«Cosa
distingue la situazione della mia Chiesa da tutte le altre? Quale
importanza attribuisco agli eventi che la stanno attraversando? Che
cosa pensa la mia gente della chiusura della nostra chiesa
Cattedrale, del crollo dei centri storici in città e nei paesi della
provincia; dello sbarco dei migranti a Lampedusa e Linosa, della loro
permanenza nei nostri comuni; della manifestazione di dolore di papa
Francesco a Lampedusa? Riusciamo, noi popolo di Dio, negli eventi del
nostro tempo, a cogliere l’esuberanza di significato di cui sono
portatori rispetto al loro contenuto immediato? Stiamo ascoltando ciò
che lo Spirito dice alla nostra Chiesa?».
Quelle
appena immaginate sono alcune delle domande che don Franco rivolge a
Sé e alla sua gente dal 17 maggio del 2008, ovvero, dalla data di
inizio del suo ministero episcopale ad Agrigento. Dette domande non
interpellano la sola ragione, piuttosto sono totalizzanti, le
risposte perciò non possono giungere unicamente dall’acutezza
dell’ingegno, richiedono la profondità dello sguardo, l’avvolgente
calore dell’accoglienza e la fatica dell’operosità.
Il
nostro Arcivescovo, per meglio vedere nella fede ed elevarsi allo
sguardo di Dio, per capire e cercare di non fraintenderLo, ama
capovolgere le prospettive e scombinare le carte geografiche. Spesso,
e non solo in prossimità del Natale, parla di un «Dio Capovolto».
E, a proposito di sguardo, afferma: «Gli occhi parlano!» e perciò
«È interessante chiederci non come noi vediamo gli altri (i poveri,
gli immigrati, gli esclusi, gli emarginati), ma come gli altri vedono
noi, cosa scatta in loro quando scrutano i nostri gesti, come leggono
la nostra vita». Il Vescovo, certo che «Dio […] parla dentro la
complessità della storia» interroga e si interroga per far sì che
le scelte di Chiesa «non risultino avulse dalla storia […] ma da
essa si lascino contagiare e a essa si intreccino per manifestare la
sua indole di salvezza e di speranza». Portare la carità dentro la
storia e vivere la storia all’insegna della carità è una delle
forme pratiche di traduzione del suo motto episcopale Caritas
sine modo:.
Se
provassimo ora a fondere lo sguardo nell’Orizzonte alto e altro
della Carità, tre sono i “segni dei tempi” che finora sembrano
caratterizzare marcatamente l’episcopato di don Franco in terra
agrigentina. Il primo dei tre è un groviglio segnico costituito
dalla chiusura della chiesa cattedrale, dal crollo di Favara con la
morte delle piccole sorelline Bellavia e dalla precarietà del centro
storico, avvenimenti originati anche dall’incuria umana e dal
saccheggio del territorio ovvero, dal famelico accaparramento dello
spazio; il secondo, che rischia di passare per esclusivo senza
esserlo, è quello dei migranti e delle loro tristi vicende; il terzo
segno lo si coglie nella visita di papa Francesco a Lampedusa, visita
alla Chiesa che è in Agrigento, l’8 luglio 2013. Tre segni
apparentemente soluti l’uno dall’altro se scorti esclusivamente
dal versante mondano, profondamente e intrinsecamente connessi se
guardati dal versante dell’economia della storia di salvezza.
Tre
segni che sospingono la Chiesa agrigentina nella missione
evangelizzatrice e la sollecitano ad una sua ulteriore estroversione.
Lo spazio a nostra disposizione non ci permette analisi dettagliate,
ma si pensi come il segno della cattedrale ferita costituisca una
feritoia per la missione: “costringe” il vescovo a convocare la
sua Chiesa non al chiuso delle mura ma nelle piazze, non in sontuose
aule liturgiche ma nelle strade, non nei luoghi preposti al culto ma
nei vicoli e nei cortili della città. Del resto, il presule ama
citare Frei Betto, un altro uomo che ama le logiche capovolte, che a
proposito dei luoghi della nostra ricerca del Cristo scrive: «Quando
lo cerchiamo nel tempio, Lui si trova nella stalla; quando lo
cerchiamo tra i sacerdoti, si trova in mezzo ai peccatori; quando lo
cerchiamo libero, è prigioniero; quando lo cerchiamo rivestito di
gloria, è sulla croce ricoperto di sangue». È innegabile che la
“strada” nel magistero di Mons. Montenegro, al di là del suo
essere mero luogo geografico, è un vero e proprio luogo teologico
nel quale centro e periferie esistenziali si incontrano rischiando
però di ignorarsi vicendevolmente, per questo, più che altrove, è
luogo dell’annuncio e della missione per la costruzione della
fraternità cristiana.
Strada
sono le rotte del Mediterraneo solcate dalle carrette del mare,
attraversate da carichi di disperazione e speranza. Grazie alla
presenza delle comunità di Lampedusa e Linosa, questa Chiesa si è
sentita, in un crescendo che ha toccato vertici inimmaginabili in
questi ultimi anni, chiamata da Dio a solcare anche il suo mare «per
rendere visibile la compassione di Dio […] e scandalizzare con i
gesti dell’amore».
Il fenomeno del passaggio dei migranti da Lampedusa e Linosa e la
loro permanenza in diversi centri del territorio diocesano, insieme
con la forte migrazione dall’agrigentino verso il nord Italia o il
centro-nord Europa costituisce, a nostro giudizio, un altro segno dei
tempi che caratterizza l’episcopato di mons. Montenegro, così
come la visita di Papa Francesco a Lampedusa. A tal proposito citiamo
le parole del nostro Presule: «Lì Dio ci ha raggiunto, è venuto a
trovarci. Se il Papa, il Vicario di Cristo, ha deciso di recarvisi
pellegrino umile e penitente, non lo ha forse fatto perché in quanto
stava accadendo ha riconosciuto i segni evidenti della presenza di
Dio? Il gesto del Papa ci stimola ad andare oltre la logica del
“fatto di cronaca” o della semplice commiserazione («poverini
gli immigrati che sono morti»). No! I fatti di Lampedusa per noi
sono molto di più. È la grammatica che dobbiamo imparare a
conoscere, il verbo saper declinare affinché in ogni situazione di
sofferenza impariamo a dire: “Qui c’è Dio” e iniziamo ad agire
di conseguenza».
Per
il Pastore – presumiamo – che leggere i segni dei tempi è
compito ingrato, arduo, duro. Così come non facile è quello di
essere sentinella posta sulla sommità della città: a lei si chiede
delle porte e delle mura, ma nella notte anche del tempo che manca
perché sopravvenga l’aurora e poi l’alba di un nuovo giorno (cf.
Is 21, 11); e ancora più ingrato ci appare quello di guidare un
popolo lungo i deserti della storia verso le terre promesse della
fraternità e della pace; certo a fianco di Mosè non mancarono
coraggiosi esploratori pronti ad andare in avanscoperta, ma non
mancarono nemmeno la solitudine, le mormorazioni di Massa e Meriba
(cf. Es 17,7) e il tentativo di delegittimazione di Core e dei suoi
figli (cf. Nm 16, 1 ss). Tuttavia lui godeva dell’amicizia di Dio
(cf Es 33, 11) e tanto gli bastava, così come a Paolo di Tarso
basterà la grazia del Signore (cf. 2 Cor 12, 9-10).
Il
Vescovo Montenegro vive «una storia piena di eventi difficili da
decifrare» ma proprio in essi scorge il passaggio e la permanenza di
Dio, e da Agrigento e Lampedusa annuncia alla Chiesa e al mondo: «Qui
c’è Dio»!
Alfonso
Cacciatore
©
Riproduzione riservata
Vedi l'intervista di Fattitaliani a mons. Francesco Montenegro
Mons.
Francesco Montenegro, classe 1946, è stato ordinato presbitero per e
nella Chiesa di Messina, l’8 agosto 1969. Dall’ordinazione al
1971, ha esercitato il suo ministero al Villaggio UNRRA (United
Nations Relief and Rehabilitation Administration ovvero
Amministrazione delle Nazioni Unite per l’Assistenza e la
Riabilitazione delle zone danneggiate dalla guerra), rione periferico
della città di Messina, posto tra i quartieri Contesse e San
Filippo.
Nel
1971, l’arcivescovo mons. Francesco Fasola, già vescovo coadiutore
nella diocesi di Agrigento al tempo
di
mons. Giovan Battista Peruzzo, lo chiamò a stargli a fianco quale
suo Segretario particolare; ministero che ricoprì fino al 1978 con
mons. Ignazio Cannavò. Dal 1978 al 1987, è stato parroco della
parrocchia di San Clemente. Dal 1988, Direttore della Caritas
diocesana, Delegato della Caritas regionale e Rappresentante della
Caritas nazionale. Dal 1997 al 2000, Pro-Vicario Generale
dell’Arcidiocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia Del Mela.
Papa
Giovanni Paolo II lo ha eletto vescovo titolare di Aurusuliana (una
sede vescovile soppressa che si trova nell’odierna Tunisia), il 18
marzo del 2000. Il 29 aprile del medesimo anno ha ricevuto la
consacrazione episcopale nel Duomo di Messina, della cui diocesi
divenne vescovo Ausiliare.
Nel
quinquennio 2003 – 2008 ha presieduto la Caritas italiana. Il 23
febbraio del 2008, Papa Benedetto XVI,
lo
ha nominato Arcivescovo-Metropolita di Agrigento. A poco più di due
mesi di distanza dalla sua traslazione alla sede agrigentina, il 17
maggio, ha dato inizio, nello stadio cittadino “Esseneto”, al suo
servizio episcopale nella diocesi che fu cattedra di san Libertino e
san Gerlando.
Dal
24 maggio del 2013 è Presidente della Commissione episcopale per le
migrazioni e Presidente della Fondazione “Migrantes”.
Il
4 gennaio, al termine della preghiera dell’Angelus, Papa Francesco,
ha reso pubblico che lo creerà cardinale nel prossimo Concistoro.
Alfonso
Cacciatore
©
Riproduzione riservata