Alla morte dell’uomo che «si diceva fosse stato suo padre», il protagonista riceve in eredità un grande scatolone di cartone che rimane sigillato per venticinque anni.
Quando finalmente lo apre, si spalanca davanti a lui un abisso: documenti, debiti, sentenze - i frammenti di un’esistenza segnata dal fallimento. Un’eredità che oltrepassa i confini del nucleo familiare per trasformarsi in questione politica, culturale e sociale.Lukas Bärfuss affronta la materia incandescente delle origini - miseria, disonore, emarginazione - facendone il fulcro di una riflessione narrativa profonda su trasmissione e ricezione: identità, proprietà, destini, maschere, menzogne. Attraversando i racconti biblici e Darwin, dal diritto romano a Wittgenstein, Il cartone di mio padre mette in discussione senza compromessi i fondamenti della proprietà, del privilegio e della stirpe, rivelando l’eredità stessa come meccanismo di oppressione.
Un memoir che fonde politica e filosofia, dirompente come una confessione intima, affilato come un manifesto. Un’opera che abbatte certezze considerate inattaccabili per rivendicare una visione alternativa del futuro: un’ecologia dell’eredità.
«Non esiste alcuna “eredità spirituale” che non possa essere rifiutata. Al contrario di quella biologica, ogni origine culturale è una scelta.»
Bärfuss in Italia |
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