Una conversazione con Stefano Mazzonis Di Pralafera, Direttore dell'Opéra di Liegi: l'opera deve tornare alle origini.

di Giovanni Chiaramonte. Quando ero bambino passavo ore della mia infanzia siciliana incantato a guardare la lampada magica: una candela dietro dei vetri creava immagini di un mondo meraviglioso e fatato, più vero e più ricco, nella mia fantasia di bimbo, di qualsiasi realtà effettiva; guardando con stupore i meravigliosi cartoni dell'antica scenografia di questo Rigoletto "un plaisir délicieux m'avait envahi, isolé, sans la notion de sa cause", una sensazione di gioia, "d'où avait pu me venir cette puissante joie?". E d'improvviso torna il ricordo di quella lampada magica di tanti anni fa; le immagini della scenografia, dolci come una sorta di  personale madeleine mi stavano facendo riprovare una gioia dimenticata, facendomi assaporare il piacere di un cullato abbandono a questa bella edizione di Rigoletto all'Opera di Liegi; ho capito così che i sapori della cucina classica della tradizione, ignorantemente liquidata come antiquata, hanno ancora molta felicità da regalare a chi ha l'umiltà e l'intelligenza di apprezzarli.
Fattitaliani incontra Stefano Mazzonis Di Pralafera, direttore dell'Opéra Royal de Liège Wallonie, regista, scenografo e costumista di "Rigoletto" in scena fino al 2 gennaio 2018 (e il 6 gennaio a Charleroi). 
Stefano Mazzonis di Pralafera
La prima di "Rigoletto" ha riscosso un grandissimo successo. Qual è la sua soddisfazione più grande?
Che in sala più del 40% del pubblico era composto da giovani, cioè ragazzi con meno di 26 anni: questa è la mia più grande gioia, mi emoziona fino quasi a commuovermi.
Quindi, opera e giovani non sono così distanti?
No. Tra l'altro in un periodo di esami in cui i ragazzi notoriamente erano impegnati e non potevano venire, invece...
La rappresentazione di "Rigoletto" ha abbracciato e avvolto il pubblico: lei ne ha curato regia, scenografia e costumi. Come ha gestito le tre cose insieme?
Ho pensato di riprodurre come all'origine esattamente quando Verdi l'ha creata: quello che si vede sul palco di Liegi è quello che il compositore ha visto al momento della sua prima e sono delle tele -in effetti riproduzioni novecentesche- quasi identiche a quelle della prima di Verdi. Ho ritrovato queste tele, un capolavoro artigianale nella costruzione perché sono tutte in due dimensioni, cioè piatte e sembrano tridimensionali.
Il cambio delle scene visibile al pubblico suggeriva proprio l'idea dell'artigianalità...
Era così tra l'altro spiegato nei libretti di Verdi da una scena all'altra, in posti diversi, durante lo stesso atto. Quindi, si sarebbe oggi obbligati a fare dei cambi di scena che durerebbero 10-15 minuti mentre lui li realizzava in due minuti. Ecco perché concepiva le sue opere e i suoi libretti così.
Forse allora l'opera non dovrebbe ritornare alle sue origini?
Deve ritornare a questo. Adesso fare tutte le opere con le tele dipinte sarebbe troppo, però indubbiamente ritornare a una scenografia essenziale ma che riproduca nel vero quello che è la scena immaginata dal compositore di questo io sono un fautore, un artefice, un sostenitore. Salvo rari casi di opere un po' strampalate in cui i libretti sono inesistenti, occorre tornare a una rappresentazione visiva in cui lo spettatore segua la storia non solo dal punto di vista dei cantanti che diventano anche degli attori, ma soprattutto nella parte visiva che deve essere quella cui il compositore e il librettista si sono ispirati.
La sua creatività, la maestria del Direttore Giampaolo Bisanti, i personaggi di Rigoletto, Gilda e del Duca eccezionali... come si crea una tale alchimia?
Quando i cantanti si trovano in uno spazio in cui la regia, la scena corrisponde al testo del libretto e al sentimento della musica danno di più perché si ritrovano nei panni dei loro personaggi: un'alchimia che però sfugge con delle regie troppo strampalate. Non smetterò mai di battermi contro questa deviazione scenica che rovina l'opera e non credo che i giovani amino quel genere. Amano invece questo genere in cui ritrovano la storia e la capiscono.
Giriamo diversi teatri d'Europa: a Liegi constatiamo che non ci sono mai poltrone vuote. Qual è il segreto?
Forse quello di avere sempre dei cast di alto livello, programmare ciò che piace al pubblico e non quello che piace al direttore. Alla fine il pubblico ti dà fiducia e viene anche a vedere qualcosa che magari avrebbe ignorato perché pensa di non ricevere mai una "fregatura". Giovanni Zambito.
Leggi l'intervista al baritono Devid Cecconi
Foto di scena: Lorraine Wauters Opera Royal de Wallonie
Scheda
Direction musicale: Giampaolo BISANTI*
Mise en scène, décors et costumes:  Stefano MAZZONIS DI PRALAFERA

Décors (réalisés par): Scenografie SORMANI CARDAROPOLI (Milan)
Costumes (réalisés par): Fernand RUIZ
Lumières: Michel STILMAN
Chef des Chœurs: Pierre IODICE
RIGOLETTO: George PETEAN  / Devid CECCONI* 
GILDA: Jessica NUCCIO*/ Lavinia BINI 
IL DUCA DI MANTOVA: Giuseppe GIPALI  / Davide GIUSTI 
SPARAFUCILE: Luciano MONTANARO
MADDALENA: Sarah LAULAN*
IL CONTE DI MONTERONE: Roger JOAKIM
MARULLO: Patrick DELCOUR
LA CONTESSA DI CEPRANO: Alexise YERNA
MATTEO BORSA: Zeno POPESCU
Orchestre et Chœurs: Opéra Royal de Wallonie-Liège
Production: Opéra Royal de Wallonie-Liège
* Première fois à l'Opéra Royal de Wallonie-Liège
 21, 23, 26, 28 et 30 déc. 2017 et 2 janvier 2018
 22, 27, 29, 31 déc. 2017 et 6 janvier 2018
la foto di Stefano Mazzonis di Pralafera è di Cecilia Chiaramonte ©
Fattitaliani

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