Il botto improvviso di un tappo che
saltava e uno scoppio di grida fecero sussultare il bambino che
cominciò a piangere disperatamente.
La giovane mamma coricata accanto a lui
se lo strinse al petto. - Che cosa è stato?
Il marito l’abbracciò. - Niente
amore mio, niente, sembra che qua fuori ci sia una festa. Cerca di
dormire, che sei sfinita.
Lei chiuse gli occhi segnati da due
profonde occhiaie, poi sospirò e li riaprì. - Non ce la faccio.
Troppi pensieri. Guarda, si è calmato. Non è bellissimo?
Lui allungò un mano e gli sfiorò la
testa.
- È il bambino più bello del mondo.
- Ma che festa è? Che vedi?
L’uomo si alzò e andò a sbirciare
fuori.
- C’è un bel po’ di gente vestita
bene... confusione, bambini che corrono, tante luci... aspetta
aspetta, mi pare che stiano venendo qui.
Lei sbarrò gli occhi e sorrise - Qui
da noi? Vengono a vedere il nostro bambino?
...
Il nonno aveva tentato come ogni anno
di mettere i regali vicino al presepe, ma sua figlia li aveva
spostati anche questa volta sotto l’albero. “Papà come te lo
devo dire che la tradizione è questa”, gli aveva detto. Tradizione
un corno. Per lui la tradizione era il presepe e basta. Ogni anno il
compito di prepararlo era suo, e lo prendeva molto sul serio. Per
esempio lui non lo faceva mai uguale a quello del Natale precedente,
nossignori. Le statuine erano sempre le stesse, ci mancherebbe, ma
quasi tutto il resto era sempre nuovo, frutto delle sue mani, e
questa volta aveva superato se stesso. Un bel cielo blu scuro con
centinaia di stelline luminose fatto di carta bucherellata dietro la
quale aveva acceso una lampadina. Al buio l’effetto era bellissimo.
E le montagne di cartapesta che sembravano vere, e quel capolavoro di
mulino, con l’acqua che muoveva la ruota. E la bottega del fabbro,
e quella del calzolaio. A parte le montagne, tutto il resto l’aveva
fatto con il sughero. Più di un mese, ci aveva messo, chiuso in
cantina per diverse ore al giorno, deciso a non fare vedere il
risultato a nessuno prima che tutto fosse finito e montato.
E finalmente aveva approfittato della
domenica prima di Natale, in cui tutta la famiglia passava la
giornata dai consuoceri, per preparare il presepe nel solito angolo
del salone. Prima le montagne, poi le casette, il mulino, il pozzo...
poi la grotta-capanna, che era l’unica parte dello scenario che non
cambiava mai. Una grotta con l’entrata chiusa da un accenno di
muretto e uno sbarramento di rami, come certi rifugi di pastori che
si vedevano ancora nelle zone più interne della sua terra. Ogni
anno, se fra gli invitati c’era qualche nuovo parente acquisito,
lui gli spiegava che “La tradizione parla sia di capanna che di
grotta, ma non c’è contraddizione. Era una grotta-capanna.”
Poi era arrivato il momento di
sistemare le statuine. Il fabbro con il martello alzato
sull’incudine, il calzolaio curvo sulla scarpa tenuta fra le
ginocchia, la donna vicino al pozzo con la mano sul fianco e la giara
sulla testa che ogni volta era un problema perchè era un po’
difettosa e non voleva saperne di stare in piedi, i cammelli, i
pastori con le pecorelle. Naturalmente sempre le statuine più grosse
davanti e quelle più piccole dietro, per dare l’impressione della
lontananza. Poi il Bambinello, Maria e Giuseppe, il bue e l’asinello.
E alla fine era venuto il turno di quelle difficili da collocare, lo
“Spaventato” con le mani alzate al cielo e i Re Magi. Lo
Spaventato ogni volta non sapeva dove metterlo perché non era mai
riuscito a scoprire che cosa lo spaventasse, e così lo aveva
sistemato vicinissimo a un cammello che sembrava volesse morderlo.
Quella dei Magi invece era una faccenda di precisione perché li
collocava lontano, fuori dal presepe, e li spostava ogni giorno un
po’, sempre della stessa distanza, in modo da farli arrivare a
destinazione per l’Epifania.
Sì, gli era venuto veramente bene
quest’anno il presepe, ed era convinto che se ne sarebbero accorti
tutti. Ma quella domenica sera quando i suoi erano rientrati a casa
non era andata come si era immaginato. Suo genero aveva detto
“Bello, anche quest’anno abbiamo il presepe” mentre ci passava
davanti ed era andato a sedersi davanti alla TV; sua figlia aveva
commentato dalla porta con un sorriso “Ecco perchè non sei voluto
venire, avevi i tuoi progetti segreti, eh? Bellissimo” e si era
infilata in bagno. I due nipotini gli avevano dedicato invece due
minuti prima di rinchiudersi nelle loro stanzette. Luca gli aveva
chiesto solo “Ma l’acqua gira con un motorino?” e non era
sembrato neanche troppo interessato alla risposta, mentre Elena aveva
guardato tutto attentamente senza una parola, poi aveva emesso la
sentenza: “L’albero però è più bello, per questo ci si mettono
i regali sotto”.
Ed era arrivato Natale, poi l’ora di
pranzo e con essa gli invitati. Ogni volta che suonava il campanello
il nonno si piazzava vicino al presepe ma gli eccitatissimi e
vocianti ospiti si scambiavano abbracci e baci con gli altrettanto
eccitatissimi e vocianti padroni di casa, si liberavano rapidamente
di cappotti e giacconi, gli davano un rapido bacio - “Come stai?”
“Sempre in gamba, eh?”- e prima che lui potesse aprire bocca si
erano già precipitati a mettere qualcosa sotto l’albero.
Poi era seguita la solita
rappresentazione di ogni Natale: tanta gente attorno alla tavola,
splendidamente apparecchiata e allungata per l’occasione con
l’aggiunta di prolunghe che passavano il resto dell’anno in
cantina, un numero enorme di portate, battute risate e grida in un
crescendo proporzionale al vino bevuto, complimenti esagerati per i
più piccoli, zii che pretendevano bacini da nipotini recalcitranti
fra urla e disubbidienze commentate con benevola ipocrisia -“Oggi i
bambini sono tutti così vivaci ”- in attesa delle feroci critiche
da farsi in separata sede. E finalmente, dietro l’insistenza dei
più giovani, sua figlia aveva proposto “Apriamo i regali?”
provocando un terremoto di sedie spostate e una carica selvaggia in
direzione dell’albero.
Il nonno si era alzato per ultimo e li
aveva seguiti fermandosi però, per protesta, accanto al suo
presepe. Sua figlia prendeva i pacchi coloratissimi a uno a uno e, se
il destinatario era uno dei bambini, non faceva in tempo a leggerne
il nome che il regalo le era già stato strappato di mano
dall’interessato sordo alle solite esortazioni del tipo “Come si
dice alla zia? Graaazieee”.
Pochi minuti dopo tornò una calma
relativa. Anche quest’anno il Natale era stato seppellito sotto una
montagna di carta regalo.
...
La donna ripetè la domanda: - Allora,
vengono a vedere il nostro bambino?
- No, temo di no, Maria.
Carlo Barbieri
Carlo Barbieri è uno scrittore nato a Palermo. Ha vissuto a Palermo, Catania, Teheran, il Cairo e adesso fa la spola fra Roma e la Sicilia. Un “Siciliano d’alto mare” secondo la definizione di Nisticò che piace a Camilleri, ma “con una lunga gomena che lo ha sempre tenuto legato alla sua terra”, come precisa lo stesso Barbieri. Scrive su Fattitaliani, NitroNews, Il Fatto Bresciano, QLnews, Sicilia Journal e Malgrado Tutto, testata su cui hanno scritto Sciascia, Bufalino e Camilleri. Ha scritto fra l’altro “Pilipintò-Racconti da bagno per Siciliani e non”, i gialli “La pietra al collo” (Todaro Editore, ripubblicato da IlSole24Ore) e “Il morto con la zebiba” (candidato al premio Scerbanenco) e “Uno sì e uno no”, una raccolta di racconti pubblicata da D. Flaccovio Editore. Suoi scritti sono stati premiati alla VI edizione del Premio Internazionale Città di Cattolica, al IV Premio di letteratura umoristica Umberto Domina e alla VII edizione del Premio Città di Sassari e al Premio Città di Torino. I suoi libri sono reperibili anche online, in cartaceo ed ebook, su LaFeltrinelli.it e altri store.