di
Goffredo
Palmerini - L’AQUILA - Ha voluto dedicare gli ultimi tre giorni del suo viaggio a Roma,
dove con tutti gli altri vescovi nominati nel 2014 ha fatto un
“pellegrinaggio sulla tomba di Pietro” - così Papa Francesco ha
definito il convegno -, per rivedere gli amici di Paganica,
popolosa frazione della città capoluogo d’Abruzzo.
Mons.
Adelar Baruffi,
vescovo della diocesi di Cruz
Alta
nel Rio Grande do Sul, in Brasile,
è arrivato giovedì scorso all’Aquila, accolto da don
Dante Di Nardo,
parroco di San Francesco a Pettino (L’Aquila) e fino al 2007, per
16 anni, alla guida della parrocchia di Santa Maria Assunta in
Paganica. Don Adelar aveva frequentato Paganica
per oltre due anni, dal 1998 al 2001, su invito di don Dante, mentre
era a Roma
per seguire gli studi presso la Pontificia Facoltà Teologica
“Teresianum”. Nei fine settimana, però, veniva a Paganica ad
aiutare il parroco nelle celebrazioni e nella attività pastorali.
Una frequentazione che peraltro aveva interessato, dal 1992 in poi,
numerosi altri sacerdoti brasiliani impegnati negli studi teologici
presso le università Gregoriana, Lateranense, Urbaniana ed altre,
che il sabato e la domenica volentieri raggiungevano Paganica per
dare una mano in parrocchia. Restano infatti nel cuore e nel ricordo
della comunità paganichese don Uba, don Claudio, don Gilmar, don
Jaime, don Giovanni, don Casimiro, don Daniele e infine don
Vital Corbellini,
diventato poi vescovo di Marabà,
in Amazzonia.
Doloroso
ed emozionante, per
Mons. Baruffi,
l’impatto con il centro storico dell’Aquila. Laceranti le ferite
inferte dal terremoto del 2009 ad una delle città d’arte più
belle d’Italia, che egli ricordava come una bomboniera
d’incantevoli architetture, scorci stupendi, superbi monumenti e
preziosità artistiche. Ma la visita nel cuore antico della città,
in compagnia di don Dante, nondimeno l’ha potuto rinfrancare alla
vista di tanti cantieri in attività e dei palazzi già restituiti
alla loro luminosa bellezza. La visita si è poi conclusa alla
Basilica di San Bernardino, di recente riconsegnata agli aquilani
dopo un pregevole restauro che ne esalta la rinascimentale
magnificenza, sebbene restino ancora da realizzare i lavori alle
cappelle laterali e al finissimo mausoleo del santo senese che
all’Aquila volle venire a morire nel 1444, opera dello scultore
Silvestro
dell’Aquila,
allievo di Donatello.
Nel
pomeriggio l’arrivo a Paganica.
Ci si incontra davanti la Chiesa madre di Santa Maria Assunta, ancora
fasciata da funi d’acciaio e puntellamenti. Se ne attende l’avvio
dei lavori, già da tempo finanziati. Sarà questo il segno della
rinascita, l’incipit della faticosa ricostruzione del paese e del
senso stesso della comunità paganichese, annichilita dalla
distruzione del centro storico più vasto dopo quello dell’Aquila.
Se infatti ci sono segni importanti per la città capoluogo, diverso
è il caso dei centri storici delle 64 frazioni dell’Aquila, ancora
in attesa dei primi interventi di ricostruzione, tuttavia annunciati
per la prossima primavera, mentre nel frattempo molte sono le case
dirute e la vegetazione invade muri e vie, riconquistandoli alla
natura. Partiamo dalla piazza principale di Paganica, per un giro tra
le macerie. Per don Adelar, don Dante e chi scrive è un’indicibile
sofferenza percorrere le vie, già specchio dell’armonia
architettonica e della suggestione che i nostri centri antichi
evocavano. Ma s’avverte anche la speranza di veder presto cantieri
che faranno risorgere Paganica, con il suo intrico di viuzze,
sdruccioli ed archi che arrancano al Colle, da dove s’apprezza una
meravigliosa vista della conca aquilana. Riscendiamo verso la Chiesa
di Santa Maria del Presepe, detta del Castello per via d’essere
sorta nel 1605 sulle rovine dell’antico castello distrutto da
Antonuccio
Camponeschi
dopo la vittoria degli aquilani nella decisiva battaglia del 2 giugno
1424 contro le truppe di Braccio
da Montone.
Il tempio nella sua imponenza s’erge sull’alta spianata di
roccia, appena scalfito dal sisma nel campanile a vela e sulla parte
sommitale della facciata in pietra squadrata, indorata dal tempo.
Lasciamo
quel luogo per l’ultimo tratto in “zona rossa”, così sono
confinati e definiti i centri storici da quel terribile 6 aprile
2009. E’ ora di avviarsi per la messa vespertina alla Chiesa degli
Angeli Custodi, bella struttura in legno costruita dai volontari del
Trentino con le donazioni di Pinzolo
e degli altri comuni della Val
Rendena.
Con Mons. Baruffi concelebrano don Dante e don Federico. Commossa
l’omelia di don Adelar, al ricordo del tempo condiviso in
parrocchia a Paganica,
nei week end di quei due anni di studi teologici a Roma. La ricchezza
dei rapporti umani, le amicizie, le esperienze di fraternità vissute
nel percorso di fede restano vivi come un vero patrimonio d’umanità.
E vivo ancora è il ricordo d’un chierichetto assiduo e “sapiente”,
che poi ha conosciuto la grazia della vocazione al sacerdozio: quel
Federico, appunto, che ora gli è accanto. Dopo la celebrazione
eucaristica l’abbraccio della comunità al vescovo, all’amico di
Paganica che nell’omelia ha richiamato le origini bergamasche del
suo bisnonno, emigrato nel 1875 in Brasile da Fornovo San Giovanni.
Un intenso tributo d’affetto si riversa verso il presule
brasiliano.
Il
sole declina al tramonto, trapuntando di porpora le cime del Gran
Sasso e di luce dorata i contrafforti boscosi della maestosa catena
di monti. C’è ancora tempo per una puntata al Santuario d’Appari.
Si segue il nuovo percorso pedonale che costeggia il torrente Raiale,
immerso nel verde. Arriviamo con il buio incipiente. La duecentesca
chiesa, incastonata tra le rocce, ha la facciata illuminata di calda
luce. Contrasta, d’intorno, con il grigio della sera. Entriamo.
Chiede notizie, don
Adelar,
sulle conseguenze del terremoto. Pochi i danni subiti dal Santuario,
già risanati con un tempestivo intervento disposto dalla
Soprintendenza ai Beni Culturali. Il prelato s’incanta al cospetto
degli affreschi intorno all’altare, i più antichi della chiesa
impreziosita per tre quarti da dipinti murali. Grande la maestria
degli artisti che affrescarono scene di vita del Cristo, la sua
passione, crocifissione e deposizione dalla Croce. Quegli affreschi
sono attribuiti alla scuola di Francesco
da Montereale,
uno dei grandi pittori dell’arte abruzzese nel Quattrocento.
L’emozione di don Adelar è davvero forte. Si torna a Paganica,
ancora esprimendo sensazioni intense mentre si va verso il Centro
Parrocchiale San Giustino, dove ci attende un’agape fraterna
preparata dalla comunità. E’ ancora clima di festa, di comunione e
di grande amicizia. Fin quasi al volgere della notte. Sabato scorso,
prima di volare l’indomani per il Brasile, don Adelar è tornato a
Paganica
a celebrare la messa mattutina al Monastero delle Clarisse. Ha potuto
così ammirare anche il restauro della chiesetta di San Bartolomeo
che, in attesa del completamento dei lavori alla Chiesa del Carmine,
custodisce il corpo della Beata
Antonia da Firenze,
fondatrice nel 1447 della comunità claustrale aquilana sotto
l’impulso di S.
Giovanni da Capestrano.
Don
Adelar Baruffi,
e la schiera di sacerdoti brasiliani avvicendatisi per un
quindicennio a Paganica, sono tutti discendenti di italiani. Nonni o
bisnonni di origini venete, lombarde e trentine, emigrarono tra
Ottocento e Novecento nel grande Paese sudamericano. In quella zona
meridionale del Brasile, il Rio
Grande do Sul,
a confine con Uruguay e Argentina, si diresse infatti un imponente
flusso migratorio dall’Italia, sopra tutto dal Veneto,
Lombardia
e Trentino.
Portarono in Brasile
la propria cultura e le abitudini regionali. Lavorarono sodo,
strappando talvolta quelle terre alla selva, convertendole
all’agricoltura. E a vigneti. Lo racconta efficacemente la geografa
Flavia
Cristaldi
in un bel libro, “E
andarono per mar a piantar vigneti”,
pubblicato quest’anno dalla Tau Editrice per la Fondazione
Migrantes. Vigneti e conoscenze enologiche ora vanno aprendo al
Brasile promettenti prospettive nella produzione autoctona di vini,
grazie a quei vitigni portati dall’Italia
quasi un secolo e mezzo fa dai primi emigranti, sui bastimenti
diretti nel Paese carioca. Fu una vera e propria colonizzazione,
quella italiana nel Rio
Grande do Sul,
insieme a tedeschi e portoghesi. Basti pensare che Caxias
do Sul,
la seconda città più popolosa di quello stato meridionale del
Brasile, nel 1890 fu proprio fondata da immigrati veneti. Il Brasile,
d’altronde, è il Paese che in termini assoluti ha più cittadini
d’origine italiana, con una stima che raggiunge i 25 milioni.
Singolare il caso di San
Paolo,
oggi la terza area metropolitana più popolata al mondo, dove la
città paulista è per metà italiana, con oltre 7 milioni di
oriundi: la più grande città italiana si trova dunque fuori
dell’Italia, in Brasile!
Là,
nel Rio Grande do Sul,
nel 1875 era giunto da Fornovo San Giovanni (Bergamo) Francesco
Baruffi (1845 – 1931),
insieme alla moglie Rosa Fontana e ai primi due figli. Altri cinque
ne sarebbero nati da Rosa, nella nuova terra. Alla morte della
moglie, risposato con Lucia Bettio, Francesco ebbe altri sette figli,
dando così vita ad una stirpe numerosa. Don
Adelar Baruffi, figlio di
Melibio e di Iraci Benini, è nato il 19 ottobre 1969 a Coronel
Pilar, frazione della municipalità di Garibaldi,
da una modesta famiglia di contadini e piccoli proprietari di terra
in una regione di montagna. “La
prima lingua che ho imparato
- ci dice Mons. Baruffi
- è stato il dialetto
bergamasco, che tuttora parlano i miei genitori,
ogni giorno. Due
caratteristiche hanno distinto la mia famiglia: la fede e il lavoro.
La giornata, impegnata nel lavoro dei campi, finiva soltanto dopo che
tutta la famiglia si raccoglieva per recitatare il rosario. In
quell’ambiente semplice, in compagnia dei genitori, dei miei
fratelli Alexandre e Arlete, dei nonni Eolino e Linda, ho scoperto
che Dio mi chiamava alla vocazione sacerdotale. Uscii da casa per
entrare nel seminario di Caxias do Sul quando avevo 14 anni.”
Adelar
Baruffi
ha compiuto gli studi di Filosofia presso l'Università di Caxias do
Sul e quelli di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica
di Rio Grande do Sul. Il 12 gennaio 1995 ha ricevuto l’ordinazione
sacerdotale nella
chiesa parrocchiale di S.
Lorenzo, a Coronel
Pilar,
ed è stato incardinato nella diocesi di Caxias do Sul. Ha poi
conseguito la Licenza in Antropologia Teologica e Teologia Spirituale
presso la Pontificia Facoltà Teologica del Teresianum a
Roma
e ha seguito corsi per Formatori di Seminario in Brasile e a Santiago
del Cile. Dopo
l’ordinazione sacerdotale, è stato chiamato a seguire la
formazione dei giovani al sacerdozio, per 15 anni, come Rettore dei
Seminari minore e maggiore della diocesi. E’
stato anche coordinatore della Pastorale Presbiterale diocesana.
Negli
ultimi tre anni è stato vicario nella Parrocchia S. Antonio, a Bento
Gonçalves.
Il 17 dicembre 2014 Papa Francesco l’ha nominato vescovo della
diocesi di Cruz
Alta.
L’ordinazione episcopale è avvenuta nel Santuario di S. Antonio,
il 7 marzo 2015, a Bento Gonçalves. Una settimana dopo è iniziato
la sua missione episcopale a Cruz Alta. La diocesi di Cruz Alta è
estesa 16 mila kmq, ha una popolazione di 400 mila abitanti, in
maggioranza cattolici. Sono discendenti di italiani, tedeschi,
portoghesi, africani e polacchi. La diocesi è stata costituita
soltanto 42 anni fa. E’ formata da 32 parrocchie che assistono
quasi 500 comunità cattoliche nelle città, nei villaggi e in
campagna. 28 sono i sacerdoti diocesani, più 8 religiosi, coadiuvati
da laici che assolvono ad un significativo impegno nella pastorale
delle parrocchie, dato il ridotto numero di sacerdoti.
Questa,
dunque, la storia familiare di Mons.
Adelar Baruffi, un “figlio”
dell’emigrazione italiana in Brasile.
Un oriundo orgoglioso delle origini italiane dei suoi avi. Un
notevole impegno pastorale, il suo, una grande responsabilità nella
Chiesa del Brasile. Con i suoi 45 anni don Adelar è il più giovane
vescovo del Paese. Anche questo è il risultato della nostra
emigrazione. Un esempio del servizio che un oriundo italiano rende al
popolo del Brasile, come lo è nella fede il servizio episcopale.
D’altronde, proprio da un Paese “ai confini del mondo” Jorge
Maria Bergoglio, figlio di
emigrati piemontesi in Argentina, ha cominciato la sua missione di
pastore di anime che lo ha portato sul Soglio di Pietro.