Dopo
l’armistizio, annunciato l’otto settembre del 1943, i tedeschi
predisposero quella lunga linea difensiva entrata nella storia con il
nome Gustav che si prolungava dal Tirreno all’Adriatico nelle zone
più strette dell’Italia centrale per contrastare efficacemente
l’avanzata degli alleati lì dove il territorio geografico, montano
ed impervio, poteva rendeva più difficile il passaggio dei mezzi
corazzati.
Dalla foce del Garigliano fino ad Ortona con Montecassino
dominante per ostacolare l’ingresso a Roma e lungo il corso del
fiume Sangro fu tutta una linea di sangue, morte e distruzione dei
comuni occupati. Le popolazioni costrette a sfollare oltre le
retrovie, le stragi per le comunità che non obbedivano o cercavano
di proteggere i pochi beni rimasti, le rappresaglie immotivate contro
gente inerme. L’Abruzzo fu la terra maggiormente colpita,
innumerevoli le località distrutte e le uccisioni singole e di
massa: Gessopalena, Torricella Peligna, Castel di Sangro,
Pietransieri, Ortona, Capistrello, Onna, Filetto… tutte nei libri
di storia e nella memoria.
Particolarmente
efferata, la distinzione è meramente astratta e valga come esempio,
fu la strage a Pietransieri, frazione di Roccaraso. Il 30 settembre
1943 a Sulmona e nei maggiori centri dell’Alto Sangro venne affisso
un manifesto che tra l’altro così recitava:
Questo
paese per esigenze di guerra deve essere distrutto. La popolazione è
invitata a lasciare il paese entro le ore 12 del giorno 21 ottobre
1943. La popolazione potrà portare solo qualche indumento
indispensabile e dovrà recarsi verso Sulmona. Dopo la predetta data
ed ora, tutti coloro che si troveranno ancora in paese o sulle
montagne circostanti saranno considerati ribelli e ad essi sarà
riservato il trattamento stabilito dalle leggi di guerra
dell’esercito germanico. 30 settembre 1943. Firmato: Kesserling.
Molti
obbedirono, altri si rifugiarono in montagna per unirsi ai partigiani
della Brigata Maiella, ma in tanti decisero di non allontanarsi per
salvare il possibile. Il 7 novembre i tedeschi intimarono lo
sfollamento a Pietransieri e gli abitanti rimasti si rifugiarono a
Limmari, nome derivante dai proprietari del luogo, a cinque
chilometri dal paese, zona di pascolo e di masserie. Da Pietransieri
iniziarono i giorni della strage. Il 21 novembre incominciò il
rastrellamento tra le cascine e i poderi. Una violenza inaudita, alla
fine della giornata, una domenica, si contarono 110 corpi straziati
tra bambini, donne, anziani che insieme alle vittime dei giorni
precedenti fecero I
128
di Limmari
dal titolo di un servizio speciale trasmesso dalla Rai il 21
settembre 1967 a cura dell’abruzzese Pasquale Scarpitti che già
aveva vissuto direttamente la distruzione di Castel di Sangro.
Un’unica sopravvissuta a Limmari, Virginia Macerelli, rimasta sotto
il corpo senza vita della madre, coperta dallo scialle che la mamma
le aveva buttato addosso in un ultimo tentativo di difesa. Virginia,
nata nel 1936, racconta ancora il martirio della sua gente ( in Terra
di libertà,
a segg.).
Molti
i libri che raccolgono le vicende di guerra in terra d’Abruzzo, ma
pochi quelli che danno nome e Storia a donne e uomini pronti al
sacrificio pur di aiutare, nascondere, ospitare l’altro italiano o
straniero, ebreo o anglicano o cattolico, senza distinzione di razza,
perseguitato, ricercato, inseguito, fuggito dai campi d’internamento
dopo l’otto settembre. Uomini in fuga dai tedeschi, nomi noti e non
alla ricerca di un po’ di cibo, di un nascondiglio, di un percorso
da seguire verso la salvezza in territori completamente sconosciuti.
Allora porte che si aprono, comunità che accolgono, rifugi che si
creano, le poche cose rimaste che si spartiscono. Il nemico di ieri
da salvare con il rischio consapevole di un proprio annientamento da
parte dei nazisti o di sempre nascosti conniventi.
Due
testi tra i pochi, per ricordare gli eroi, i martiri senza Storia, le
donne e gli uomini arrivati fino a noi grazie a frammenti di memoria:
il primo lontano nel tempo, quasi sicuramente il primo, l’altro di
questi nostri giorni.
A
guerra appena conclusa la storica casa editrice Carabba di Lanciano
stampò un libro di Corrado
Colacito
Sotto
il tallone tedesco. Cronaca di un paese d’Abruzzo
che l’autore aveva già terminato l’anno prima, nell’agosto del
1944. Il volume ha avuto una nuova edizione nell’aprile del 2005 a
cura dell’aquilana Textus. Colacito, spirito non conformista,
“giramondo per sangue e vocazione”, autore di numerose
pubblicazioni di carattere storico-geografico, passò parte della sua
vita a Caramanico, piccolo paese della terra d’Abruzzo, “a
Caramanico era affezionato in maniera profonda…era il suo paese e
lo sarà sempre.”, così lo ricorda il figlio Gianfranco nella
Premessa
alla nuova edizione.
La
testimonianza delle atrocità commesse dalle truppe tedesche e il
valore singolo e d’insieme di una popolazione così ha il suo
incipit: “Caramanico, tranquillo paese d’Abruzzo, è stato
durante il periodo dell’occupazione tedesca, teatro di singolari
avvenimenti che sarebbe ingiusto far cadere del tutto in oblio.
Giudicato reo di aver largamente ospitato i prigionieri di guerra
che, dopo l’otto settembre, erano fuggiti dai campi di
concentramento, il paese che, per malaventura, si trovava nelle
immediate retrovie, fu per circa dieci mesi, sottoposto ad ogni sorta
di soprusi e di vendette e parecchi caramanichesi pagarono con la
vita la loro umana, fraterna opera di soccorso a chi domandava pane e
asilo…”.
Seguono
dieci mesi di cronaca caramanichese, dal settembre 1943 al giugno del
1944, dalla fuga di trecentosessanta prigionieri angloamericani dal
campo di concentramento di Acquafredda vicino a Roccamorice alla
protezione offerta a coloro che arrivarono a Caramanico da parte
della popolazione: “E pensare che fino a ieri erano nostri
nemici!”. Poi episodi singoli e collettivi, l’asilo dato presso
casolari abbandonati, il numero dei prigionieri provenienti da altri
campi che aumenta sempre di più, le provviste alimentari sempre più
scarse, le popolane incuranti del pericolo che distribuiscono ceste
piene di viveri ai prigionieri nascosti nelle grotte perché: “Ho
anch’io un figlio…”, le truppe angloamericane annunciate che
non arrivano e…la rappresaglia tedesca anche per delazione di
loschi figuri.
Così
il libro si chiude: “Il 18 giugno 1944, cioè otto giorni dopo la
fuga dei tedeschi, Caramanico ha commemorato i suoi morti. Dopo una
breve cerimonia religiosa, una lapide posta sulla facciata del
palazzo comunale…è stata scoperta al pubblico”. Seguono le
parole incise e i nomi non illustri dei martiri di una piccola
comunità che non ha conosciuto da parte nazista alcun sentimento di
pietà. Naturalmente non solo una lapide perpetua il ricordo!
Una
cartolina postale che riportiamo integralmente, proveniente
dall’Archivio Colacito, testimonia il valore di questo piccolo
libro:
Napoli,
26. VI. 48
Caro
Sig. Colacito,
grazie
massime del volumetto, che lessi immediatamente, anzi divorai,
desideroso di apprendere come da vicino e con particolari quanto
accade in quei mesi del 43 – 44 in Abruzzo, che ebbe ripercussioni
dolorose in me lontano o mi fu frammentariamente riferito da miei
parenti d’Abruzzo che vennero profughi in casa mia. Spero che per
altri luoghi della regione siano state raccolte testimonianze degli
avvenimenti. Mi abbia con molti saluti.
Suo
B.
Croce
Questa
cronaca
divenne narrazione nel racconto Seme
di Laudomia Bonanni, inserito nel libro Il
fosso
e che rivelò l’esordiente scrittrice abruzzese alla critica
letteraria e al pubblico dei lettori aggiudicandosi il Premio “Amici
della domenica” del salotto Bellonci nel 1948 a cui si aggiunse nel
1950 il Premio “Bagutta”. La Bonanni visse per lunghi periodi a
Caramanico ed era la sorella di Maria Luisa, moglie di Corrado
Colacito!
Poi
l’altro libro più vicino a noi.
Gran
bel titolo, significativo e metaforico insieme Terra
di libertà
curato da Maria
Rosaria La Morgia
e Mario
Setta
per le Edizioni Tracce – Fondazione Pescarabruzzo, Pescara,
dicembre 2014.
Terra
dell’Abruzzo interno, dei borghi, dei villaggi sperduti tra le
montagne, di una geografia aspra e non sempre benigna, terra di
guerra, della linea Gustav, di atrocità, di lacrime e sangue, di
distruzioni e morte nella seconda guerra mondiale.
Terra
di libertà, di volti senza nome, di eroi senza Storia, di donne e
uomini arrivati fino a noi grazie a frammenti di memoria, di cibo
scarso e condiviso, di eremi e grotte, di capanne e fienili, di
sottotetti e di rifugi improvvisati.
Terra
di giovani ed anziani, di pastori e cacciatori, di laureati e
contadini, di sarte e muratori, di tanti altri ancora pronti al
sacrificio pur di aiutare, rispondendo ai principi di umana
solidarietà.
Terra
di resistenza civile e resilienza, come Nicola Mattoscio ha
evidenziato nella Presentazione,
alla
violenza nazista cieca e dissennata, alle stragi gratuite nei paesi e
nei villaggi, alla terra bruciata, agli esili e alle deportazioni di
massa.
Trentacinque
testimonianze di personaggi famosi e non, costituiscono il mosaico di
questo testo con storie di donne e di uomini dal denominatore comune:
la libertà “aspirazione e traguardo di ogni protagonista, in un
tempo in cui la libertà era perseguitata, martoriata, assassinata”,
come sottolineano gli autori. Un libro in cui avviene il “contatto
tra culture lontanissime tra loro, divise non soltanto dalla lingua,
ma anche da una distanza sociale, tra membri della borghesia di
società allora molto avanzate rispetto all’Italia e tra i più
poveri di un paese arretrato”, così Elena Aga Rossi
nell’Introduzione.
Tutti coinvolti nella tragica esperienza della guerra.
Ecco
allora i fuggitivi dai campi d’internamento dopo l’armistizio, i
martiri delle contrade, gli intellettuali al confino o nelle galere,
con le loro storie narrate direttamente o gelosamente nascoste e
ritrovate, i parenti e gli amici che tornano nei pellegrinaggi della
memoria, mani che si stringono, ricordi che si rinnovano in questa
terra di libertà.
Carlo
Azeglio Ciampi, riparato in Abruzzo, e il macchinista (neppure il
nome è rimasto) che rallenta il treno alla stazione di Anversa per
permettergli di saltare giù senza essere visto; il filosofo Guido
Calogero, confinato a Scanno, e le donne della Valle del Sagittario
“che andavano al mulino per macinare il grano, lasciavano un pugno
di farina perché servisse a sfamare i prigionieri fuggiaschi” e il
pastore di Anversa Michele Del Greco fucilato dai tedeschi per
l’aiuto dato agli ex internati e la sarta di Sulmona Iride Imperoli
Colaprete, “organizzatrice dell’assistenza ai prigionieri
liberati dal campo della Badia”, sopravvissuta alla rappresaglia;
l’inglese John Furman, narratore prezioso nel libro Be
Not Fearful,
“una vita da fuggiasco tra Sulmona e Roma”, scappato dal campo di
concentramento di Fonte d’Amore (Sulmona) aiutato da due anonimi
soldati austriaci, Hans e Fritz, a fuggire di nuovo dopo essere stato
ripreso e nascosto in casa dalla famiglia Valeri di Sulmona con Iride
Imperoli “ambasciatrice” presso il Vaticano e la retata a Sulmona
di numerosi soccorritori con successive condanne di prigionia e di
morte; Virgilia Macerelli, la sopravvissuta all’eccidio di
Pietransieri e la sua tragica memoria “…Tutti strillavano. La
prima volta che hanno cominciato ad uccidere, che urli si sentivano!
Poi è rimasto solo silenzio. Non si sentivano neanche più gli
uccelli. Niente! Non si sentiva niente. Tutto il mondo era
silenzio.”; Domenico ed Elisa Silvestri, guide indispensabili per i
fuggitivi al fine di raggiungere il comando alleato a Casoli
valicando in pieno inverno il Guado di Coccia sulla Maiella… ma
molti rimangono tra la neve; Walter Leslie Jagger e William Pusey,
fuggiaschi sulle montagne del Sirente e il loro angelo protettore, un
ragazzino dodicenne, e successivamente William incontra anche
l’amore; l’internata ebrea Maria Eisenstein e la sua
testimonianza in un diario “l’angoscia di ogni ebreo…fotografia
di personaggi, diario di vita quotidiana”; Leone e Natalia
Ginzburg, famiglia nota di intellettuali, Leone morto a seguito della
tortura nazista, confinati a Pizzoli, paese dell’aquilano, e gli
ottimi rapporti con la popolazione locale e un oscuro muratore poi
divenuto deputato del P.C.I., Vittorio Giorgi, “…un amico
lungamente atteso”; John Verney, artista e scrittore, catturato dai
tedeschi in Palestina, rinchiuso nel campo n. 21 di Chieti,
successivamente trasferito al campo n. 78 di Fonte d’Amore, fuggito
da un treno durante la deportazione in Germania, testimone
straordinario e autore di una lettera per i contadini che l’avevano
aiutato “Forse la più coinvolgente e la più bella delle opere
scritte dagli ex-prigionieri di guerra in Abruzzo”; Stann Skinner,
sopravvissuto al terribile bombardamento della stazione de L’Aquila
prima di essere deportato in Germania e il suo libro Sulmona
and After
(Sulmona
e
dopo)
dove racconta la disperata fuga sul monte Morrone e l’aiuto
ricevuto a Roccacaramanico dalla gente del luogo “…vivemmo
davvero in un mondo di sogno per tre settimane”.
Sono
alcune delle testimonianze, altre non riportate ma tutte da leggere!
Terra
di libertà
chiude le sue pagine con l’intervista di Maria Rosaria La Morgia a
Carlo Troilo sulla storia della Brigata Maiella e sul padre Ettore
Troilo, la sola formazione partigiana in Italia ad essere
riconosciuta come “reparto irregolare” dagli stessi alleati,
onore e gloria del nostro Abruzzo.
Queste
Storie
di uomini e donne nell’Abruzzo della seconda guerra mondiale,
insieme alla Cronaca
di un paese d’Abruzzo
costituiscono uno dei pochi scritti che rievocano l’impegno, la
dedizione, le tragedie di popolazioni che, annullando ogni ideologia
e pensiero politico, aprirono le proprie case, offrirono le proprie
scarse cose a coloro indicati fino al giorno prima i nemici da
annullare.
Testimonianze
singole (molti preferirono cercare di cancellare dalla memoria,
tornati a casa, le proprie tragiche esperienze) e collettive che
inseriscono eroi e martiri senza volto nei libri della Storia.
Gianfranco
Giustizieri
Per
gentile concessione di “Rivista Abruzzese”n°2 in uscita il 15
maggio c.a.