un secolo e mezzo di storia politica italiana per la prima volta rivisto attraverso la lente dell’offesa e del vituperio, una specialità in cui siamo maestri insuperati, più ancora di francesi e inglesi. L'intervista di Fattitaliani all'autore.
Prima di tutto, perché una storia su Offese, insulti e turpiloquio nella politica italiana?
Perché - come ha ricordato il presidente Napolitano - dinanzi all’ingiuria indecente e aggressiva, specie se a sfondo razzista o maschilista, e ancor più se pronunciata da chi dovrebbe unire alla dignità personale quella istituzionale, è tempo di levare un argine comune. Quando linguaggio e comportamenti politici sono senza freni e senza responsabilità, una società rischia il quotidiano disfacimento.
Da Cavour a Grillo, a parte l'evoluzione o involuzione del linguaggio in sé, che cosa è fondamentalmente rimasto uguale nell'insolenza politica?
La necessità di esasperare ad arte lo scontro politico. Trasformare l’avversario in nemico può essere a volte una strategia, messa in campo quando mancano solidi argomenti oppure per mascherare problemi all’interno del proprio schieramento.
I media e internet amplificano molto certi interventi di oggi: nel passato c'è stato un periodo o un personaggio che si è particolarmente distinto in questa "arte"?
Il primo “artista” dell’insulto politico è stato Gabriele D’Annunzio, con le sue immaginifiche tempeste verbali indirizzate contro “il gran boia labbrone” Giovanni Giolitti ai tempi delle “radiose giornate di maggio” che precedettero l’entrata in guerra dell’Italia. Subito dopo Mussolini fu il più capace di rielaborare insulti e ingiurie in una sintesi di aggressività inedita contro gli avversari. In tempi più recenti un altro grande insultatore è stato Palmiro Togliatti, che insultava non solo De Gasperi, Prezzolini e George Orwell, ma perfino l’arte astratta!
Se dovesse stilare una classifica dei primi cinque insulti utilizzati quali parole o espressioni metterebbe?
Risponderò con il Times. Romano Prodi, nel 2006, negli studi tv di Porta a Porta, ribatté ai dati che Berlusconi presentava a difesa dell’operato del suo governo, con una citazione di George Bernard Shaw: «Mi sembra che Berlusconi si affidi ai numeri un po’ come gli ubriachi si attaccano ai lampioni... non per farsi illuminare». Con la sua infelice uscita Prodi ha guadagnato la testa nella top ten degli insulti politici di tutti i tempi, stilata dal Times, davanti a Winston Churchill, che dopo la seconda guerra mondiale aveva definito Clement Attlee, eletto primo ministro, «una pecora in abiti da pecora», parafrasi del «lupo in abiti da pecora». Non solo: Prodi, oltre a essere vincente, è, titolo non proprio di merito, un’eccezione. È l’unico in quella classifica ad essere italiano, mentre tutti gli altri insultatori sono inglesi.
In quale politico l'insulto coincide con una linea del proprio partito?
Ieri Guglielmo Giannini dell’ “Uomo qualunque”, oggi Beppe Grillo. Le istanze in molti casi giuste avanzate dal Movimento 5 stelle si sono tradotte in una politica sterile, che infiamma lo scontro per assegnarsi una missione salvifica. Attraverso l’insolenza Grillo stabilisce la linea di demarcazione, individuando chi è giusto, ovvero chi insulta, e chi non lo è, ovvero l’insultato. Lo scrittore Guido Ceronetti, che pure apprezza per molti versi Grillo, osserva che «la politica della dismisura fa peggio della vecchia. Non serve pacatezza quando c’è bisogno di urla, a patto di non varcare mai la misura, perché è subito Hybris, la Dismisura che scatena le potenze infere castigatrici. Grillo ha urlato senza misura, quantunque con più che buoni motivi, e mettere una sella su una tigre non è facile. La Hybris, avvertiva Eraclito, va spenta più di un incendio».
Se i politici che abbiamo - per quanto spesso criticati - sono comunque espressione di chi li ha votati, gli italiani hanno imparato nel tempo ad insultare e offendere seguendo il loro esempio?
I politici sono il prodotto del Paese che li elegge, non sono né migliori né peggiori. Tra fine ottocento e inizio novecento, le lotte operaie, le rivolte contadine, l’ampliarsi degli spazi democratici, la richiesta di condizioni di vita migliori per i nuovi italiani, portarono alla ribalta della scena politica grandi masse, che ne erano fino ad allora restate ai margini. Il linguaggio che esprimeva il sentire politico, inevitabilmente cambiò: non si sposava più alle involuzioni auliche delle classi dominanti, perché grandi masse a scarsa o nulla alfabetizzazione ne diffondevano un nuovo utilizzo, più basso e più rozzo se vogliamo, ma anche più facile e sanguigno, carnale e immediatamente comprensibile a tutti.
A volte certi politici esagerano in maniera evidente... non c'è un'etica intrinseca? un modo anche "legale" che impedisca tali meschine esibizioni?
Non può esserci alcun modo “legale”. La censura non è mai una soluzione. La sanzione arriva al momento del voto. Se c’è una buona politica questa vince, se la politica è cattiva prevale il linguaggio “cattivo”. Pensare di censurare qualcuno o di far prevalere forzatamente un etica su un’altra non è solo pericoloso, è anche inutile, tanto più al tempo di internet.
C'è un politico che negli anni del suo operato ha cambiato stile (da mite ad aggressivo o viceversa)?
I linguaggi sono sempre funzionali. Lo stile del politico cambia quando questi va al governo. Allora cambia linguaggio e assume i toni dello statista, rigettando quelli, ora inutili, dell’aggressione. Mussolini, per esempio, modificò radicalmente il suo linguaggio quando passo dall’insurrezione al governo del Paese.
E fra le donne, oggi chi meriterebbe la palma della vittoria? Fa più impressione sentire turpiloqui da parte loro?
Cosa non si fa per un po’ di visibilità… Anche le donne, di tutti i partiti, nessuno escluso, fanno la loro parte. Ma è vero che nel politico maschio il linguaggio aggressivo e sboccato è più frequente. Diciamo che i maschi sono più abituati, fin da piccoli.
Personalmente, c'è stato un intervento che l'ha colpita particolarmente se non scioccata?
In generale osservo solo che troppi uomini politici tendono oggi a somigliare ai personaggi di una vignetta di Altan in cui due uomini brindano, tronfi ed eleganti: «Anno nuovo, nuovo stile nel confronto politico», dice uno; e l’altro: «Rispetto per quei delinquenti degli avversari e quegli stronzi degli alleati». Ma il Paese ha bisogno di altro. Giovanni Zambito.
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L'AUTORE
L’autore Antonello Capurso è nato a Roma nel 1955. Giornalista e scrittore. È commentatore politico per i telegiornali Mediaset (TgCom24, Tg4 e Studio Aperto). Ha collaborato con la Rai, Panorama, il magazine del Corriere della Sera, il Foglio (per il quale ha curato dal 1997 le rubriche di costume politico “Gossip” e “Colonna Ruffiana”). Ha pubblicato, oltre a diverse opere in campo letterario, radiofonico e teatrale, anche diversi saggi sui partiti e di politica costituzionale. I suoi ultimi libri sono Dialogo sulla giustizia con Anna Finocchiaro (Passigli, 2005), I discorsi che hanno cambiato l’Italia (Oscar Storia Mondadori, 2008), Le frasi celebri nella storia d’Italia, da Vittorio Emanuele II a Berlusconi (Oscar Storia Mondadori, 2011).
IL LIBRO
Un secolo e mezzo di storia politica italiana per la prima volta visto attraverso la lente dell'offesa e del vituperio, una specialità in cui siamo maestri insuperati, più ancora di francesi e inglesi. Tra insulti e risse, schiaffoni e turpiloquio, dal celebre scontro tra Garibaldi e Cavour ai peones da rissa del dopoguerra, dalla fine della prima repubblica ai più recenti exploit di Grillo. Ma anche il racconto di celebri insolenze, di duelli, di insulti popolari lanciati contro Mussolini mentre i gerarchi se ne dicono di tutti i colori. E ancora: la disfida tra Scalfaro e Totò per colpa di una donna, la grande zuffa del 1953, l'insolenza ideologica di Togliatti, gli insulti immaginifici di D'Annunzio e Cossiga, la proliferazione via internet di gravità finora impensabili.
L'AUTORE
L’autore Antonello Capurso è nato a Roma nel 1955. Giornalista e scrittore. È commentatore politico per i telegiornali Mediaset (TgCom24, Tg4 e Studio Aperto). Ha collaborato con la Rai, Panorama, il magazine del Corriere della Sera, il Foglio (per il quale ha curato dal 1997 le rubriche di costume politico “Gossip” e “Colonna Ruffiana”). Ha pubblicato, oltre a diverse opere in campo letterario, radiofonico e teatrale, anche diversi saggi sui partiti e di politica costituzionale. I suoi ultimi libri sono Dialogo sulla giustizia con Anna Finocchiaro (Passigli, 2005), I discorsi che hanno cambiato l’Italia (Oscar Storia Mondadori, 2008), Le frasi celebri nella storia d’Italia, da Vittorio Emanuele II a Berlusconi (Oscar Storia Mondadori, 2011).
IL LIBRO
Un secolo e mezzo di storia politica italiana per la prima volta visto attraverso la lente dell'offesa e del vituperio, una specialità in cui siamo maestri insuperati, più ancora di francesi e inglesi. Tra insulti e risse, schiaffoni e turpiloquio, dal celebre scontro tra Garibaldi e Cavour ai peones da rissa del dopoguerra, dalla fine della prima repubblica ai più recenti exploit di Grillo. Ma anche il racconto di celebri insolenze, di duelli, di insulti popolari lanciati contro Mussolini mentre i gerarchi se ne dicono di tutti i colori. E ancora: la disfida tra Scalfaro e Totò per colpa di una donna, la grande zuffa del 1953, l'insolenza ideologica di Togliatti, gli insulti immaginifici di D'Annunzio e Cossiga, la proliferazione via internet di gravità finora impensabili.