di Tiziana Grassi. Continua lo “Speciale
DEMIM”, alla scoperta delle personalità, degli aspetti
contenutistici e delle prospettive disciplinari e di approfondimento
che costituiscono l’impianto e la struttura di un’opera dedicata
alla Grande Emigrazione italiana tra Otto e Novecento e che il
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo Saluto di
apertura a tutti gli italiani nel mondo, ha definito “una vera e
propria summa di un fenomeno che ha segnato indelebilmente la storia
del nostro Paese”.
ROMA - Ascoltiamo oggi il
Prof. Enzo
Caffarelli,
direttore editoriale del Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni
Italiane nel Mondo. Dell’opera è stato anche co-curatore e autore.
Professore, che cosa le
resta di più come studioso e come persona dalla realizzazione di
quest’opera?
La parola chiave è:
scoperta.
La continua scoperta di un mondo che non conoscevo e che riserva
sorprese d’ogni genere. Parlo di scoperte – o di approfondimenti
– di temi alti, la sofferenza, la povertà, il riscatto, le
tragedie naturali o procurate dall’egoismo e dalla discriminazione.
Ha ragione Gian Antonio Stella e chi come lui ripetono che tutto ciò
che capita agli immigrati stranieri in Italia è già accaduto agli
italiani all’estero. Proprio tutto. Soprusi, angherie, abitazioni
indegne d’un uomo, abbandoni, bambini venduti, mestieri umilissimi,
ma anche tanto lavoro, impegno, buona volontà, coraggio. E parlo
anche di fatti curiosi, aneddoti, singolarità che sono emerse via
via dalle ricerche dei curatori e degli autori.
Per esempio?
Beh, forse non tutti sanno
che il mondo è pieno di città e paesi che ripetono quello di centri
italiani. C’è una voce del dizionario che riguarda appunto la
“replicazione dei toponimi”. Non tutti sanno che una volta
eravamo noi a emigrare in Romania. O che le squadre di calcio più
famose del Sudamerica sono state fondate da italiani o avevano nomi
italiani. Che la famosa seminatrice che figura sui francobolli e
sulle monete francesi (la semeuse)
era una ragazza di Gallinaro, in Ciociaria, e che i modelli ciociari
hanno posato per Manet,
Degas, Renoir, Van Gogh, Picasso, Matisse, Cezanne... Per esempio ho
scoperto che la seconda città dell’Alaska, Fairbanks, è stata
fondata da un modenese di Fanano, Felice Pedroni. Ho potuto
documentarmi e documentare i lettori sulle isole dialettofone
italiane sparse nel mondo: i trevisani di Segusino a Chipilo in
Messico, i modenesi di Pavullo a Capitan Pastene in Cile, i liguri di
Riva Trigoso a Santa Cruz in California... Con 700 voci e 160 box,
oltre alle 600 pagine di appendici, davvero è stata una scoperta
continua ed entusiasmante.
Anche con le pagine più
tristi e drammatiche per i nostri emigrati...
Certo. In Italia sappiamo a
stento di Marcinelle e Monongah, le due sciagure minerarie che sono
costate più vite umane. Ma nel Dizionario abbiamo documentato anche
le due tragedie minerarie di Dawson, dimenticate perfino negli Stati
Uniti. Le stragi e gli eccidi di Aigues-Mortes in Provenza, di New
Orleans, di Eureka in Nevada, di Lawrence in Massachusetts, di
Tallulah in Louisiana, di Tandil a Buenos Aires, di Ybor City in
Florida, oltre ai tanti naufragi in cui perirono migliaia e migliaia
di italiani. Abbiamo ricostruito le storie, cercando dati precisi:
una carneficina. A stento sappiamo della condanna a morte degli
innocenti Sacco e Vanzetti. E mi pare davvero ingiusto che l’Italia,
in particolare negli Stati Uniti, sia così spesso associata prima di
tutto alla criminalità mafiosa.
Perché ha voluto un
così ricco apparato statistico nel Dizionario?
Banalmente, potrei
rispondere perché amo i numeri e so che i numeri, le graduatorie, le
percentuali piacciono agli italiani. In realtà ritengo che solo le
cifre aiutino a capire la portata dei fenomeni. Certe conoscenze sono
appannaggio esclusivo degli studiosi, di poche istituzioni e dei
membri delle associazioni di/con emigrati. Di pochissimi, cioè. Alzi
la mano chi è consapevole del fatto che gli italiani e oriundi
(ossia discendenti di italiani) all’estero sono stimabili in quasi
80 milioni, la metà dei quali in Brasile e in Argentina. Alzi la
mano chi sa che, dopo quella di Roma, le province con più emigrati
oggi all’estero sono Cosenza e Agrigento. Lo sapevate che nella
Grande Emigrazione di fine Ottocento le regioni che hanno visto
partire più persone sono Piemonte, Veneto e Friuli Venezia Giulia?
Che negli anni precedenti la prima guerra mondiale la 1ª regione per
numero di emigrati è stata la Lombardia? Il Sud è venuto dopo...
Che gli Stati Uniti sono stati il 1º Paese di destinazione in modo
continuativo solo tra il 1898 e il 1916? Che oggi i più presenti in
Argentina e in Brasile vengono alla provincia di Roma, in Germania e
in Belgio da quella di Agrigento, in Svizzera dal Leccese, in Francia
e in Australia dal Reggino, in Canada dal Cosentino, in Cile da
Genova e dintorni, in Irlanda dal Frusinate?
A proposito, i ciociari
in Irlanda sono diventati i grandi gestori della ristorazione a base
di “fish & chips”...
Ecco un altro aspetto
interessantissimo degli emigrati all’estero. Si sono specializzati
in nuovi mestieri – penso per esempio anche alla gente di
Pantianicco vicino Udine, che monopolizzarono come infermieri e
portantini i principali ospedali di Buenos Aires – oppure hanno
esportato ciò che sapevano fare nel loro paese e in giro per
l’Italia: i figurinai lucchesi, i librai massesi, i vetrai
savonesi, gli scalpellini friulani, gli arrotini trentini, i
costruttori di reti fognarie molisani, gli orsanti e gli scimmiari
parmensi, i pescatori di aragoste baresi e messinesi... la lista è
davvero lunga e straordinariamente interessante.
Come esperto di
onomastica, quali argomenti di maggior interesse ha trovato nel mondo
dell’emigrazione e ha riproposto nel Dizionario?
Tanto, davvero. Cito solo
tre casi. Primo, il cambiamento di nomi, cognomi, toponimi di
provenienza degli italiani all’estero. Qualche volta per
sciatteria, per fraintendimento o anche per scelta consapevole e
voluta dei nostri emigrati, al fine di meglio integrarsi. Secondo, le
strade dedicate agli italiani nel mondo e le vie e le piazze che i
comuni italiani stanno intitolando sempre più numerosi ai loro
emigrati. Terzo: i nomi commerciali italiani che stanno acquistendo
crescente prestigio internazionale: abbiamo focalizzato l’attenzione
sui nomi di alcuni alimenti, sui nomi italiani delle automobili e
sulle insegne di luoghi di ristorazione, ma gli àmbiti sono
numerosissimi.
Nella prefazione al
DEMIM si legge che l’opera dovrebbe interessare tanto gli italiani
in Italia quanto gli italiani all’estero. Perché?
Gli italiani d’Italia
perché auguro a tanti di fare le scoperte che ho fatto io e di
conoscere più da vicino un’altra Italia che è più grande, parla
più lingue, si esprime in modi più numerosi rispetto alla nostra
penisola. I curricula scolastici non possono ignorare questo
fenomeno. La ripresa economica in Italia in decenni particolarmente
duri sia del XIX sia del XX secolo ebbe tra le sue cause le rimesse
che inviavano gli emigrati. L’alfabetizzazione degli italiani si
deve in gran parte in modo diretto e indiretto all’emigrazione:
sembra strano e non sono io a dirlo, lo ha documentato mezzo secolo
fa il grande linguista Tullio De Mauro. Dobbiamo andare oltre la
valigia di cartone, i saluti dali ponti delle navi, le canzoni
lacrimevoli, il broccolino (l’accento italo-americano) e gli zii
d’America che tornavano per esibire le ricchezze acquisite oltre
Oceano.
E a parte le scuole?
Le istituzioni, specie le
Regioni, da qualche decennio stanno facendo cose importanti per gli
italiani all’estero. Ma non bastano pagine di buona cultura, di
lodevole assistenza, e di promozione di articoli made in Italy. Ci
sono due mondi che sono ancora intimamente legati, ma che non si
incontrano veramente. Se non nelle sagre di paese e nelle festività
patronali per quelli che hanno i mezzi per tornare in Italia.
L’Italia possiede una forza enorme fuori dei propri confini e non
ne fa uso. E non lo dico da nazionalista (quale non sono, tifo
sportivo a parte), ma da semplice osservatore che vede tante
occasioni sfumare una dopo l’altra.
E agli italiani e
oriundi residenti all’estero che cosa può dire e può dare
un’opera come il DEMIM?
Una documentazione ampia
sul fatto che sono in tanti, che hanno fatto e stanno facendo cose
straordinarie e che dovrebbero alzare di più la voce per non
sentirsi mai soli. Una conferma che l’Italia ha bisogno di loro,
che ne conosce la storia degli antenati anche nei più piccoli
meandri dei loro paeselli d’origine, anche se fa fatica a renderla
patrimonio di tutti. E poi credo che gli italiani d’Australia
potrebbero essere interessati a conoscere cosa è accaduto a chi
emigrato in Germania, o quelli in Brasile a sapere la storia dei
nostri connazionali che oggi vivono in Africa o in Asia, e
viceversa...
Col senno di poi, oggi
imposterebbe diversamente il Dizionario?
Detto che è stato per me
un grande onore, e non solo un onere, lavorare come direttore
editoriale e co-curatore del Dizionario, aggiungerei che pur con
tutti i suoi limiti e difetti, è un’opera equilibrata, scientifica
e divulgativa allo stesso tempo, piena di informazioni. Grazie
pertanto ai co-curatori, grazie a tutti gli autori e un grazie
informale ma sincero a coloro che la storia dell’emigrazione
l’hanno scritta sulla loro pelle. Noi, in fondo, siamo stati solo
(quasi) duecento narratori, che si sono appropriati di 80 milioni di
esistenze e le hanno concentrate in 5 milioni e mezzo di caratteri
dalle tastiere dei nostri computer.