Leonardo da Vinci e la scoperta sul legno

 


Nel cuore del Codice di Madrid II si trova una frase breve ma carica di conseguenze: «Si manterranno meglio scortecciati e abruciati in superficie che in alcun altro modo».

A prima vista può sembrare un consiglio da bottega, un appunto pratico scritto alla rinfusa tra studi di meccanica e progetti idraulici, ma se la si legge con attenzione rivela una visione del tutto originale e sorprendentemente moderna. Leonardo non si limita a suggerire una tecnica: in quelle poche parole emerge la concezione del materiale come organismo, la consapevolezza che la durabilità del legno non dipende soltanto da una lavorazione accurata, ma dalla capacità di rispettare e modificare in modo mirato la sua “natura interna”. Rimuovere la corteccia e sottoporre la superficie a una combustione controllata non è qui un gesto distruttivo, bensì un atto di trasformazione che fissa il legno in una condizione più stabile, meno permeabile all’umidità e meno ospitale per funghi e insetti xilofagi.

Questa annotazione restituisce a Leonardo un ruolo che va oltre quello di artista e ingegnere: lo mostra come un osservatore sistematico della materia, capace di generalizzare da esperienze pratiche e formulare regole che anticipano concetti oggi centrali nella bioarchitettura. L’idea della carbonizzazione superficiale, descritta con un linguaggio conciso e quasi dogmatico, trova oggi riscontro nelle ricerche sulla pirolisi parziale e sulle modificazioni chimico-fisiche del legno che la scienza moderna ha cominciato a misurare e a definire. La pellicola carboniosa che si forma quando il legno viene “abruciato” non è soltanto un segno estetico: è una barriera che riduce la permeabilità, limita la penetrazione dell’acqua e ostacola la proliferazione microbica, condizioni che spiegano la maggiore resistenza osservata empiricamente.

Leggere questa nota nel contesto del Rinascimento significa anche considerarla come manifesto di un metodo: osservare, sperimentare, misurare e poi trarre regole applicabili. Leonardo raccoglieva indicazioni dalle botteghe, dai cantieri e dai lavori pratici, le confrontava con i propri esperimenti e infine le condensava in massime operative. In questo senso la sua affermazione sul legno assume valore epistemologico: non è una semplice ricetta, ma l’esito di una metodologia che unisce empirismo e riflessione teorica. È interessante osservare che la pratica giapponese dello Shō Sugi Ban, nota per la carbonizzazione dei rivestimenti lignei, si consolida in forma codificata nei secoli successivi. Qui non si può parlare di un trasferimento culturale diretto verso Leonardo; piuttosto, si tratta di convergenza: soluzioni indipendenti nate da problemi tecnici universali. Il fatto che simili intuizioni emergano in contesti e tempi diversi conferma la robustezza della scoperta e la sua rilevanza tecnica.

Oggi la rilettura di quella frase apre piste di dialogo tra storia delle tecniche e progettazione contemporanea. Ridona a Leonardo una dimensione di precursore della sostenibilità, perché la sua indicazione non mira al semplice miglioramento materiale, ma a un’armonia tra intervento umano e dinamiche naturali. In un’epoca in cui la ricerca sull’edilizia sostenibile e sulle modifiche termiche del legno è in rapida evoluzione, ritrovare nel Rinascimento un approccio che privilegia la comprensione dei processi naturali come base per l’azione tecnica è molto più che un elemento di curiosità filologica: è un promemoria sulla continuità tra osservazione antica e innovazione moderna.

 

 

 

La scienza contemporanea conferma che gli effetti protettivi della carbonizzazione superficiale dipendono da variabili specifiche — specie legnose, profondità della carbonizzazione, condizioni ambientali — ma non elimina il valore della regola empirica. Anzi, proprio perché la modernità può ora misurare e circoscrivere i confini dell’efficacia del trattamento, la nota leonardiana acquista nuovo valore come punto di partenza per ricerche interdisciplinari che coinvolgono storici, chimici dei materiali, conservatori e progettisti. La trasformazione del legno suggerita da Leonardo si configura così come un ponte tra sapere antico e pratiche future, una traccia di pensiero che invita a ripensare la tecnologia come sapienza applicata alla natura, non come dominio indifferente su di essa.

La ricerca è firmata da Annalisa Di Maria, Andrea da Montefeltro, Lucica Bianchi e viene pubblicata nel 2025 con il titolo "Leonardo da Vinci e il segreto del legno indistruttibile: la tecnica rinascimentale che sta rivoluzionando la bioarchitettura" .

Rileggere Leonardo alla luce di questa annotazione significa quindi guardarlo non solo come creatore di immagini o macchine, ma come protagonista di una riflessione profonda sulla materia e la sua relazione con l’ambiente. Quel piccolo appunto, scritto secoli fa su un foglio che pareva marginale, oggi ci costringe a rivedere la storia delle tecniche e a riconoscere nella mente leonardiana la sensibilità di chi sa combinare estetica, osservazione empirica e ragionamento scientifico. Se il legno carbonizzato è oggi scelto per il suo fascino e la sua efficacia, una parte di quella scelta risponde a un’intuizione che, sorprendentemente, possiamo rintracciare nelle parole di Leonardo: un invito a lavorare con la natura, a rispettarne le leggi e a farne alleata la durabilità.

 


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