75° Venezia, "First Man" di Damien Chazelle: Neil Armstrong in un racconto dai toni intimisti e viscerali

Un uomo “reticente, umile e introverso”, padre e marito prima che indomito esploratore dello spazio, quando il vuoto cosmico era ancora campo di battaglia tra Stati Uniti e Unione Sovietica, nella corsa furiosa alla conquista di sempre maggiori successi.
Al festival di Venezia Ryan Gosling, che lo interpreta nell’ultimo film di Damien Chazelle, First Man, usa questi aggettivi per descrivere Neil Armstrong, che il 20 luglio 1969 sarebbe diventato il primo uomo a sbarcare sulla luna. Il film basato sulla biografia di James R. Hansen, First Man: The Life of Neil A. Armstrong, riporta il regista canadese in concorso alla Mostra del Cinema, due anni dopo il successo di La La Land. Insieme a lui al Lido, i protagonisti di questa straordinaria avventura: un riservatissimo Ryan Gosling (Armstrong), Jason Clarke (Ed White, l’astronauta morto nel tragico incidente dell’Apollo I) e Claire Foy (Janet Armstrong, moglie di Neil).
Un racconto dai toni intimisti e viscerali concentrato sulla figura di Armstrong e sugli anni tra il 1961 e il 1969, che tra tragici incidenti e tentativi falliti avrebbe portato alla missione dell’Apollo 11, una delle più pericolose della storia, quella che avrebbe inciso nella storia le parole “un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”.
Chazelle non ha dubbi sulle ragioni che lo hanno spinto a raccontarla: “La mia generazione è cresciuta in un mondo in cui l’esplorazione dello spazio era un fatto scontato, siamo cresciuti accompagnati da immagini molto iconiche, ma più imparavo qualcosa, più l’idea dello spazio mi affascinava. Ho dovuto ovviamente fare un lavoro di ricerca per capire come tutto è iniziato”. 
A partire dal libro di James R. Hansen, dai documenti dell’epoca, dalle testimonianze degli amici e dei familiari di Armstrong, preziosissimi per Gosling: “Ho avuto tantissimo aiuto da parte dei figli di Neil, ho conosciuto la sua ex moglie, ho parlato con alcuni suoi amici d’infanzia, la Nasa ci ha aperto le porte, e poi avevo a disposizione un libro fantastico. Le risorse a cui appoggiarmi erano tantissime. Neil era una persona umile, reticente, introversa, la sfida più grande è stata rispettare questa parte del suo carattere e creare nello stesso tempo delle aperture per far capire cosa sentisse e quali fossero le sue emozioni”.
Per Clarke invece il problema più importante “era abituarsi alla sensazione di claustrofobia quando stavamo chiusi per un sacco di tempo nelle tute e nelle piccolissime capsule spaziali, che Damien aveva fatto ricreare in maniera molto realistica. Stavo per avere un esaurimento!” 
R.G. Mentre mi preparavo, sapevo che era importante imparare a volare; ho dovuto capire l’a b c del volo e ho capito motivo per cui lui è diventato un grande astronauta e io no! L’astronauta entra consapevolmente in un aereo, lo porta a un punto di rottura solo per fare un passo in avanti nel campo del progresso scientifico, sono persone molto speciali diverse dal resto degli esseri umani, ho dovuto lavorare su questa differenza.
Disagio della claustrofobia e chiusura
D.C. Quando vidi per prima volta una navicella spaziale mi resi conto di quanto fossero piccole. Ho cercato così  di rendere fruibile e far sentire la sensazione di essere nello spazio, è un vuoto nero e tu sei lì che viaggi e cerchi qualcosa in questo spazio immenso mentre sei in una lattina volante. Tutto questo mi ha profondamente colpito.
Cosa cerca il regista
R.G. Bei capelli, Damien è per metà canadese e questo aiuta! (scherza) Damien aveva La La Land e questo film contemporaneamente nella testa, ed entrambi sono film che tutti vorremmo vedere in un cinema. Damien ha un istinto speciale, molto forte, quello di unire le persone attraverso il cinema. Proprio come lo sbarco sulla luna, un fatto che ha unito il mondo, un successo per tutta l’umanità. 
Rapporto con famiglia
C.F.: Neil Armstrong per loro non era un astronauta, ma era semplicemente loro padre; gli abbiamo chiesto chi gli raccontava le favole la sera, chi gli faceva il bagno, il nostro compito era trasmettere delle emozioni. Ci hanno praticamente consegnato questa storia senza reticenze.
Punto carriera
D.C. Non è una mia storia, come quelle raccontate nei miei film precedenti, tutte molto personali. Qui per me non c'era nulla di familiare e l'obiettivo era fare un documentario familiare: "Oh, guarda, papà se ne sta andando sulla Luna!"
Lavoro sul suono
D.C. Abbiamo lavorato molto sul suono, ci siamo serviti di un team che ha usato il casco realmente indossato da Armstrong per riprodurre il rumore del respiro che si sente in alcune scene, anche le tute sono reali. Ho sempre pensato fosse meglio usare gli originali che non le imitazioni. Ci sono poi, diversi elementi molto stilizzati, cose che certo gli astronauti non avrebbero mai potuto sentire.
Eroe americano?
Credo che lo sbarco sulla luna sia un successo di tutta l’umanità ed è questo il modo in cui abbiamo voluto vedere il film. Neil era molto umile e ha spostato l’attenzione da se stesso alle oltre quattrocento persone che hanno reso possibile questa missione, lui era solo la punta di un iceberg. Non credo si vedesse come un eroe americano, nelle interviste con la famiglia questo aspetto non è mai venuto fuori.
A cura di Emanuela Del Zompo
Fattitaliani

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