Teatro alla Scala, "Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk" di Dmitri Šostakovič inaugura la stagione

 

ph Brescia 

Inaugura la Stagione d’opera 2025/2026 del Teatro alla Scala Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitri Šostakovič, nel cinquantesimo anniversario della scomparsa del compositore.

Il Direttore musicale Riccardo Chailly, alla sua dodicesima inaugurazione di Stagione, dirige Orchestra e Coro del Teatro alla Scala. La regia è di Vasily Barkhatov, le scene sono di Zinovy Margolin, i costumi sono firmati da Olga Shaishmelashvili, le luci sono a cura di Alexander Sivaev. Il cast vocale è guidato da Sara Jakubiak (Katerina L’vovna Izmajlova), Alexander Roslavets (Boris Timofeevič Izmailov) e Najmiddin Mavlyanov (Sergej).

Riccardo Chailly

Con la sua dodicesima inaugurazione di stagione il maestro Riccardo Chailly prosegue una collaborazione con il Teatro alla Scala che data dal 1978 e che proseguirà anche nei prossimi anni. Le opere di Giuseppe Verdi, dai titoli giovanili fino a Aida e Don Carlo, la scoperta delle versioni originali di titoli pucciniani, il ritorno di capolavori che ebbero alla Scala la loro prima rappresentazione, nonché una vastissima ricognizione del repertorio sinfonico, che negli ultimi anni si è concentrato in particolare sulla Seconda Scuola di Vienna, sono solo alcuni dei percorsi approfonditi dal Maestro in un rapporto sempre più stretto con l’Orchestra e il Coro scaligeri. Tra questi filoni, anche il repertorio russo: con Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk Chailly corona un percorso iniziato nel lontano 1991 con La fiera di Sorocinzy di Modest Musorgskij e proseguito poi con L’angelo di fuoco di Prokof’ev nel 1994 e con Boris Godunov nel 2022.

Il rapporto di Riccardo Chailly con la produzione operistica di Šostakovič risale a più di cinquant’anni fa: “Tutto ebbe inizio nel 1972, quando avevo 19 anni. Ebbi il privilegio di assistere alle prove e alle rappresentazioni de Il naso di Šostakovič, diretto da Bruno Bartoletti con la regia di Giacomo De Filippo. Rimasi letteralmente stordito per giorni. Mi colpì enormemente la modernità, il coraggio di affrontare un testo di Gogol’ in quel modo”.

Da una parte, la profonda tecnica compositiva di uno Šostakovič appena ventiquattrenne che realizza un’orchestrazione di rara fattura, in cui - come continua Chailly - “non si corregge niente, non si taglia niente, e che mostra nella scrittura un sapiente e innovativo uso della politonalità”. Dall’altra, una conoscenza capillare del patrimonio delle melodie popolari russe, fattore determinante per lo strabiliante successo riscosso nel periodo precedente alla sua censura, che porta questo titolo a essere rappresentato quasi duecento volte tra Leningrado e Mosca nell’arco di un anno e mezzo. Continua Chailly: “Šostakovič accenna, ammicca, inserisce quasi a mosaico elementi riconoscibili dalla tradizione popolare russa”.

Ma non finisce qui. In Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk coesiste con questa tradizione folklorica anche un aspetto legato alla musica mitteleuropea, come attesta una vera e propria citazione all’interno della seconda aria di Katerina nel Quarto Atto, in cui compare un chiaro riferimento all’Abschied dal Lied von der Erde di Gustav Mahler, come ricorda Chailly: “Qui Šostakovič aveva bisogno di rappresentare musicalmente il vuoto totale di una donna delusa da tutto, a un passo dalla disperazione definitiva, cercando lo smarrimento mostruoso di se stessa descrivendo gli stati d’animo finali di un’esistenza che si sta per concludere”.

Del resto - come ci ricorda Franco Pulcini - nel Quarto Atto “l’alchimia dell’orchestrazione raggiunge effetti lugubri. Pensiamo all’impressionante ‘Passacaglia’, interludio posto fra i due quadri del secondo atto. Il finale dell’opera, l’ultimo atto, è di abissale pessimismo, con musica in presa diretta emotiva. Qui e altrove, insieme a Musorgskij, il faro dell’ispirazione resta soprattutto l’ultimo Mahler, poeta sinfonico della morte, per le tinte cadaveriche che traspaiono nel tessuto strumentale”.

Una partitura piena di contrasti, dunque, in cui, al fianco di questo elemento struggente, convive l’elemento grottesco, magistralmente rappresentato musicalmente da Šostakovič. Continua il Direttore musicale: “Il grottesco in quest’opera sconvolge fin dal primo ascolto. Basta concentrarsi sul canto del prete dopo aver scoperto che Boris è stato avvelenato da Katerina. Una scrittura che rimanda quasi al mondo dell’operetta, un linguaggio musicale completamente diverso, quasi da tragedia satirica, in cui s’impone l’idea del grottesco”.

La regia 

Vasily Barkhatov segna con questa regia il suo debutto scaligero. Quello tra direzione musicale e regia è stato in questo caso un lavoro capillare e profondo nella partitura, iniziato da molto tempo, come ricorda il regista: “Questa è la mia prima collaborazione con Riccardo Chailly. Quasi due anni fa abbiamo parlato per la prima volta dell’opera. Grazie al lavoro con lui ho potuto scoprire ulteriori aspetti interessanti della partitura: una partitura molto cinematografica, in cui vengono forniti minuziosi dettagli per l’azione scenica e che ci consente dunque di rappresentare minuziosamente i personaggi dal punto di vista psicologico. Stiamo osservando e discutendo insieme tutto, è una collaborazione che ci vede affiancati molto in profondità”.

Ne deriva una regia concentrata sul personaggio di Katerina Izmajlova, in una drammaturgia che si sviluppa lungo i suoi ricordi e le sue confessioni. Le coordinate della messa in scena si basano proprio sulla drammaturgia suggerita da Šostakovič, che, secondo le parole di Barkhatov, “oscilla tra humour e tragedia cinematografica, tra l’assurdo, il realistico e la tragedia violenta. Facciamo lo stesso, cercando di salvaguardare l’intero contenuto della partitura”.

E chi è Katerina, nella visione di Barkhatov? Afferma il regista: “Katerina sta compiendo un delitto per la sua libertà e per la sua identità, ma rimane pur sempre un delitto. Proviamo a entrare nella sua mente. Katerina ha bisogno di fare questo, non ha altro modo per fuggire da una costrizione. Ma quando diventa cosciente del tradimento di Sergej, in Siberia, realizza profondamente di aver commesso nient’altro che un omicidio, capisce di essere un mostro, capisce di non aver fatto niente di buono”.

Una donna che, lottando per la sua identità, compie un gesto efferato. Tuttavia, continua Barkhatov, “non la vedo assolutamente come una pazza, ma come una donna scontenta e frustrata, che ha preso questo amore con Sergej come qualcosa di grande”.

Un’opera che parla ancora molto al presente e porta in scena, ad esempio, l’attuale tema della libertà sessuale, una delle conquiste della Rivoluzione russa, che, come si diceva al tempo, avrebbe dovuto garantire che la possibilità di soddisfare i propri istinti dovesse essere semplice come “bere un bicchier d’acqua” quando si ha sete. Ma è nel 1934, anno di pubblicazione dell’opera, che l’Unione Sovietica introduce il divieto di aborto, cerca di assumere contromisure significative contro il divorzio e mette al bando l’omosessualità. Come ci ricorda Franco Pulcini, tra gli altri, “il successo dell’opera coincide con l’abolizione di tale libertà”, e rappresenta in qualche modo un riscatto di queste libertà perdute.

Del resto, Šostakovič ambienta la vicenda nel mondo provinciale del distretto di Mcensk, una società rurale, arretrata e patriarcale, che fa sì che il testo sia connotato da un linguaggio esplicito e prosaico, atto a rappresentare una società fortemente patriarcale in cui la considerazione della donna è estremamente arretrata, e che il compositore mette in scena per condannarla.

L’opera

Il compositore, autore anche del libretto tratto dal romanzo di Nikolaj Leskov, aveva immaginato l’opera come prima anta di un trittico che avrebbe descritto la condizione della donna in diverse epoche della storia russa. La vicenda, ambientata nella campagna russa negli anni 1860 (la servitù della gleba è abolita nel 1861), vede protagonista la giovane Katerina Izmajlova che, sposata contro la sua volontà a un giovane possidente imbelle e soggetta alle angherie anche sessuali del suocero, è attratta dal garzone Sergej, sfacciato e brutale. Quando il suocero li scopre e frusta Sergej, Katerina lo avvelena con una zuppa di funghi. Al ritorno del marito, Katerina e Sergej si liberano anche di lui e si sposano, ma durante la cerimonia un servo scopre il cadavere del primo marito nascosto in cantina. Katerina e Sergej (che nel racconto di Leskov uccidono anche un nipote per sottrargli l’eredità) sono condannati ai lavori forzati. Durante il viaggio Sergej preferisce a Katerina una ragazza più giovane: Katerina la uccide trascinandola con sé nelle acque ghiacciate del fiume.   

Dopo la doppia prima, il 22 gennaio 1934 a Leningrado e due giorni dopo a Mosca, l’opera gode di un clamoroso succès de scandale, sia per la spietata critica sociale sia per l’inedito realismo nella rappresentazione della sessualità. Šostakovič abbandona la vena satirica astratta e surreale della sua prima opera, Il naso - tratta da Gogol’ e andata in scena per sole sei rappresentazioni a Mosca nel 1930 - per rifarsi alla ruvida aderenza al vero di Musorgskij, e il pubblico risponde entusiasta: duecento rappresentazioni in due anni tra Leningrado e Mosca. Il vento però sta cambiando, come spiega Galina Vishnevskaya, celebre interprete di Katerina, nelle sue memorie: “I compositori dell’ex-Proletkult che in passato erano stati spietatamente criticati da Šostakovič stavano ora monopolizzando l’Unione dei Compositori proprio di fianco al Cremlino, e covavano il loro rancore verso Šostakovič. Pazientemente si preparavano alla vendetta. Avevano studiato accuratamente i gusti di Stalin e facevano del loro meglio per assecondarne l’ignoranza”. Ma soprattutto, le direttive di Ždanov, nuovo responsabile della cultura del Partito comunista, chiedono ottimismo, eroi positivi e finali lieti. Nel gennaio 1936 Stalin assiste a una rappresentazione. Il 26 esce sulla Pravda quella che è forse la più celebre stroncatura della storia della musica, che alcune voci attribuiscono al dittatore in persona: “La musica starnazza, grugnisce, ringhia, si autostrangola per rappresentare le scene amatorie nel modo più realistico possibile. L’«amore» è imbrattato per tutta l’opera nella maniera più volgare… All’estero Lady Macbeth riscuote molto successo presso il pubblico borghese”. E in effetti l’opera era rappresentata in tutto il mondo, anche se i giudizi della stampa “borghese” erano spesso simili a quello della Pravda. The Sun di New York aveva scritto nel 1935: “Šostakovič è senz’altro il più importante compositore di pornografia musicale della storia della musica… è poco meglio di una glorificazione del tipo di cose che sozze matite scrivono sui muri dei gabinetti”. L’articolo della Pravda segna il bando per l’opera in Russia e la disgrazia del compositore, che dura fino agli anni di Kruščëv, quando Šostakovič accetta di curare una versione emendata del suo lavoro che va in scena a Mosca nel 1963 con il nuovo titolo Katerina Izmailova. Le scene di erotismo più acceso sono soppresse, il linguaggio musicale è meno abrasivo. La “nuova” opera aveva suscitato un vivo interesse anche in via Filodrammatici. Il successo planetario del romanzo Il dottor Zivago, proibito dalla censura sovietica e pubblicato per la prima volta dall’editore italiano Feltrinelli nel 1957, aveva creato un’ondata di interesse per le opere del dissenso e il Direttore artistico Francesco Siciliani aveva avviato invano le trattative per ottenere che la prima assoluta della Katerina avvenisse alla Scala. L’opera vi arriva invece solo nel maggio 1964, con la direzione di Nino Sanzogno, la regia di Milo Wasserbauer e Inge Borkh nei panni di Katerina. Negli anni seguenti Mstislav Rostropovich si fa paladino della riscoperta della prima e più radicale versione dell’opera: una battaglia insieme artistica e politica per le ragioni autentiche, ancorché rinnegate, del lavoro poetico. Bisognerà attendere il 1992 perché Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk arrivi anche alla Scala, con una memorabile regia di André Engel e la direzione rivelatrice di un giovane Myung-Whun Chung.

 


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