Soffia il mondo come vetro da Pietra, verso, flauto di Gottfried Benn, 1979
In occasione della nona edizione di The Venice Glass Week le Gallerie dell’Accademia ospitano una personale di Tristano di Robilant che, attraverso 12 sculture in vetro, apre un dialogo con la storia del museo veneziano.
InAcademia è un progetto infatti che muove da un attento studio della collezione e degli spazi del museo nella consapevolezza delle sue straordinarie unicità.
Tristano di Robilant ha varcando la soglia con un’attitudine quanto mai attenta alla costruzione delle collezioni e alle vicende architettoniche dell’edificio, collocando le proprie sculture secondo un principio di scambio con l’intorno: le opere in vetro divengono dunque una sorta di inciampo visivo che, come lenti poste strategicamente all’interno del percorso museale, invitano ad una riflessione e ad una lettura “altra” dei capolavori del museo.
Le sculture di Tristano di Robilant – tutte realizzate a Murano presso la vetreria Anfora grazie all’esperienza un tempo del maestro Andrea Zilio e ora di Andrea Salvagno – sono forme prettamente astratte che eludono angoli spigolosi ma anzi, nel loro fluire sinuoso, sembrano adagiarsi nello spazio. L’ispirazione letteraria che sottende la mostra è il risultato in primis della passione dell’artista per la poesia ma anche della profonda convinzione che il vetro non sia un materiale “sordo”, e che sia in grado di riflettete stati d’animo e pensieri; ovviamente non in senso letterale ma come evocazione. Ed “evocazione” è una parola chiave che tiene insieme ogni tappa del percorso segnato dalle 12 sculture e che, per la prima volta, include anche il cortile palladiano.
È La Lumera (2024) ad aprire la mostra, una grande scultura in vetro rosso rubino che rifacendosi al IV canto dell’Inferno - “cosi andammo infino a la lumera, parlando cose che il tacere è bello” - evoca il segreto della conversazione tra i poeti che avviene, non a caso, di fronte al Reliquario del Cardinal Bessarione (1403-1472) teologo e tra i maggiori letterati del Quattrocento. Buona parte delle opere sono state realizzate specificatamente per questa mostra come Poeta (2025), la maestosa scultura in vetro rosé specchiato posto nella sala di Giorgione e che rimanda al potere della parola come unico strumento per svelare i rebus giorgioneschi, artista dell’enigma per eccellenza.
Rimanda invece all’immagine di una Venezia da sempre cosmopolita e centro di scambi l’Alchimista d'Oriente (2025) posto al centro della sala con i teleri per la Scuola di San Marco: l’alchimista è colui che trasforma le materie attraverso il fuoco, esattamente come accade nel processo di lavorazione del vetro, e al contempo la forma di questa scultura si integra con le numerose figure con turbante che animano le storie dipinte dai Bellini.
La collocazione più scenografica spetta a La Sibilla (2024), nella sala del soffitto del Vasari, dove ad essere evocata non è tanto la Sibilla amata dal dio Apollo ma è quella evocata da T.S. Eliot nell’Epigrafe di The Waste Land - “vidi la Sibilla appesa in una bottiglia” - e che ha le fattezze di una scultura salda, il cui sovrapporsi dei rosa intensi dialoga con le tematiche del soffitto e riprende i passaggi cromatici della pittura vasariana, artista manierista tra i più sofisticati.
Passando al piano terra, il rapporto con lo spazio si fa ancora più stretto perché le opere non hanno più supporti ma sono appoggiate direttamente alle superfici dell’edificio: Cippo (2022) in un vetro d’un arancio squillante segnala il confine tra interno ed esterno ma soprattutto porta l’attenzione del visitatore sulla bella testa gotica attribuita a Marco Romano che rischierebbe di restare inosservata.
La mostra si chiude infine con quattro sculture che mostrano altrettante declinazioni del vetro cristallo, ovvero incolore - dalla trasparenza, alla satinatura, all’effetto rugoso del “ghiaccio” - in uno stretto dialogo con le altrettanto sottili e impercettibili nuance dei grigi dell’Esaltazione della Croce e Sant’Elena di Giambattista Tiepolo.