi di scambio culturale.
L’organizzazione può contare sull’impegno di molte donne
provenienti da diverse esperienze professionali (avvocate, medici,
artiste, scienziate, donne d’affari, educatrici, scrittrici,
giudici, infermiere e casalinghe). E’ l’unica organizzazione
femminile negli Stati Uniti nata da e per le donne di origine
italiana, promuove attività e sostiene eventi educativi, culturali e
sociali che riguardano temi dell’universo femminile. Scopo sociale
è quello di riconoscere i successi delle donne d’origine italiana,
così come la valorizzazione dell’impegno femminile italiano in Usa
per custodire e promuovere la nostra cultura. La NOIAW è stata
fondata nel 1980 per iniziativa di Aileen Riotto Sirey e d’un
gruppo di donne italo-americane - tra le quali Geraldine Ferraro,
Matilda Raffa Cuomo, Donna DeMatteo, Constance Mandina e Roseanne
Coletti - che hanno cercato di creare una rete nazionale per
combattere stereotipi e pregiudizi etnici, promuovendo modelli
positivi. L’organizzazione, in Usa, ha giurisdizione federale, ma
conta Sezioni in numerosi Stati americani, alla cui guida stanno tre
donne “sagge”. Attualmente si è trasformata in un’organizzazione
internazionale che tiene collegamenti attraverso eventi e conferenze
tra donne d’origine italiana in America, Argentina, Australia e
ovviamente in Italia.
Dal 2014 Maria
Tamburri è presidente
federale della NOIAW, di cui è stata direttore esecutivo dal 2008 al
2011. La presidente Tamburri, a mia domanda, mi parla dell’importante
contributo reso dalle donne d’origine italiana alla crescita degli
Stati Uniti e del ruolo sempre più rilevante conquistato nella
società, dalla politica alle professioni e nei diversi campi
d’impegno. Mi tratteggia, con dovizia d’informazioni,
l’attenzione che la NOIAW riserva ai giovani, al mentoring, al
sostegno delle giovani meritevoli. Dal 2007 vengono destinate cinque
borse di studio per altrettante ragazze per sostenere i loro studi
nelle università, non solo negli Usa. Importanti e numerosi gli
scambi culturali a favore dei giovani. L’organizzazione promuove il
foundraising in diversi stati americani per finanziare le proprie
attività. Tra le iniziative di rilievo un viaggio ogni due anni in
una regione d’Italia, alla scoperta della ricchezza della cultura
regionale, che riserva sempre straordinarie meraviglie d’arte,
paesaggi e tradizioni. Mi permetto di proporre alla presidente Maria
Tamburri una visita in
Abruzzo,
nel prossimo futuro, anche per conoscere de
visu lo stato della
ricostruzione dell’Aquila, dopo il terremoto del 2009. Ella infine
mi riferisce sull’iniziativa del Gala NOIAW, ogni due anni, nel
quale convengono importanti donne italiane degli States. In
quell’evento vengono tributati riconoscimenti a chi si è
particolarmente distinta, come di recente Alesyn
Camerota, famosa giornalista
televisiva della CNN. Mi congedo dopo un’ora di piacevole colloquio
che dà uno spaccato puntuale dell’impegno femminile italiano nella
società americana.
L’ora
mi consente una buona passeggiata lungo la Quinta Avenue. Poi devo
raggiungere il Westchester Italian Cultural Center di New York
(WICCNY),
a Tuckahoe, per l’inaugurazione della mostra “Abruzzo&Molise,
Yesterday and Today”,
prevista per le ore 18. E’ un evento organizzato con cura dalla
direttrice dei programmi del WICCNY, Patrizia
Calce,
con un certosino lavoro di mesi. L’evento si tiene nella bella
palazzina sede della Fondazione Generoso Pope, intitolata al grande
magnate e filantropo italoamericano cui si deve la nascita del
Columbus
day
a New York, nel 1929, e numerose altre iniziative di mecenatismo
culturale. Sono alla Grand Central Station, un meraviglia
architettonica che non finisce di stupirmi per la sua bellezza e
razionalità. Tuckahoe
è una ridente cittadina residenziale immersa nel verde, appena fuori
da New York, nel Westchester. Mezz’ora di Metro North e ci arrivo.
Il WICCNY è proprio vicino alla stazione. Il
Centro culturale promuove il ricco patrimonio della cultura classica
e contemporanea italiana, favorendo lo studio della lingua italiana e
l’apprezzamento della cultura italiana attraverso le arti e la
letteratura, la storia, lo stile, il gusto e l’enogastronomia, con
programmi educativi, mostre ed eventi. Mi
accoglie Veronica, una collaboratrice del Centro culturale. Sono in
anticipo sull’orario d’inizio, ho desiderio di conoscere la bella
struttura e sopra tutto l’allestimento delle due sale, dedicate una
all’Abruzzo l’altra al Molise. C’è fervore anche in cucina,
dove trovo Patrizia
Calce
con Rosanna
Di Michele,
eccellente promoter della gastronomia abruzzese ed ottima chef,
intenta a preparare ogni dettaglio per la cena dell’indomani. Le
due sale sono ben allestite e riescono a dare un volto intrigante
delle bellezze, delle singolarità e delle eccellenze delle due
regioni. Encomiabile il contributo reso da associazioni, appassionati
e produttori per dotare la mostra di immagini, pannelli fotografici,
costumi tradizionali, oggetti tipici e specialità gastronomiche.
Meno attento, per usare un eufemismo, l’impegno delle istituzioni.
E pensare che organizzazione e spazi della mostra sono stati offerti
senza alcun compenso. E tuttavia quel che le istituzioni non fanno lo
risolve a meraviglia il privato. E così la mostra è ben pronta per
i visitatori, fino al 20 novembre, con numerosi appuntamenti
culturali.
E’
l’ora d’inaugurare la mostra. Il saluto d’apertura lo porge il
presidente del WICCNY, Francis
A. Nicolai,
già giudice amministrativo dello Stato di New York. Gli interventi
di presentazione del Molise sono svolti da Alfredo
Brunetti,
presidente dell’Associazione culturale Molisani in Usa, dallo
scrittore Francesco
Paolo Tanzj,
dal Consigliere regionale del Molise Domenico
Di Nunzio.
Puntuali le annotazioni che illustrano una regione piccola, eppure
ricca di storia e di bellezze. A chi scrive il compito di presentare
l’Abruzzo.
Un
grande privilegio poter parlare al pubblico che gremisce la sala
conferenze delle eccellenze dell’arte, città e borghi, cultura,
gastronomia, valenze naturalistiche ed ambientali della mia regione.
Un onore per me rendere un servizio all'Abruzzo - scrigno di bellezze
artistiche, architettoniche ed ambientali -, regione che per gli
americani è in gran parte sconosciuta. Ho cercato di incuriosirli
con le nostre singolarità, intrigando il loro desiderio di
conoscenza, sulla scia dei racconti dei grandi viaggiatori e
scrittori che ne hanno esaltato la selvaggia bellezza e le ataviche
tradizioni. Una descrizione che meglio sarà sviluppata nella serata
speciale con Mario
Fratti,
nel corso della quale sarà proiettato il film “Nolite
timere”
di Giuseppe
Tandoi,
sulla vita del monaco Pietro
del Morrone
poi diventato papa
Celestino V,
che nel 1294 donò al mondo la
Perdonanza, il primo giubileo della cristianità.
Patrizia
Calce
mi ringrazia per l’opera di promozione dell’evento con
dettagliati articoli sulla stampa, in Italia e all’estero.
L’indomani venerdì 9 ottobre, con Mario
Fratti
facciamo ritorno al WICCNY
per la cena di gala, dove vengono servite le prelibatezze di Rosanna
Cooking
e gli ottimi vini abruzzesi. Un prolungato applauso saluta la
performance della bravissima chef di Vasto,
ormai conosciuta ed apprezzata a New
York,
dove compie tre o quattro missioni l’anno. Rientriamo sul tardi a
casa, già con il pensiero di vivere le due giornate di Boston,
già raccontate in specifico reportage.
E’ lunedì 12 ottobre. Il Columbus
day di New York, quest’anno
il 71° e nel giorno stesso della scoperta dell’America, si apre
con la celebrazione della Messa alla cattedrale di St. Patrick. Il
tempio appare in tutto il suo splendore, ritrovato dopo un
accuratissimo restauro, e le svettanti forme gotiche della facciata
sono una meraviglia di luminosità. Mancando il card. Timothy
Dolan, arcivescovo di New
York, impegnato a Roma per il Sinodo, è il vescovo di Rockville
Centre, William Murphy,
a presiedere la celebrazione eucaristica. Sempre commovente
l’esecuzione cantata per coro e organo dei due inni, italiano ed
americano, che conclude la celebrazione. Dopo la Messa, sulla Quinta
Avenue è già tutto un fervore di preparazione alla Parata, la più
suggestiva e famosa nel mondo, seguita da oltre un milione di
spettatori lungo il percorso e in tv. E’ davvero un’emozione
viverla dal di dentro, percepire quel senso diffuso di orgoglio per
l’identità italiana e di testimonianza sul contributo reso dagli
emigrati italiani allo sviluppo degli Stati Uniti d’America. Un
contributo apprezzato e riconosciuto, come il Presidente degli Stati
Uniti scrive nella Proclamation del Columbus day. Anche quest’anno
sono in rappresentanza ufficiale dell’ANFE,
in quanto Gaetano Calà,
direttore generale della prestigiosa associazione è stato trattenuto
da pressanti impegni in Italia. Scelgo di sfilare con la splendida
équipe di i-Italy,
il network giornalistico diretto da Letizia
Airos con il quale da anni
collaboro. Letizia, presente con alcuni operatori tv e fotoreporter
di redazione, mi integra volentieri nel gruppo scortato dalla 500
tricolore disegnata da Massimo
Vignelli, driver Rosanna Di
Michele. Il gruppo accompagna la delegazione di dirigenti e
funzionari del Consolato di New York, con in testa il Console
Generale dr. Natalia
Quintavalle.
Tra la rappresentanza consolare sfila
anche l’on. Francesca La
Marca, italocanadese di
Toronto, eletta alla Camera dei Deputati nella Circoscrizione estera
di centro-nord America. Con lei, durante la sfilata, ho
un’interessante conversazione su temi d’emigrazione e sulla
situazione della ricostruzione all’Aquila cui è molto interessata.
Restiamo d’intesa che andrò a trovarla a Roma, in Parlamento.
Lungo il percorso la parata si snoda con il suo tripudio di colori e
di suoni. Il pubblico, che di buonora ha preso postazione lungo i due
lati della Fifth Avenue, agita tricolori e saluta. Ogni tanto il
Console ci chiama a raduno per un corale “viva l’Italia!”.
Persino “gioca” con i tre Harlem Globetrotters che precedono il
gruppo, dopo il carro della Fondazione Generoso Pope. Con la palla
fanno virtuosismi incredibili. Natalia
Quintavalle simpaticamente
compete con loro, tentando gli stessi miracoli e dispensando sorrisi.
Giungiamo sul red carpet, dove la parata man mano si scioglie,
all’una e mezza, dopo oltre due ore dalla partenza. Il Grand
Marshall, il supermanager Alberto
Cribiore da 40 anni negli
States e vicepresidente della banca d’affari Citigroup, saluta ed
accoglie all’arrivo le rappresentanze. Saprò più tardi che il
lungo serpentone della parata andrà avanti fin quasi alle quattro.
Oltre 100 i gruppi e i carri della parata 2015. In serata il consueto
ricevimento in Consolato.
Martedì 13 perdo ogni speranza di
ritrovare il mio cellulare, smarrito domenica sull’autobus da
Boston per New York. Il problema è la perdita della rubrica con i
numeri dei miei contatti, anche all’estero. Me ne devo fare una
ragione. Approfitto per scrivere il mio reportage da Boston,
che invio alla stampa nel primo pomeriggio. Chiama Patrizia
Calce, consiglia di rinviare
l’evento sull’Abruzzo, che Mario Fratti ed io avremmo curato al
WICCNY, cui sarebbe seguita la proiezione del film di Giuseppe
Tandoi. E’ preoccupata per
la contemporanea trasmissione in diretta tv da Las Vegas del
dibattito tra candidati democratici alle primarie per le
presidenziali 2016. Propone il rinvio al 16, venerdì. Concordiamo.
In effetti quella sera gli americani saranno in gran parte incollati
ai teleschermi. Non potrò esserci venerdì, perché in partenza per
l’Italia. Ma l’Abruzzo
avrà un testimonial prestigioso in Mario
Fratti. Il drammaturgo
aquilano è una celebrità, figura di spicco della cultura italiana
negli States. Saprò da lui stesso, al mio rientro all’Aquila, del
successo della serata e del forte gradimento del film “Nolite
timere” di Giuseppe Tandoi.
Commozione e un prolungato applauso hanno salutato l’opera del
giovane regista pugliese, trapiantato nella città capoluogo
d’Abruzzo. Nel pomeriggio si va all’Istituto italiano di Cultura,
in Park Avenue, a visitare la mostra “The
Light of Southern Italy”.
34 le opere in mostra provenienti da collezioni private. Curatore è
Marco
Bertoli,
che già aveva organizzato l’anno scorso la splendida esposizione
sui pittori Macchiaioli, sempre qui all’Istituto di Cultura. La
mostra si propone di rivalutare lo straordinario patrimonio pittorico
italiano dell’Ottocento, in special modo dell’Italia meridionale,
ancora poco conosciuta negli Stati Uniti. Una pittura di forte
policromia e sopra tutto di sperimentazione della luce, che
costituisce il fattore dominante del linguaggio pittorico dei
maggiori interpreti, da Consalvo
Carelli
ad Antonio
Mancini,
da Francesco
Lojacono
a Giuseppe
de Nittis,
fino agli artisti abruzzesi Filippo
Palizzi,
Francesco
Paolo Michetti
e Pasquale
Celommi.
Il 14 è una magnifica giornata. Con
Mario andiamo alla Scuola d’Italia “Guglielmo Marconi” per
incontrare il Rettore prof.
Maria Palandra.
Scriverò uno speciale su questa scuola prestigiosa. A
sera accolgo un invito a cena da Carmine e Luchy Nardis, a Tuckahoe.
Lui aquilano di Villa
Sant’Angelo,
lei colombiana. Carmine
Nardis,
figlio di emigrati, ancora studente tornò dall’Aquila a New York.
Studio e lavoro per completare l’high school. Poi gli studi
universitari alla Columbia University, la laurea in ingegneria
informatica e un master. Quindi un buon lavoro nel settore della
progettazione informatica, che lo portava spesso in giro per il
mondo. Poi la scelta di mettersi in proprio. Buoni traguardi, i suoi,
e quelli dei due figli, laureati in scienze economiche e impegnati in
occupazioni di responsabilità nel settore degli investimenti
finanziari. Una bella storia d’emigrazione, quella di Carmine, un
abruzzese volitivo e tenace. Un’ottima cena prepara Luchy,
piacevole la conversazione. Lascio la bella casa in tarda serata,
Carmine e Luchy mi accompagnano velocemente sotto casa Fratti, in
Maserati.
Il 15 ottobre è
vigilia della partenza, da dedicare allo shopping. Ma a sera
m’attendono gli abruzzesi dell’Orsogna
Mutual Aid Club
di Astoria. Sante
Auriti
mi viene a prendere alla fermata Metro di Astoria.
Nella grande sede di proprietà del Club, nato nel 1939, una
sessantina di persone aspettano il mio arrivo. Il presidente Tony
Ferrari,
insieme a Maria
Fosco,
fanno gli onori di casa. Dopo il loro saluto mi chiamano a parlare.
Nel mio intervento ringrazio l’intera comunità degli Orsognesi di
Astoria per l’onore che hanno saputo rendere alla terra d’origine.
Hanno mostrato di quale pasta sono fatti gli abruzzesi, guadagnandosi
la stima dell’America. Sul loro esempio di vita tanti pregiudizi
sull’Italia sono caduti. Questo è uno dei più significativi
meriti dei nostril emigrati. Saremo loro sempre grati. Espongo poi il
soddisfacente procedere della ricostruzione aquilana, per la quale
hanno sempre un pensiero di vicinanza e di solidarietà da quel
terribile terremoto del 2009. Li ringrazio ancora, I loro volti
schietti mi danno commozione. Sono una grande comunità qui in
Astoria, nel Queens. Con i discendenti sono all’incirca diecimila,
giunti a New York da Orsogna
sopra tutto nel secondo dopoguerra, complice anche la distruzione del
loro paese posto sulla linea Gustav, quando nel 1944 gli alleati
ruppero quel fronte dopo cruenti combattimenti. Sono molto contento
di questo incontro, così denso di emozioni. Saluto uno ad uno i
sessanta convitati, con una calorosa stretta di mano. La commozione
ancora domina mentre l’amico Sante mi riporta a Manhattan. E’
venerdì, ultimo giorno, preparo i bagagli. Pranziamo in casa con
Mario e la nuova ospite, Margherita
Peluso,
una giovane attrice venuta per partecipare al New
York Film Festival,
dove concorre un cortometraggio girato in Australia in cui lei è
attrice protagonista. Ha talento, forse le arriderà una buona
fortuna. Abbraccio Mario
Fratti,
mentre prendo il mezzo per l’aeroporto. Mi chiede di tornare
presto, magari a presentare il mio prossimo libro “Le
radici e le ali”
che recherà la sua prefazione. Arrivederci New
York!