L’università, storicamente, non è solo un luogo di trasmissione del sapere, ma anche uno spazio di responsabilità civile, un presidio di coscienza critica all’interno delle società democratiche. L’episodio recente che vede protagonista l’Università dell’Aquila, con la mozione approvata dal Dipartimento di Scienze Umane per sospendere le intese con istituzioni e atenei israeliani, rappresenta un passaggio cruciale per comprendere il ruolo dell’accademia nel dibattito pubblico contemporaneo. Non si tratta di un semplice atto amministrativo, ma di una scelta politica e morale che ha già acceso un intenso confronto in Italia e oltre i confini nazionali.
La mozione e i suoi contenuti
Il documento approvato il 10 settembre 2025 chiede all’ateneo aquilano di sospendere e non attivare collaborazioni con università israeliane fino alla cessazione delle operazioni militari a Gaza e all’impegno esplicito di Israele a rispettare il diritto internazionale, le risoluzioni delle Nazioni Unite e i diritti fondamentali del popolo palestinese.
Nel testo si richiamano le ordinanze della Corte internazionale di giustizia che, tra gennaio e maggio 2024, hanno intimato a Israele il rispetto della Convenzione sul genocidio, così come le decisioni della Corte penale internazionale che hanno portato all’emissione di mandati di arresto nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant per crimini di guerra e contro l’umanità.
Il Dipartimento sottolinea anche come le violazioni non si siano arrestate neppure durante la tregua di marzo 2025: al contrario, gli attacchi si sarebbero intensificati, colpendo il sistema educativo di Gaza, archivi, musei e simboli identitari, oltre a generare una crisi umanitaria aggravata dall’uso della fame come arma di pressione.
Università come luogo politico e morale
La decisione dell’Università dell’Aquila si inserisce in una tradizione di impegno civile dell’accademia. In Italia, già in passato, diverse università hanno preso posizione contro regimi dittatoriali, discriminazioni o conflitti.
Il mondo universitario non può essere neutrale quando si tratta di diritti umani fondamentali. Il concetto stesso di “neutralità” in tali contesti rischia di trasformarsi in indifferenza, e l’indifferenza, come ammoniva Elie Wiesel, “è più pericolosa della rabbia e dell’odio”.
Le critiche e il dibattito acceso
Naturalmente, la mozione aquilana non ha mancato di suscitare critiche. Alcuni osservatori hanno accusato l’università di confondere il piano accademico con quello politico, rischiando di isolarsi da reti scientifiche internazionali e di compromettere opportunità di ricerca e sviluppo. Altri sottolineano il pericolo di penalizzare studiosi israeliani che, spesso, sono essi stessi critici verso il proprio governo o attivi nei movimenti per la pace.
La mozione, tuttavia, non vieta i rapporti individuali fra ricercatori, ma si concentra sulle intese istituzionali che potrebbero legittimare indirettamente governi accusati di violazioni sistematiche del diritto internazionale.
Precedenti storici e parallelismi
Non è la prima volta che il mondo accademico utilizza il boicottaggio come strumento di pressione. Negli anni ’80, contro il Sudafrica dell’apartheid, numerose università europee e americane interruppero i rapporti con istituzioni locali, contribuendo a isolare il regime e a dare visibilità alla lotta contro la segregazione razziale.
Etica della conoscenza
Un aspetto centrale della mozione è la proposta di un regolamento di Ethical Due Diligence, volto a escludere collaborazioni con enti coinvolti in conflitti armati o nella produzione militare.
Il sapere, per sua natura, dovrebbe essere universale e orientato al miglioramento dell’umanità. Quando invece diventa strumento di oppressione, si piega a logiche di potere.
L’Italia e le altre università
Il gesto dell’Università dell’Aquila si inserisce in un contesto nazionale molto ampio. Negli ultimi mesi, diversi atenei italiani hanno adottato decisioni analoghe:
- Torino (marzo 2024) – uscita da un patto di ricerca con università israeliane.
- Palermo (aprile 2024) – sospesi gli accordi Erasmus con atenei israeliani.
- Milano (giugno 2025) – interrotto scambio con la Reichman University.
- Pisa (luglio 2025) – approvata mozione che interrompe accordi con atenei ritenuti complici di violazioni dei diritti umani.
- Padova (luglio 2025) – deliberato di non stipulare nuovi accordi istituzionali con università israeliane.
- Altri atenei, come Cagliari, Firenze e la Scuola Normale Superiore di Pisa, hanno approvato documenti che chiedono maggiore attenzione etica nelle collaborazioni.
Il quadro internazionale
Anche in altri Paesi si registrano decisioni simili:
- Ghent University (Belgio) – maggio 2024, interrotte tutte le collaborazioni con università israeliane.
- Université Libre de Bruxelles e Università di Anversa – sospensione di nuovi progetti con istituzioni israeliane.
- Spagna, Irlanda, Norvegia, Brasile – vari atenei hanno sospeso scambi e partenariati con istituzioni israeliane come atto di protesta contro la guerra a Gaza.
Il sapere come resistenza
Un punto decisivo della mozione aquilana riguarda la proposta di rafforzare i rapporti con le università palestinesi, non solo interrompere collaborazioni. Conservare archivi, mantenere viva la memoria, garantire istruzione in condizioni di guerra: tutto questo è resistenza culturale.
Conclusioni: università e futuro
Il caso dell’Università dell’Aquila apre un dibattito che va oltre i confini locali. Decidere con chi collaborare significa anche decidere quale mondo si vuole costruire.
In un’epoca segnata da guerre, crisi climatiche e disuguaglianze, l’accademia non può restare spettatrice. Come scriveva Camus, la libertà è possibilità di essere migliori: e la libertà del sapere, quando si traduce in responsabilità, può davvero contribuire a migliorare l’umanità.
Carlo Di Stanislao