“Oscar Romero - La biografia” in occasione della beatificazione, Intervista all'autore Roberto Morozzo della Rocca

Mons. Oscar Arnulfo Romero Galdámez “appartiene certo alla Chiesa ma anche a tutta l'umanità”, perché “è per tutti il profeta dell'amore di Dio e del prossimo”. Così il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, celebrando sabato a San Salvador, in rappresentanza del Papa, la Messa di beatificazione dell’arcivescovo martire, assassinato in odio alla fede il 24 marzo 1980. 

Proprio in questi giorni, è arrivato in libreria “Oscar Romero - La biografia”, di Roberto Morozzo della Rocca, docente di Storia contemporanea all’Università Roma Tre, edito da San Paolo. Nell’intervista di Giada Aquilino, l’autore - che ha collaborato col postulatore della causa di beatificazione, l’arcivescovo Vincenzo Paglia - traccia un profilo di mons. Romero: 
R. - Abbiamo visto documenti sia dell’archivio di San Salvador, sia dell’archivio personale di mons. Romero, ma anche documenti che i vari dicasteri della Santa Sede hanno messo a disposizione, dalla Congregazione per i Vescovi, alla Segreteria di Stato, alle Cause dei Santi. Quindi abbiamo esaminato tanto materiale, anche di carattere diplomatico. E poi tutto il materiale edito di Romero, perché Romero era un giornalista, scriveva articoli. Ci sono otto volumi di sue omelie pubblicate, il suo diario, le lettere pastorali: quindi tanto materiale per ritrovare il vero Romero storico.
D. – Perché fu ucciso mons. Romero?
R. – Fu ucciso perché faceva una richiesta evangelica di conversione ai ricchi, all’oligarchia. Fu uno squadrone della morte a ucciderlo, uno squadrone dell’estrema destra. C’era una grande insofferenza per la sua richiesta religiosa di conversione, di giustizia sociale, di equa distribuzione dei beni. Questo è stato il motivo principale: un fastidio per questa voce spirituale. Infatti fu ucciso davanti all’altare, mentre celebrava la Messa.
D. – I mandanti dell’omicidio di mons. Romero erano uomini di potere che si dichiaravano cattolici. Questo ha reso più difficile per la Chiesa affermare il suo martirio?
R. – C’è certamente una novità in questo martirio, che non è il martirio “in odium fidei” di colui che viene ucciso dalla scimitarra dell’infedele. La società salvadoregna era una società cattolica e i mandanti probabilmente erano cattolici, anche se non sappiamo i loro nomi. Sappiamo soltanto, dalle indagini svolte, che l’organizzatore dello squadrone della morte fu un ex maggiore dell’esercito che si chiamava D'Aubuisson, il quale comunque era anch’egli di origine cattolica, era stato pure un militante cattolico in gioventù prima di scegliere la carriera militare.
D. – Mons. Paglia ha ammesso che negli anni ci sono stati perplessità, strumentalizzazioni, anche contrasti al processo di beatificazione: si è detto che Romero facesse politica, fosse ideologizzato da un pensiero pseudo-marxista. Come rispondere?
R. – La risposta alle obiezioni fatte soprattutto da settori dell’episcopato latinoamericano alla causa di beatificazione è sul piano storico, è quel ritrovare la vera figura storica di Romero. Le obiezioni si concentravano soprattutto sul fatto che Romero era visto come un politico, sia da destra sia da sinistra. Perché la destra lo vedeva come un politico sovversivo, quindi in maniera negativa; la sinistra ne faceva una bandiera rivoluzionaria. Entrambe le immagini non corrispondono al Romero storico, che era innanzitutto un uomo della Chiesa, un uomo del Vangelo, un uomo di fede. E si è trattato, nel processo, di ritrovare questa dimensione di Romero, che non esclude il fatto che lui fosse un uomo della scena pubblica: questo però veniva dalla sua dimensione spirituale, dalla sua coscienza di fede.
D. – L’essere voce dei poveri in Romero cosa significava?
R. – Significava identificare i poveri con Cristo, proteggerli, difenderli, un incontro personale, un aiuto personale, un rapporto personale con i poveri, da cuore a cuore: Romero viveva in un ospedale per malati terminali poveri e li visitava regolarmente.
D. - Tra l’altro il contesto di quando mons. Romero divenne arcivescovo di San Salvador era di un conflitto sociale, che nel tempo poi ha assunto i connotati di guerra civile, di persecuzione contro il clero e la Chiesa. Che periodo era dal punto di vista storico?
R. – Siamo tra il 1977 e il 1980. C’era un grande conflitto sociale, perché c’era molta ingiustizia sociale e questo portava una parte della società a ribellarsi e l’altra a reagire con violenza per mantenere i propri privilegi. Romero si trovò in una situazione di conflitto, in cui gran parte della Chiesa, dei cattolici militanti, chiedeva maggiore giustizia, chiedeva una società più equa. E questo poi portava anche alla persecuzione della Chiesa stessa: sei preti su un centinaio di sacerdoti diocesani di Romero furono assassinati, per non parlare dei catechisti.
D. – Perché si voleva far tacere la Chiesa?
R. – Il popolo salvadoregno era un popolo molto credente, molto cattolico. La parola dei vescovi, dei sacerdoti che chiedevano giustizia aveva un grande credito, plasmava l’opinione pubblica. Quello che chiedeva la Chiesa, e Romero stesso, era il rispetto delle leggi, perché il Salvador aveva leggi buone: per esempio, leggi che garantivano il salario minimo, che permettevano un’organizzazione sindacale. Ma queste leggi non venivano applicate.
D. – Oggi testimonianze della Chiesa di San Salvador dicono che la beatificazione di Romero è stata particolarmente importante perché ci sono persone che, ancora negli ultimi tempi, non credevano in lui e invece oggi vanno sulla sua tomba. Perché questo cambiamento? 
R. – Credo che si sia andati a un riconoscimento della vera natura di Romero, che era semplicemente un pastore, come ha dichiarato anche l’Assemblea nazionale del Salvador nell’anno 2000, in una dichiarazione firmata anche da molti deputati della destra e non solo dalla sinistra. Diventando un eroe nazionale, Romero ha portato unità al Paese. Giada Aquilino, Radio Vaticana, Radiogiornale del 24 maggio 2015.
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