Doline e praterie umide
«Il Matese è un massiccio carsico dell’Appennino centro-meridionale, diviso a metà tra Campania e Molise, e dalla scorsa primavera è Parco nazionale» ricorda Vincenzo D’Andrea, referente Slow Food del Presidio. L’area del Matese comprende cime montuose che raggiungono i duemila metri, ma non solo: «Ci sono le doline, le tipiche conche dovute alla dissoluzione della roccia, e abbondano i prati umidi, grazie soprattutto alla presenza di acqua nel sottosuolo».
Il Presidio Slow Food, che coinvolge cinque produttori tra le province di Caserta e di Benevento, valorizza il lavoro degli apicoltori che mantengono gli alveari in un ambiente ricco in biodiversità, sia animale sia vegetale, e dove la presenza dell’uomo resta ancora oggi limitata. «Sono realtà agricole che definire piccole è riduttivo, sono proprio minuscole – spiega D’Andrea –. Producono mieli di montagna: il disciplinare di produzione stabilisce un’altitudine minima di seicento metri, dove la vegetazione comincia a cambiare». Qui crescono piante come il trifoglio, il timo, il cardo, il tarassaco, la santoreggia, arbusti come i ciliegi selvatici, i biancospini, gli agrifogli, e alberi come i pini neri, i faggi, i lecci, gli abeti rossi. Le api bottinano le fioriture, regalando prodotti eccezionali e ogni anno diversi.
Una curiosità diventata mestiere
Antonella Eduardo è la referente dei produttori: «Le api si nutrono soltanto di nettare selvatico e la mia azienda pratica una apicoltura stanziale – racconta –. Tengo gli apiari a circa novecento metri: da un lato il vantaggio è che qua il territorio è davvero incontaminato, i prati sono incolti, non si pratica agricoltura né la semina dei fiori. Dall’altro, però, a questa altitudine fa più freddo e le api cominciano a bottinare le fioriture un mese più tardi rispetto alle zone di pianura». Il miele, prosegue, «viene lavorato a freddo, non pastorizzato: così conserva vitamine, sali minerali ed enzimi». Chi pastorizza, spesso lo fa per ragioni commerciali: «I mieli pastorizzati non cristallizzano, restano sempre liquidi, e spesso il cliente tende inconsapevolmente a preferirli».
Con una laurea in Beni culturali in mano, Antonella ha scelto comunque la via dell’apicoltura: «Spinta dalla curiosità» si è iscritta a un corso, e dopo una manciata di anni come hobbista ha scelto di farne un mestiere. «Pratico un’apicoltura orizzontale: significa che il melario, anziché essere sovrapposto all’arnia, ne è parte integrante su un lato – spiega –. In questo modo cerco di assecondare il comportamento naturale delle api, che tendono a espandersi in orizzontale. Oltretutto, quando occorre fare una ispezione, l'arnia non viene aperta del tutto, ma solo nelle piccole porzioni che si vanno a visitare: così le api rimangono più tranquille».
Come Antonella, anche gli altri produttori del Presidio vivono e lavorano nell’area del Parco nazionale: «Abbiamo voluto favorire l’apicoltura stanziale e i produttori locali, per questo abbiamo scelto di coinvolgere solo chi ha l’azienda nei comuni dell’area protetta – aggiunge D’Andrea –. Per non depauperare la risorsa floreale che in altura è ridotta, abbiamo stabilito anche che ciascun apiario non possa avere più di 25 alveari e che tra un apiario e l’altro vi siano almeno cinquecento metri di distanza. Non possiamo permetterci di innescare una competizione tra le api mellifere e gli impollinatori selvatici: bombi, osmie e farfalle sopravvivono grazie al nettare e al polline proprio come le api». Guai a trasformare l’apicoltura in una pratica intensiva, il suo monito: anzi, la speranza è che il nuovo Presidio Slow Food dei mieli dei prati dei Monti del Matese possa «incoraggiare a tornare a un approccio estensivo anche chi, sull’Appennino, alleva ovini, caprini e bovini».