I prefissi e
i suffissi sono elementi strutturali che entrano nella formazione
delle parole. Essi (generalmente parole monosillabiche o
bisillabiche: preposizioni, avverbi, aggettivi, nomi, o pronomi)
considerati come voci autonome, hanno un loro significato il quale
modifica e completa il significato della parola che vanno a formare
quando si aggiungono ad essa (all’inizio, i prefissi; alla fine, i
suffissi). Immaginiamo il modello di una parola.
Essa è composta da
diversi elementi ognuno di essi con un suo significato. Di questi
elementi alcuni sono delle vere e proprie parole se considerate
autonomamente, e perciò il loro significato è evidente; altri,
invece, sono particelle funzionali (es: cas-ett-a;
parla-va-mo)
le quali aggiungono anch’esse una parte di significato, ma che mai
troveremo da sole, per cui non sono parole, anche se secondo alcuni
teorici della lingua, all’origine esse sono state delle parole
isolate che col tempo si sono agglutinate (si sono saldate tra loro,
come fa il glutine nell’impasto del pane). Sono parole che
aggiungono quei significati che scaturiscono dalle categorie
grammaticali, come il tempo, nel caso del verbo, o le alterazioni nel
caso del nome. Allora – credo di averlo già ripetuto altrove, ma
ripeterlo non fa male – il modello della parola risulta così
fatto: al centro una radice (che porta il significato di base della
parola composta), all’inizio e alla fine – se ci sono – si
aggiungono i prefissi (all’inizio) e suffissi (alla fine), che
modificano ognuno per la parte il significato. Solo per essere
completi – non è pedanteria la mia – devo dirvi che esistono
anche gli infissi: sillabe o semplici consonanti che si inseriscono
all’interno di una parola, spaccandone la radice. Questi, però, li
potremo vedere quando ce ne capiterà l’occasione.
Il discorso
dei prefissi e dei suffissi invece ogni parlante lo può seguire
perché il loro uso è pratica quotidiana. E non solo. Ma anche
perché i vocabolari hanno l’ottima abitudine di presentarli, come
si fa con le altre parole, autonomamente, spiegandone il significato
e il modo di usarli (cioè come si attaccano alla radice e se la loro
presenza crea modificazioni fonetiche).
Facciamo un esempio. Auto-
è un prefisso che significa “da solo” in quanto è l’adattamento
nella lingua italiana di un pronome, o meglio avverbio, greco
(antico) che significava “da se stesso”. Auto…lesionismo.
Auto…gol. Auto…mobile
Perciò
autonomo (poiché
“nomos” – un’altra parola greca – è la legge) è colui che
si fa la legge (le regole di comportamento) da solo. Oggi si dice
pure “autodeterminante”. Per cui l’autodeterminazione
è il principio di libertà.
Possiamo
continuare la teoria con la parola autodeterminazione.
Essa, oltre al prefisso “auto-“ contiene anche il suffisso
“-zione” (che serve a formare dei nomi: generalmente a partire da
un verbo). Perciò diremo che “auto-de-termina-zion-e”
(rileviamo, per inciso, che la parte finale delle parole variabili si
chiama desinenza, che
significa parte finale),
ha due prefissi e un suffisso (variabile come i nomi che finiscono
con la “e/i”) applicati alla radice “-termina-“ del verbo
terminare.
Anche i
prefissi e i suffissi hanno una loro storia semantica e una loro
etimologia.
E
continuiamo con un esempio. Auto-mobile è un oggetto mobile, che si
muove “da solo”. Tutti sappiamo di che cosa stiamo parlando. Ad
un certo momento della storia delle civiltà la tecnologia, aiutata
dalla scienza, ha prodotto un veicolo che si muove da solo
soppiantando così il trasporto di persone e cose mediante la
trazione “animale” (cavallo, asino, buoi, cammello, ecc. ed anche
l’uomo stesso). Così per cento anni i trasporti e le comunicazioni
sono stati caratterizzati dalla presenza di questo mezzo “se-movente”
fino al punto di farci dimenticare l’origine del significato della
parola automobile. Un po’ come succede con ascensore, e tante altre
parole (da qui a volte la necessità di studiare l’etimologia delle
parole).
Proprio la
cultura della “macchina che trasporta” ha generato tutta una
serie di servizi che l’uso della lingua (che cerca sempre di
sintetizzare per una ragione di economia all’interno della lingua
stessa) ci fa chiamare: “autoveicolo”, “autosalone”,
“autoradio”, “autonoleggio”, “autorimessa”, “autodromo”,
“autogrill”, “autoriparazioni”, “autolavaggio”, ecc. dove
“auto” non significa più “da se stesso”, bensì “che ha a
che fare con i veicoli a motore”, cioè l’automobile.
Lo stesso
processo è capitato col prefisso “tele-“. Utilizzato nelle
parole televisione, telefono, teleferica, telepatia, ecc. esso ha il
significato dell’avverbio “telei” nel greco antico, cioè “a
distanza” (come il tedesco “fern-“). Ma diffusosi poi l’uso
della televisione come tecnologia; e createsi tante attività
collegate a questo mezzo che ci consente di vedere a distanza
persone, spettacoli e avvenimenti, oggi il prefisso
“tele-“ significa semplicemente “che riguarda la televisione”.
“tele-“ significa semplicemente “che riguarda la televisione”.
Luigi
Casale