Dalla polvere alla terra. Intervista a Dan Fante, ospite d'onore al IX Festival "Il Dio di mio padre" dedicato a John Fante

‘Il Dio di mio padre’, festival letterario dedicato a John Fante - IX edizione Torricella Peligna, 22-24 agosto 2014. Il Festival letterario, dedicato fin dal 2006 allo scrittore italoamericano John Fante - il più famoso tra gli scrittori americani a lungo ‘dimenticati’ fino alla riscoperta di Charles Bukowsky nei primi anni ‘80 - è una manifestazione internazionale che si tiene annualmente a Torricella Peligna, in Abruzzo, luogo d’origine di suo padre Nick, scalpellino, emigrato in America nel 1901. Non solo viene qui approfondita e divulgata l’opera di Fante, ma il ‘luogo culturale’ diventa punto di incontro tra mondi diversi dove ospitare una riflessione profonda sulle contaminazioni e valorizzare il patrimonio culturale degli italiani nel mondo. 

Il festival - la cui direzione artistica è stata affidata, anche quest’anno, a Giovanna Di Lello - ha avuto in programma incontri con gli autori, presentazione di libri, reading, spettacoli teatrali e musicali, seminari e tavole rotonde e, già dal 2008, ha introdotto il premio ‘John Fante opera prima’ che ha visto quest’anno ai primi posti ‘Stanno tutti bene tranne me’ di Luisa Brancaccio, ‘Il casale’ di Francesco Formaggi, ‘Le cose brutte non esistono’ di Riccardo Romani.
L’edizione 2014 ha avuto per titolo ‘Il Dio di mio padre’, mutuato dall’ultimo racconto pubblicato in vita da Fante, un’ironica variazione sul tema della irascibilità caratteriale del padre e della sua totale irreligiosità, in cui è predominante la figura di Nick, elemento emblematico delle radici di John e della sua Terra d’origine. 
Il rapporto tra i due è stato inevitabilmente conflittuale e trasposto, in apparizioni periodiche, nei romanzi di Fante con un cambio prospettico temporale: dagli occhi di un ragazzino che hanno appena iniziato a leggere l’esistenza della vita di Aspetta primavera, Bandini, uscito nel 1938 (altro grande omaggio a Nick: l’infedele, bugiardo, ubriacone, giocatore impenitente e violento Svevo Bandini), fino alle esperienze di un uomo di cinquant’anni, Henry Molise e ‘doppio’ di John Fante, ne La Confraternita dell’uva, ultimo romanzo della saga della famiglia Molise che evidentemente anch’essa ‘doppia’ per intero la famiglia d’origine di John Fante e rappresenta un monumento alla figura del padre. 
Sempre presente è l’autobiografismo nella produzione letteraria dello scrittore, produzione che si sviluppa essenzialmente intorno ad Arturo Bandini e la famiglia Molise: sembra necessario che si verifichino accadimenti nella realtà di Fante perché possano verificarsi anche nella sua scrittura. Il punto di vista che meglio offre una prospettiva di osservazione del complesso e travagliato rapporto che lo scrittore ha avuto con se stesso e il mondo intorno, è quello offerto dalla tetralogia della saga Bandini: La Strada per Los Angeles; Aspetta Primavera, Bandini; Chiedi alla polvere; Sogni di Bunker Hill
Chiedi alla polvere, in particolare, apre a una sorta di furiosa ambizione della realizzazione del sé scrittore attraverso l’esistenza esperita dal suo doppio, Arturo Bandini, in costante doloroso conflitto con la propria anima tormentata di cattolico in cerca di perdono e il suo essere nichilista euforico, l’ossessione di scrivere e la fragile umanità circostante. 
Perché la polvere? “Perché in quelle strade (di Los Angeles) c’è la polvere dell’Est e del Middle West, ed è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere..”. 
Perché la terra? Perché per tutta la vita John ha seguito un percorso di identificazione con il padre, pur nella costante conflittualità tipica della seconda generazione di immigrati (Fante è nato a Denver, Colorado, nel 1909). E in questo percorso di sofferenza, conflitto, rifiuto, amore e finale identificazione e riconciliazione è riconoscibile, oltre allo specifico personale, un processo di americanizzazione consapevole però che le radici non possono crescere nella polvere, ma hanno bisogno di terra, solida e ricca di cultura.
“Americanizzazione e difesa della tradizione identitaria sono tendenze che si alimentano a vicenda…” - così ha puntualizzato Tiziana Grassi, tra i relatori ospiti del festival in qualità di direttore e ideatrice del Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni italiane nel mondo*, cui ho chiesto un’opinione sul tema - “…e che portarono a un conflitto generazionale e culturale che vedeva i genitori desiderare che i loro figli seguissero la ‘via vecchia’ e, di converso, osservava i figli desiderare di essere americani più di ogni altra cosa per una compiuta e necessaria integrazione. D’altra parte, se le radici simboleggiano il legame profondo con la terra d’origine, tanto da rafforzare l’identità delle persone - ha continuato T. Grassi - non sorprende che la famiglia di John Fante non faccia eccezione”. 
Ho incontrato Dan Fante, il maggiore dei quattro figli di John, scrittore anche lui, e ospite d’onore del festival. La prima domanda che gli ho rivolto ha riguardato proprio il tipo di rapporto che suo nonno Nick aveva con la moglie e i figli. ”Nick era il classico capo famiglia italiano - ha spiegato Dan - quello che prendeva da solo tutte le decisioni, sempre in perenne conflitto con tutti i suoi figli e la moglie, che arriva a chiedere il divorzio dopo 51 anni di matrimonio, esasperata da tutte le infedeltà del marito: mio padre John mi diceva che negli ultimi trent’anni del loro rapporto, suo padre Nick alla moglie diceva sempre e soltanto due parole: ‘shut up!’. Nonostante questo però mio padre ha sempre rispettato Nick. E lui stesso aveva con sua moglie Joyce un rapporto tipicamente italiano solo che il loro era un buon matrimonio, forse anche perché mia madre era una donna molto colta e informata che arrivava a leggere anche cinque libri a settimana ed ebbe l’onore di essere tra le prime donne ammesse all’esclusiva Università di Stanford”. 
Per tornare sul tema delle radici, gli ho chiesto quando lui ha sentito il bisogno di trovare le sue e quanto si senta italiano. “Per tutta la vita - mi ha risposto - mio padre mi ha raccontato di suo padre e di Torricella ed ogni volta sempre con un’emozione grandissima … e io stesso mi sento soprattutto italiano: le mie radici sono qui, a Torricella. Qui mi sento a casa”. 
Sono molto interessata al significato che lui attribuisce alla scrittura e quale sia il suo approccio con il mestiere di scrivere. “È come suonare la chitarra o il violino - ha spiegato Dan con un vivida luce negli occhi - il rapporto è lo stesso: la musica ti emoziona ed è fantastica! per la scrittura è lo stesso! Non ho un metodo, succede che mi siedo per scrivere e non so che cosa scriverò, che cosa accadrà... accade e basta”. 
“Quindi, posso immaginare che scrivere sia una necessità, un bisogno dello spirito”, gli ho domandato. “Yes - ha risposto lui - come mangiare (in italiano)”. “Come leggere, anche?”, gli ho chiesto. “Oh no, ho sempre letto molto, ma ora molto meno... - ha replicato Dan - perché, sempre per fare riferimento alla musica, anche quando ascolti una musica che ti piace non hai interesse a continuare ad ascoltarla, se sei un compositore la musica vuoi farla tu!”. 
“In Ask the dust (Chiedi alla polvere) ci sono dialoghi in cui Arturo dice cose tremende a Camilla, la ragazza di cui è dolorosamente innamorato, facendo apprezzamenti ad esempio sul suo modo di vestire che non la farà mai sembrare americana, tanto è mexican. E lei non è da meno nel gettargli in faccia il suo essere italiano con un certo disprezzo. Mi è sembrato di percepire che, al di là delle schermaglie uomo/donna, ci fosse una sorta di razzismo anche tra chi il razzismo lo subiva”. Dan non è d’accordo: “Intanto lui, Arturo, e mio padre John, non sembravano americani ma italiani, perché erano italiani. E poi le cose terribili che si dicevano i personaggi non rientravano tanto in un discorso di reciproco razzismo quanto di puro e semplice desiderio di offendersi...”. 
Semplicemente.
E se Il Dio di mio padre può essere un’entità nascosta o in fuga, allora ha ragione Vinicio Capossela ad affermare che “Quando anche i Santi ti voltano le spalle, ti resta John Fante”. Toni Saracino.
Fattitaliani

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