di Mariano Sabatini
Sulle note di
“Le mille bolle blu” di Mina il monologo teatrale omonimo – scritto dal
giornalista e scrittore Salvatore Rizzo, recitato e diretto dall’eccellente Filippo
Luna che
ha vinto per questa interpretazione il premio dell’Associazione Nazionale dei
Critici di Teatro – è approdato di recente a Roma, in una gremitissima sala di
Palazzo Merulana. Vincitore anche del Premio “Pino Caruso” e prodotto da
Nutrimenti Terrestri lo spettacolo è tratto dall’omonimo racconto che lo stesso
Rizzo scrisse per l’antologia "Muore lentamente chi evita una passione –
Diverse storie diverse" (Pietro Vittorietti editore), storie vere di
omosessualità maschile in Sicilia per ogni decennio del Novecento. Tra
sprofondi di malinconia e scoppi di autoironia, la pièce si avvita sul bolo di
dolore che un amore costretto alla clandestinità ingenera; debuttò nel lontano novembre del 2008 al Nuovo Montevergini di Palermo che lo
produsse, ha girato un po' in tutta Italia, dal Veneto alla Liguria,
dall'Umbria alla Lombardia (è stato due volte a Milano, prima ai Filodrammatici,
quindi al Teatro Libero) e poi ha girato molto ovviamente in Sicilia. Era
importante che arrivasse anche a Roma. Ci sono già cinque date per
il 2026: l'8 febbraio a L'Aquila, il 15 febbraio a Lamezia Terme, il 15 marzo a
Cefalù e il 28 e 29 marzo a Sambuca di Sicilia.
Lo considera un
traguardo, Rizzo?
Era una tappa
obbligata per testare la reazione del pubblico della Capitale, Roma è stata una
conferma autorevole del successo che il testo e l'interpretazione e la regia di
Filippo Luna replicano ormai da 17 anni. Però mi chiedo come mai "uno
spettacolo piccolo e autonomo che arriva come un pugno allo stomaco", come
scrisse Gianfranco Capitta su "il manifesto" al debutto palermitano,
in tutti questi anni non abbia trovato a Roma uno spazio e un cartellone che
potesse ospitarlo per qualche giorno in più. Misteri della distribuzione
teatrale. Ma spero che si aggiungano sempre altre date oltre a quelle già
fissate.
Come sono stati
questi anni? Facili, difficili, avvilenti...
Visto il
consenso del pubblico, sono stati avvincenti. Certo, lo spettacolo avrebbe
potuto girare di più - anche se ha superato le cento repliche - oltre che
Milano anche altre città lo hanno ospitato più volte, è stato in metropoli e
piccoli centri e ovunque Filippo ha letteralmente ammaliato gli
spettatori.
Cosa è
cambiato?
Ogni volta che
Filippo mi comunica una ripresa de "Le bolle" - perché ovviamente la
sua carriera d'attore in questi 17 anni è cresciuta attraverso tanti altri
spettacoli e nel cinema e in televisione, diretto da registi di fama -
gli chiedo se, al di là delle richieste, il testo e il suo messaggio abbiano
conservato la loro forza, e Filippo mi dice che sì, che c'è quasi bisogno di un
copione come questo che affronti, anche calato in un contesto storico così
connotato come gli anni 60, il tema dell'omosessualità.
Sempre lo
stesso interprete... come lo scelse?
In verità è
stato Filippo il motore primo dello spettacolo, quello che mi ha convinto a
scrivere il monologo, che nasce da un mio racconto omonimo. Maria Elena
Vittorietti, che curò l'edizione del libro, scelse Filippo per dei reading che
accompagnassero la presentazione del volume nelle librerie della Sicilia.
Filippo si innamorò delle "Bolle" e dei suoi due protagonisti e
insistette perché dal racconto ricavassi per lui un monologo. Fu il mio debutto
- tardivo, a 50 anni - come autore teatrale dopo quasi trent'anni a fare il
giornalista di spettacoli e, dall'altra parte della barricata, anche il critico
drammatico. A Filippo la produzione offrì l'occasione di fare lui stesso la
regia dello spettacolo e, dopo vent'anni da attore, il suo debutto da regista
fu cucirsi addosso quello che secondo me è un gioiello di grande introspezione
emotiva.
Quale considera
il momento più intenso e significativo della messa in scena?
Filippo ha
creato 60 minuti di grande intensità, non ce n'è uno che sopravanzi l'altro.
Certo, ci sono momenti di maggiore tensione drammatica ma anche certi silenzi,
certe pause, certe esitazioni, quel lungo pianto di sconforto sulle note di
"Canzone" di Don Backy danno il senso di una misura teatrale secondo
me magistrale.
Diverse canzoni
come contrappunto, a partire dalle "Mille bolle blu" di Mina (icona gay), come le avete scelte?
Sono la colonna
sonora di quegli anni, le abbiamo scelte insieme a Filippo a cominciare
ovviamente da quella che dà il titolo al racconto e allo spettacolo: hanno un
potere evocativo fortissimo, ricreano insieme alle parole quel mondo che sembra
lontanissimo ma che è vicino, per certe sensibilità, al presente. E poi, da
appassionato di musica e da inviato per innumerevoli Sanremo, più di una
trentina, sono consapevole che le canzoni siano un ricatto al quale sottostiamo
con dolcezza e struggimento.
Cosa le dice il
pubblico che incontra? Ci sono mai state reazioni negative?
La reazione del
pubblico ha abbattuto certi miei pregiudizi. Formatomi culturalmente negli anni
70, avevo certe rigidità ideologiche. Esempio: il teatro deve tener ben
distinti nello spettatore emozione e razionalità. Quando, al debutto
palermitano, ho visto che il pubblico, oltre ad applaudire freneticamente,
aveva gli occhi lucidi, ho avuto uno shock, quasi avessi oltrepassato la
misura, io con le parole, Filippo con il coinvolgimento scenico. Quando ho
visto che in camerino ringraziavano Filippo e me proprio perché avevano pianto,
ho riflettuto sul fatto che quel rigore che temevo d'aver tradito fosse
nient'altro che una mia fisima.
Le persone omosessuali come vivono sotto questo governo?
Non credo che il problema sia vivere da omosessuali sotto questo o quel governo. Quando Filippo Luna, che da attore sente ogni sera le vibrazioni del pubblico, dice che "Le mille bolle blu" ancora "servono" - per quanto il teatro riesca a parlare a più gente possibile - credo si riferisca ad un monito che dev'essere continuo, ad uno stare sempre allerta affinché non solo sui diritti civili già conquistati non si faccia marcia indietro ma che su quelli ancora da conquistare non si temporeggi.



