di Giovanni Zambito - Il musical CARAVAGGIO - A Rebel Rock Musical, prodotto dalla “Golden Ticket Company”, porta sul palco la vita impetuosa e luminosa di Michelangelo Merisi, il pittore che ha osato sfidare la Roma papalina del Seicento e i limiti stessi dell’arte.
Tra luci e ombre, fede e ribellione, amore e collera, prende forma un racconto potente che unisce la passione del teatro alla forza viscerale della musica rock.
A incarnare il genio maledetto è Jacopo Siccardi, che dà voce e corpo a un Caravaggio inquieto, ardente, profondamente umano. In questa intervista racconta la sua esperienza dentro l’anima di un artista che ha trasformato la luce in verità, e la ribellione in arte. Fattitaliani lo ha intervistato.
Chi era per te Caravaggio prima del musical e adesso chi è per te?
Mia madre è sempre stata molto appassionata di arte e, fin da piccolo, mi ha portato a visitare mostre di svariati artisti e musei in generale. Caravaggio era quindi una figura che artisticamente già conoscevo. Quella che mi era meno nota era la sua vita rocambolesca, travagliata, appassionata. Un uomo risoluto, devoto alla sua ricerca artistica e incapace di scendere a compromessi. Un’anima ardente e sanguigna.
Mi sento vicino, in un certo senso, a Michelangelo Merisi: doveva essere uno che la vita la viveva appieno, e questo risuona molto forte in me. Studiare l’ombra dello spirito di Caravaggio mi ha fatto riflettere sulle mie ombre: ognuno di noi ha aspetti del proprio carattere con i quali venire a patti, ci portiamo dentro paure, rabbie, rancori e rimpianti.
Avvicinandomi alla figura di “eroe romantico” di Michele, di un uomo che rischia di essere in un certo senso sopraffatto dalla propria ombra, ho capito l’importanza del trovare la pace in noi stessi. Quindi possiamo dire che Caravaggio è stato, ed è ora per me, una sorta di figura dalla quale imparare per non commettere gli “stessi errori”.
Qual è stato l’aspetto più difficile da rendere: il genio artistico o la sua inquietudine interiore?
Sono entrambi aspetti intriganti. Ricordo una bellissima chiacchierata con Fulvio Crivello riguardo al modo con il quale gli artisti figurativi guardano la realtà. Hanno un’attenzione focalizzata al dettaglio, al particolare: potremmo dire che non guardano il mondo come lo guardiamo noi, e questa è una sfumatura che mi sono impegnato a ricercare nello sguardo del personaggio.
Per quanto riguarda invece l’inquietudine interiore, cito il brano “Nello specchio buio” e il lavoro di interpretazione fatto con Fabrizio Rizzolo per riuscire a comunicare la sofferenza interiore di un uomo irrisolto, che non sa chi è, ma che non può fare a meno di osservare la realtà che lo circonda — fatta di visi stanchi, vita dura — un uomo che parla con quella Roma di ladri e di santi e poi ne immortala l’essenza cruda e vera sulla tela.
Caravaggio è un uomo che vive di contrasti: luce e ombra, fede e ribellione, amore e collera. In che modo questi opposti si riflettono nella tua performance?
Innanzitutto mi viene da parlare dell’aspetto canoro. Le canzoni di Caravaggio hanno sound e spiriti molto diversi tra loro, spaziando da un rock più “arrabbiato” e graffiato a melodie dolci e struggenti. Questo mi ha portato a una ricerca timbrica che, a suo modo, ha scolpito il carattere del personaggio e, di conseguenza, il suo fisico. Caravaggio ama, ride, piange, fa a botte per strada, duella, vede, crea, cerca la luce nell’ombra del suo cuore — il tutto in un flusso emotivo carico come un fiume in piena.
Ti sei ispirato a qualche rappresentazione cinematografica o teatrale di Caravaggio o hai cercato una strada totalmente tua?
Ho deliberatamente ignorato ogni rappresentazione cinematografica o teatrale precedente, concentrandomi sul mio studio personale del personaggio e sul lavoro fatto insieme ai registi Fulvio Crivello e Fabrizio Rizzolo per creare il mio, o meglio, il nostro Caravaggio: quello che “abita” al meglio questo spettacolo.
Che tipo di energia ti chiede la musica rock rispetto a un musical tradizionale? Credi che questo linguaggio sia il più adatto per raccontare Caravaggio oggi?
Credo che questo linguaggio sia perfetto per raccontare Caravaggio. Sono da sempre un grande appassionato di musica rock, in particolare di Bruce Springsteen, e dello spirito che questo genere musicale incarna. Non mi riferisco all’aspetto da “sballati”, il classico sesso, droga e Rock ‘n’ Roll — no, parlo dell’energia che la musica rock per me racchiude. Nel rock non si possono fare le cose a metà: il rock è potente, deciso, selvaggio, romantico. Il rock non ha paura di sporcarsi o di dire a pieni polmoni quello che pensa. Tutto questo risuona magnificamente con Caravaggio.
C’è un brano dello spettacolo che senti particolarmente tuo o che rappresenta meglio l’essenza del personaggio?
Un brano dello spettacolo che mi piace molto è “Nel bene e nel male”: parla della luce e del buio dell’umanità. Credo che l’essere umano debba imparare a venire a patti con le proprie ombre, a guardarle, comprenderle, imparare da esse, senza paura, senza far finta che non esistano. Caravaggio per me ha, in un certo senso, tentato di fare questo - certamente a suo modo e con quel suo carattere turbolento e per certi versi disfunzionale - ma l’intento, a mio avviso, era alto e puro.
Caravaggio dipingeva “i poveri nei panni dei santi” e mostrava la realtà senza filtri. Cosa può insegnarci oggi questa sua visione?
La visione di Caravaggio è capace di mostrare l’incredibile ricchezza dell’umanità. Un’arte che presenta la realtà per quella che è, senza edulcorarla né giudicarla, è un’arte che vuole far conoscere il mondo. È un’arte che si fa specchio, per chi la osserva, della luce e dell’ombra interiori. Tutto ciò che di “sbagliato” e imperfetto troviamo nella realtà, che risuona in noi con una nota stridente, è per noi segnale di un lavoro che possiamo fare su noi stessi — di carattere spirituale e anche, di conseguenza, pratico.
Il musical racconta anche la lotta contro il potere e l’ipocrisia. Ti sembra che ci sia ancora bisogno di artisti “ribelli”?
Il musical parla della lotta al potere oppressivo e all’ipocrisia. Io ritengo che ci sia bisogno di artisti in generale. Come diceva Henry Miller: “L’arte non serve a niente, se non a dare un senso alla vita”. Io credo in un’arte che non abbia la funzione di un narcotico per il pubblico, ma che sia bensì la scintilla di un risveglio - come individui, come società e come anime in viaggio. In questo senso i “ribelli”, le voci fuori dal coro, sono fondamentali per ampliare i nostri punti di vista e la nostra conoscenza del mondo.
Dopo aver interpretato Caravaggio, è cambiato in qualche modo il tuo modo di guardare all’arte o alla spiritualità?
Non direi che è cambiato, direi piuttosto che è maturato. Arte e spiritualità sono per me fortemente interconnesse: l’artista è un canalizzatore di cose che in un certo senso tutti percepiamo ma che facciamo fatica a mettere a fuoco, a comprendere. Dopo aver interpretato Caravaggio sento di aver capito con maggior chiarezza l’artista e l’essere umano che voglio essere. Diciamo che, a differenza di Michele, mi sono impegnato a venire a patti con tanti aspetti di me con i quali facevo un po’ a pugni: sto imparando a far la pace con il mondo. È un work in progress, ovviamente.
Qual è la “luce” che cerchi tu, come artista e come persona?
Io cerco di impegnarmi ogni giorno a diventare un artista migliore e un essere umano migliore, e viceversa: i due percorsi sono collegati in un certo senso e uno “dà una mano” all’altro. Nel concreto questo, per me, significa cercare di ampliare le mie conoscenze e lo spettro dei punti di vista, uscire dal giudizio, migliorare la tecnica, rimanere in una vibrazione di gratitudine, osservare sfumature sempre più sottili della vita e, come ho già detto, lavorare sulle proprie ombre.
Quale messaggio speri che il pubblico porti con sé dopo aver visto lo spettacolo?
Sicuramente un messaggio di speranza e di fiducia nella vita, e la comprensione che luce e ombra non sono due cose distinte, ma bensì le facce della stessa medaglia. Ma, a parte questo, anche la gioia di aver goduto di una storia avvincente, ben raccontata, e di ottima musica rock della nostra band capitanata da Tony De Gruttola.
Caravaggio cercava la verità nella pittura. Dove la cerchi tu, nella tua vita e nel tuo teatro o...?
La vita e il teatro sono già tanta roba! Mi occupo anche di musica, sono il frontman della band progressive rock ArcA ProgJet, con la quale stiamo ultimando il nuovo album, e non nascondo che mi piacerebbe lavorare di più nel cinema. Ma in questo momento sono molto assorbito da Caravaggio e da altri progetti teatrali: c’è lo spettacolo Pickman - Il pittore delle ombre (sì, un altro pittore!), tratto da un racconto di Lovecraft e diretto da Beatrice Frattini, realizzato con la collaborazione musicale di Fabio Galizia, e a marzo le date di Dante - L’uomo dietro il poeta, diretto da Marco Arbau.
Insomma, sono davvero ricco di esperienze artistiche nelle quali ricercare la verità.
Foto di Marco Gamba



