In
genere non scrivo delle “Premesse” alle mie recensioni che
riguardano Opere d’Arte, nelle sue varie declinazioni ed
espressioni artistiche, ma in questo caso, dopo aver letto il Romanzo
di Renata
Di Leo (“Ossessivamente Viola”, Ed. Mediaprint, San Giovanni Lupatoto, 2016, pp. 236, 20 €),
è opportuno che il lettore che leggerà quello che ho scritto sappia
qual è la mia prospettiva emozionale che mi segna quando incontro
un’Opera d’Arte, e come poi, con uno sforzo intellettuale immane,
cerco di tradurre in parole comprensibili a me, innanzitutto, e poi a
chi mi leggerà, quelle emozioni che ho provato, quel pathos che mi
ha attraversato, quelle sensazioni che hanno fatto vibrare il mio
tessuto cutaneo e il mio battito cardiaco!
L'Arte è sempre stata la
mia passione, fin da bambino. Come lo era per Sigmund
Freud
che vedeva nell'Arte la massima espressione vitale dell'essere umano
e la migliore manifestazione del profondo dell'anima dell'artista,
dell’uomo, della donna. Io ho sempre letto moltissimo e ho sempre
scritto, fin da bambino, perché la scrittura è un modo per fissare
il tempo ed ha un'azione catartica e di induzione alla riflessione
che nessun'altra azione umana possiede. Osservare, ascoltare,
leggere, immergersi e lasciarsi trascinare da un'Opera d'Arte, è la
sensazione più straordinaria che si possa provare in questo mondo,
l'emozione più vivida che si possa sperimentare per farci sentire
vivi per davvero. L'approccio che ho con l'Arte è quello di
lasciarmi trascinare dalle emozioni che scaturiscono dal mio incontro
con l'Opera d'Arte: lo faccio con ingenuità percettiva, non
condizionata e non inquinata da sovrastrutture e preconcetti che
fanno parte della mia cultura e della mia esperienza di vita, che non
siano ovviamente quelle della mia personale evoluzione di Uomo che ha
sperimentato gioie e dolori, piaceri e dispiaceri, sofferenze e
spruzzi di felicità, e che oggi mi fanno essere quello che sono
proprio perché ha vissuto le mie esperienze di vita con intensità e
fortissimo coinvolgimento emotivo. Quello che a me interessa, quando
incontro un'Opera d'Arte, sono solo le emozioni che provo. Quando poi
ne parlo o cerco di scriverle, sono i messaggi che mi sono arrivati,
le emozioni che ho vissuto e subìto, il pathos che mi è stato
trasmesso durante quell'incontro, breve o lungo che sia stato, che
cerco di raccontare a me stesso e a chi mi leggerà. La Vera Arte non
ha età, non è un bene di consumo soggetto a obsolescenza
programmata, come direbbe Serge
Latouche.
La Vera Arte è senza tempo, dura in eterno, non ha età. Chi
potrebbe mai dire ascoltando un brano dei The
Beatles
che quella è musica superata? Chi potrebbe mai dire guardando un
quadro di Vincent
van Gogh
che quello è un dipinto antiquato? Chi potrebbe mai dire guardando
“La Pietà” di Michelangelo
Buonarroti
che quella è una scultura anacronistica? La Vera Arte deve essere
svestita dell’elemento tempo e della componente commerciale
usa-e-getta che le hanno appiccicato addosso i grandi produttori, le
potenti lobby dei distributori internazionali, i “commercianti
d'arte”, e talvolta anche alcuni autori che puntano più al
business
che alla qualità del prodotto artistico. Il concetto commerciale di
“consumismo” non appartiene e non può avere nulla a che fare con
l’Opera d’Arte. Quando io incontro un'Opera d'Arte, il mio
“sguardo” non è certamente quello
dell’esperto-critico-professionista che, dando per scontato che sia
un grande conoscitore d'Arte, ed avendo visto migliaia e migliaia di
Opere, ha inesorabilmente perduto la spontaneità e l'innocenza
osservativa ed emozionale dello spettatore comune che legge un
romanzo, che va al museo, ad una mostra, al cinema, al teatro, ad un
concerto di musica, o dovunque c'è Arte Vera, con il solo intimo
obiettivo di provare delle emozioni e distrarsi dalla sua
quotidianità e dalle sue preoccupazioni. Il
critico-professionista-esperto, con le sue complesse ed erudite
sovrastrutture conoscitive, ha perduto la componente più spontanea
che un uomo, una donna, un osservatore/spettatore, deve possedere:
l'innocenza dello sguardo e la libertà di lasciarsi trascinare dalle
emozioni che si sprigionano dall'incontro con un’Opera d’Arte e
che ti colpiscono dritto al cuore e ti fanno vibrare le membra.
L’Arte è qualcosa che sta tra l’oggetto e la persona. Non si
trova né nell’oggetto, né nella persona: ma si materializza
emozionalmente nel loro reciproco incontro. Da questo punto di vista,
i cosiddetti critici-professionisti, sono imprigionati in griglie di
lettura che li costringono ad una amorfa parcellizzazione e
settorializzazione dell'Opera d'Arte e, pertanto, non sono più in
grado di vedere la componente emozionale olistica e al contempo
gestaltica dell'Opera.
Questo
per dire che ognuno di noi esseri umani, che amiamo l'Arte, che
viviamo per provare emozioni intense e devastanti, dispone degli
strumenti necessari per capire se un Opera è bella oppure no; è in
grado di sentire se in noi scatena emozioni oppure no; se ci
ipnotizza intellettualmente oppure no. E gli strumenti di cui
disponiamo sono la nostra mente e la nostra anima: quell'Opera d’Arte
ci ha regalato delle emozioni forti e vivide? Se la risposta è sì,
allora è Vera Arte. Se la risposta è no, allora non è Arte. È
un’altra cosa.
Introduzione:
Ho
appena finito di leggere il Romanzo di Renata
Di Leo,
che con straordinaria gentilezza mi ha omaggiato perché potessi
leggerlo e scrivere la mia recensione; e di questo dono la ringrazio
pubblicamente, anche per l’eleganza e la raffinatezza con cui l’ha
fatto.
La
prima cosa che mi ha colpito, prima di iniziare a leggere il Romanzo,
è stata la “confezione”, quello che gli inglesi nell’accezione
commerciale chiamano “packaging”,
ovvero, tutte quelle componenti che devono rendere appetibile e
vendibile quello specifico prodotto commerciale: materialità
dell’imballaggio, il processo produttivo che ha portato al prodotto
finito, l’elemento estetico, l’involucro dentro il quale è
contenuto il prodotto da acquistare e consumare, le prime
informazioni che devono essere immediatamente visibili al potenziale
compratore, l‘attrattività e la seduttività della “confezione”,
che nella fattispecie è il Romanzo di Renata Di Leo “Ossessivamente
Viola”. Ebbene, devo dire che questo lavoro di “packaging”
è stato realizzato con estrema intelligenza, classe, innovatività,
frutto di una progettazione esperta e matura che ha curato tutto nei
minimi particolari e che ha reso la “confezione”, ovvero il
Romanzo, straordinariamente attrattivo e seducente per il potenziale
lettore. Le componenti più interessanti ed intriganti, a mio avviso,
sono gli aforismi di Renata Di Leo che introducono il Romanzo,
scritte in bianco su sfondo viola, che denotano molto buon gusto!
Seguono quindici “recensioni” di altrettanti lettori. Alcuni sono
Artisti, anche se non noti al grande pubblico nazionale, altri sono
appassionati di letteratura e cercano delle storie da leggere per
rimanerne emozionati. Tutte le quindici recensioni sono molto
positive … qualcuna eccessivamente elogiativa, scadendo negli
espliciti complimenti estetici all’autrice «… omaggiando la tua
infinita bellezza.» Questo ulteriore elemento fa parte
dell’intelligente progetto di “packaging”
di cui discutevo prima, ed ha una sua notevole efficacia ed
incisività nel lettore, che immediatamente viene orientato alla
lettura del Romanzo di Renata Di Leo.
Recensione:
Ho
letto il Romanzo con molta attenzione e voracità. La mia curiosità
era grande proprio per le aspettative che genialmente erano state
create dal “produttore” del Romanzo, e per il gentile
personaggio, Renata Di Leo, che onorandomi mi aveva chiesto la
recensione.
La
lettura è certamente fluida e snella. Si legge con facilità e
immediatezza, con un linguaggio semplice, ma al contempo intelligente
perché frutto di un’analisi ragionata e per certi versi
scientifica del potenziale lettore contemporaneo. Sappiamo tutti, e
lo leggiamo continuamente, che il nostro Paese, l’Italia, è uno
dei paesi d’Europa dove si comprano più libri, ma dove in assoluto
si legge meno che in tutti gli altri. Comprare un libro in Italia è
diventato una sorta di status
symbol
della persona colta, della donna e dell’uomo intellettuale - o
presunto tale! - che nelle relazioni sociali, solo per il loro
“sapere”, hanno un potere seduttivo superiore alla media delle
altre persone. Renata Di Leo dimostra un’intelligenza ed una
capacità strategica, molto superiore alla media degli scrittori
italiani. Ha capito bene che non è tanto il prodotto che conta, ma
il contenitore: nel nostro caso eccellente! Tra un capitolo e
l’altro, le immagini la fanno da padrona e disorientano il lettore
piacevolmente, consapevole l’autrice che oggi sono le Arti Visive
quelle che nel mondo intero primeggiano in assoluto rispetto a tutti
i generi artistici tradizionali, innovativi e sperimentali: il
Cinema, la Fotografia, i Docu-Film, la Pittura, i Video-Game (che di
fatto rappresentano una nuova forma d’Arte dove l’elettronica e
l’informatica sono gli strumenti primari di creazione artistica).
La
storia narrata da Renata Di Leo scivola su un percorso già tracciato
abbondantemente dalla letteratura di successo e dalla cronaca
criminologica che inizia con la storia dell’uomo, Caino che uccide
Abele (“La Sacra Bibbia, Genesi 4, 8), fino ai giorni nostri, al
XXI secolo, quella delle cronache giudiziarie dove i delitti e le
successive indagini ipnotizzano il lettore, magnetizzano lo
spettatore se parliamo di settima arte, di brillanti serie TV o di
talk show televisivi. Per affermare questo principio non dobbiamo
certo scomodare grandissimi scrittori del passato quali, per esempio
William
Shakespeare
con “Otello”,
titolo originale, “La
tragedia di Otello, il moro di Venezia"
1603;
Fyodor
Mikhailovich Dostoyevsky
con “Delitto
e castigo”
1866;
oppure
la storia vera londinese di “Jack
the ripper”
(Jack lo squartatore) del 1888,
dalla quale sono stati tratti diversi Film, opere teatrali e
narrazioni intriganti; Anthony
Burgess
con “A
Clockwork Orange” (Arancia
Meccanica) del 1962;
Thomas
Harris
con
“The
Silence of the Lambs”
(Il silenzio degli innocenti) 1988;
e se proprio vogliamo mettere un punto a quello che sarebbe un elenco
infinito, potremmo citare il nostro amatissimo Andrea
Camilleri
con l’interminabile quanto gioconda serie di romanzi siciliani che
raccontano le gesta investigative del “Commissario
Montalbano”.
Quello
che certamente mi interessa, è che questo genere suscita nell’essere
umano un coinvolgimento viscerale, da sempre, dalla notte dei tempi
dove erano i racconti a voce che si tramandavano di padre in figlio a
conservare la memoria della storia dell’uomo e dei suoi delitti più
efferati.
Renata
Di Leo si sperimenta in questa avventura letteraria, frutto della sua
fervida immaginazione e fantasia, sapendo ben leggere la “rosa
dei venti”
che un navigatore esperto deve conoscere per seguire una precisa
rotta sotto un buon vento, oppure immerso con la sua barca a vela in
un mare tempestoso, ovvero, in un mare in bonaccia.
Le
raffinate citazioni si intrecciano con sagacia e coraggio, da
“Traumnovelle”
(Doppio
Sogno) di Arthur
Schnitzler
del 1925,
dal quale Romanzo breve Stanley
Kubrick
sceneggiò e realizzò la sua ultima e straordinaria opera
cinematografica “Eyes
Wide Shut”
del 1999;
a “Valentina
Rosselli”,
più nota al grande pubblico come Valentina, del grande fumettista e
artista italiano Guido
Crepax
(1933-2003) che la ideò nel lontano 1965
stravolgendo allora, in tutto il mondo, il genere fumettistico
erotico degli anni sessanta con storie narrate attraverso un disegno
raffinato ed estremamente sofisticato, i cui racconti sono arricchiti
da una trama evocativo-seduttiva ed onirico-libidica, che riesce
magicamente a far viaggiare “virtualmente” il lettore dei suoi
fumetti verso un erotismo raffinato, elegante e mai volgare; per
passare poi, l’autrice, a spunti recuperati dalla letteratura
psichiatrica che ha studiato casi clinici di soggetti con importanti
perversioni sessuali, insieme a casi clinici di parafilia che
vittimizzano un soggetto terzo: ed i casi narrati a Viola dal
commissario Philip Ferry, spesso sono casi investigativi che hanno
questa matrice clinico-criminologica.
È
questo quello che leggerà il lettore curioso della narrazione di
Renata Di Leo, che pur non sapendolo, ha rubato, con l’eleganza e
l’intelligenza dimostrata in questo Romanzo, una frase che amava
ripetere spesso Stanley Kubrik, oggi divenuta un aforisma, e che
probabilmente, tra qualche anno, la renderanno una vera scrittrice in
grado di ammaliare ed affascinare i suoi lettori con le sue ingegnose
storie che per adesso sono prive dell’elemento empatico ed
emozionale, essenziali perché possano essere concepite come Vere
Opere d’Arte: «Non
sono mai stato sicuro che la morale della storia di Icaro dovesse
essere: "Non
tentare di volare troppo in alto",
come viene intesa in genere, e mi sono chiesto se non si potesse
interpretarla invece in un modo diverso: "Dimentica
la cera e le piume, e costruisci ali più solide"».
ANDREA
GIOSTRA
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Per chi
volesse approfondire virtualmente la conoscenza dell’autrice Renata
Di Leo, ecco alcuni link da consultare:
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Per chi
volesse conoscere meglio virtualmente l’autore della Recensione,
Andrea Giostra, ecco i suoi link:
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