Mafia, Fattitaliani intervista il prof. Enzo Ciconte: il Nord per un lungo periodo ne ha negato l’esistenza

Fattitaliani ha incontrato e intervistato Enzo Ciconte, docente di Storia criminalità organizzata all’Università di Roma Tre e di Storia delle mafie italiane a Pavia.

Lei è il massimo esperto in Italia delle dinamiche delle associazioni mafiose, come nasce questo suo interesse? 
Per la criminalità organizzata è molto semplice, sono calabrese, mi sono occupato di politica in Calabria e la politica incrocia immediatamente la ‘ndrangheta, per cui era necessario studiare il fenomeno per capire la Calabria e molte delle dinamiche del potere calabrese e nazionale. 
Lei è stato anche il primo a parlare di infiltrazione mafiosa al Nord, l’Emilia Romagna, nega però il problema. Come mai? 
Non è solo l’Emilia Romagna, in realtà tutte le regioni del Nord hanno per un lungo periodo negato l’esistenza della mafia. La cosa ha una spiegazione, nel senso che molti hanno vergogna ad ammettere una cosa del genere. Nessuno ammette con tranquillità di avere una presenza mafiosa nel proprio territorio ma è un atteggiamento sbagliato. Questo riguarda la generalità dei settentrionali, poi però ci sono uomini del settentrione che sanno benissimo che la mafia c’è e la negano per non essere scoperti, perché con la mafia fanno affari, con la mafia hanno una capacità di avere rapporti quotidiani per i loro affari. Lei insegna Storia della Criminalità organizzata all’Università di Roma tre, quanto è alto l’interesse degli studenti, verso questa materia? Ho iniziato il primo corso, esattamente dieci anni fa e c’erano quattrocento studenti che ne hanno fatto richiesta, mi pare che ciò sia la conferma di un interesse grande che è continuato per tutti questi anni e ogni volta gli studenti cambiano. Diciamo che c’è una media di centocinquanta, duecento partecipanti all’anno che mi pare un buon numero. 
Adesso collabora con l’Università di Pavia ed insegna Storia delle mafie italiane... 
Anche a Pavia è un’esperienza molto bella, per alcuni versi straordinaria. Lì c’è il Collegio Santa Caterina da Siena che ha proposto alle facoltà universitarie di fare questo corso. Hanno risposto quattro dipartimenti: Legge, Lettere, Scienze Politiche ed Economia e mandano gli studenti che lo richiedano. E’ il secondo anno che faccio questa esperienza, l’anno scorso avevamo centoventi studenti, quest’anno ne abbiamo già ottantacinque che hanno voglia di seguire questo corso e di fare l’esame. 
E’ stato consulente della Commissione Antimafia, come ha vissuto questa esperienza? Facendo il Consulente si ha la possibilità di assistere alle sedute e di andare in missione con gli altri deputati e senatori. E’ stata senz’altro un’esperienza di grande interesse. Il primo libro che ha scritto parlava di storia della ndrangheta, approfondendo il fenomeno mafioso dal punto di vista storico. E’ vero perché prima di me ne avevano scritto altri, ma trattavano il fenomeno dal punto di vista giornalistico e non storico. Luigi Malafarina e Saro Gambino avevano scritto dei libri importanti sul fenomeno solo da un punto di vista di cronaca. Mancava un libro di storia della ndrangheta ma soprattutto mancava la ndrangheta nella storia della Calabria, perché nessuno si era accorto di questo fenomeno che era stato sempre tenuto nascosto, sottovalutato, per molti aspetti anche ignorato. 
Forse perché generalizzato sotto forma di mafia? 
Siccome non ero convinto di quello che dicevano alcuni: che la mafia calabrese fosse un prodotto degli ultimi venti anni, sono andato nell’Archivio di Stato di Catanzaro e chiedo tutte le sentenze penali dal 1800 in avanti, per capire se ci fossero o meno i mafiosi. C’erano e si chiamavano in altro modo: picciotti, malavita, camorra ma era sempre ndrangheta, situati negli stessi posti dove si trovano ancora oggi, con le stesse famiglie di oggi, quindi è una continuità storica molto ampia e con lo stesso rapporto con la politica come oggi.
Si può parlare quindi della ndrangheta come tradizione di famiglia o oggi è cambiato qualcosa?
Si sono allargate le famiglie ma quelle storiche sono rimaste . La forza della ndrangheta, risiede esattamente nella composizione familiare. Nella famiglia hai due vantaggi: il primo è che difficilmente qualcuno possa tradire facendo il collaboratore di giustizia; il secondo è che la donna viene utilizzata come si faceva nella nobiltà cinquecentesca in poi e, cioè veniva data in sposa per allargare all’epoca gli Imperi e i Regni, oggi le famiglie mafiose. Una donna di ndrangheta non conta nulla, si sposa come dice il padre, con un componente di un’altra famiglia mafiosa, per allargare gli interessi. 
Nel 1992, in un altro libro ha parlato della “Nuova schiavitù- Il Traffico degli esseri umani", un argomento molto attuale oggi... 
Purtroppo sì. Quella è stata una bella ricerca, con un gruppo di lavoro abbiamo analizzato la presenza della riduzione in schiavitù delle donne dell’Est che all’epoca erano quelle predominanti, in quanto non arrivavano ancora dall’Africa. Venivano violentate e poi costrette a prostituirsi o con la promessa che dopo un certo numero di anni, sarebbero potute tornare nel loro Paese. Sono state pochissime quelle tornate indietro, il resto sono state schiavizzate e ridotte in una condizione miserabile, dal punto di vista umano. 
Questo tema si riallaccia un po’ ad un altro suo libro “Storia dello stupro e di donne ribelli in Calabria”... 
Sì ma solo in parte perché non c’è la prostituzione ma c’è solo la violenza. E’ un libro che abbraccia un periodo storico molto ampio, parte dal settecento e arriva fino a metà del novecento. Racconto non solo la storia delle donne stuprate ma racconto la storia di donne che si sono ribellate. Molte donne della Calabria, contrariamente a quanto si possa immaginare, sono ribelli, denunciano. Se teniamo conto del fatto che i fatti avvenivano nel settecento, fino ai primi anni cinquanta del novecento, ci rendiamo conto della forza enorme di queste donne perché denunciando, ammettevano pubblicamente di aver perso la verginità, cioè il bene prezioso che all’epoca consentiva di accedere ad un matrimonio onorevole, denunciando questo fatto, loro dal punto di vista del mercato matrimoniale diventavano una nullità. Eppure, nonostante ciò, denunciavano e rinunciavano di sposare gli uomini che le avevano violentate. Avevano una forza straordinaria che difficilmente era stata messa in luce negli anni precedenti.
Volendo internazionalizzare il fenomeno c’è anche Australian ‘ndrangheta... Sì perché lì, io e il Giudice Macrì abbiamo lavorato sulla relazione di Nicola Calipari che era uno straordinario uomo della Polizia italiana che fu mandato in Australia perché aveva subito minacce a Cosenza che veniva considerata senza presenze mafiose. Cominciò a collaborare con i colleghi australiani nelle indagini e ritornò portandosi due relazioni ed i Codici di affiliazione alla ndrangheta in Australia. 
Banditi e Briganti, rivolta continua dal 500 all’800 
Sul brigantaggio erano state scritte tante cose, con quel libro ho cercato di fare il punto, mettendo insieme un ragionamento che dicesse “il brigantaggio non è solo un fenomeno calabrese, è un fenomeno nazionale che si trova nel Lazio, nella Romagna, nel Piemonte ma si chiamava banditismo ma non è un fenomeno solo di delinquenti ma è un problema di reazioni, se vogliamo anche di classe, di contadini che non avendo avuto la possibilità di occupare le terre dei baroni e dei latifondisti che erano spesso mal coltivate o incolte, erano costretti a fare i briganti. Se all’epoca ci fosse stata la possibilità di lavorare su quelle terre, la storia del mezzogiorno, sarebbe stata diversa da quella che abbiamo avuto. 
“Ognuno faccia la sua parte. Conversazione sulla mafia italiana”. 
E’ la raccolta delle lezioni che ci sono state a Pavia e si riferisce a tutti dicendo “Se ognuno di noi facesse la propria parte, noi non avremmo il fenomeno mafioso forte come adesso. L’omertà non è solo un fenomeno meridionale ma è Nazionale. 
Elisabetta Ruffolo
© Riproduzione riservata
Fattitaliani

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