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di Giovanni Zambito - Sabato 30 agosto il Parco di Villa Correr Pisani di Montebelluna ha fatto da cornice al concerto dell’XYQuartet, una delle formazioni più originali e riconosciute del nuovo jazz italiano. Nato nel 2011 dall’incontro tra il sassofonista Nicola Fazzini e il bassista Alessandro Fedrigo, il gruppo si completa con Saverio Tasca al vibrafono e Luca Colussi alla batteria. In più di un decennio di attività, il quartetto ha saputo distinguersi per una scrittura complessa ma comunicativa, capace di fondere ispirazioni tratte dal jazz contemporaneo, dal serialismo e dal minimalismo, fino a riferimenti letterari, architettonici e fantascientifici. Con il nuovo lavoro Lexycon, sesto album pubblicato da nusica.org, il quartetto invita il pubblico a un viaggio immaginifico in cui la musica diventa linguaggio e narrazione. Undici brani originali compongono un mosaico sonoro che fonde improvvisazione e scrittura in forme sempre mutevoli, evocando personaggi e paesaggi fantastici, tra distopia orwelliana, visioni calviniane e universi da esplorare. Un concerto che si annuncia come un’esperienza densa di suggestioni e scoperte. L'intervista di Fattitaliani.
Come si è evoluto il vostro suono in oltre dieci anni di attività?
Alessandro Fedrigo: Il nostro suono è cresciuto insieme a noi: all’inizio eravamo più controllati, i pezzi avevano una struttura più definita, oggi siamo più consapevoli e improvvisiamo molto di più. Ogni disco ha segnato una tappa, ma il filo rosso resta la voglia di sperimentare.
La vostra scrittura fonde jazz contemporaneo, serialismo, minimalismo, ma anche suggestioni letterarie, architettoniche e fantascientifiche. Come convivono tutte queste influenze nei vostri brani?
Nicola Fazzini: Convivenza pacifica. Scherzi a parte, tutte queste influenze sono il frutto dei nostri ascolti, dei nostri interessi e del nostro vissuto. Credo che sia connaturata al jazz l’esigenza di trovare stimoli e spunti anche al di fuori del linguaggio prettamente musicale e afroamericano, che di suo è già frutto di numerose commistioni. Per cui noi ci sentiamo a nostro agio in questa veste. Pubblico e critica mi sembra apprezzino, magari i puristi del jazz meno.
Vibrafono, sassofono, basso elettrico e batteria: una combinazione non convenzionale. Quali possibilità espressive vi offre questa scelta strumentale?
Alessandro Fedrigo: Ci dà la libertà di muoverci in territori sonori molto diversi. È una tavolozza particolare che ci stimola a trovare soluzioni sempre nuove. La cosa più interessante però, a mio modo di vedere, è la personalità dei musicisti e la loro capacità di interpretare la scrittura e gli spazi improvvisati.
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Lexycon è il vostro sesto album e propone undici brani originali che costruiscono un mosaico sonoro ricco di narrazioni. Com’è nato questo progetto e cosa rappresenta per voi?
Nicola Fazzini: "Lexycon" è il risultato degli ultimi cinque anni di lavoro e studio del quartetto. Abbiamo provato e suonato questi brani in vari contesti dal vivo e ci siamo accorti che questo repertorio è diventato il nostro idioletto, la lingua comune attraverso la quale comunichiamo tra noi e con il pubblico. Questo codice linguistico-musicale, essendo originariamente nostro, gode di un certo grado di astrazione e, tra il serio e il faceto, ci è piaciuto attribuire questo lessico a personaggi che animano storie che si svolgono in un tempo e luogo lontano. Documentare questo processo in un disco è stata cosa naturale e spontanea.
Nei brani emergono richiami a Orwell e Calvino. Quanto conta per voi l’idea della musica come “linguaggio narrativo”?
Alessandro Fedrigo: Per noi la musica è sempre racconto, anche quando non ci sono parole. Inserire riferimenti letterari o immaginari ci aiuta a costruire mondi sonori che chi ascolta può abitare liberamente.
Il 30 agosto avete suonato al Parco di Villa Correr Pisani, un luogo carico di storia e bellezza. Quanto influisce l’ambiente in cui vi esibite sull’esperienza del concerto?
Nicola Fazzini: Ambiente - e aggiungerei pubblico - influiscono tantissimo sulla musica. In particolare, in quella improvvisata che prende vita nel momento dell’esecuzione. Sono luoghi che appartengono alla nostra storia, sono familiari perché parte della nostra tradizione e cultura, e al tempo stesso nuovi perché non usuali come palcoscenici musicali.
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Montello è Jazz punta a unire comunità e ricerca artistica. Come vivete questo dialogo tra sperimentazione e condivisione con il pubblico?
Alessandro Fedrigo: Lo viviamo come una sfida: portare ricerca e linguaggi complessi in un contesto aperto e, allo stesso tempo, rendere il concerto un momento di incontro. Quando il pubblico entra in sintonia con noi, la sperimentazione diventa naturale.
In tre parole, come descrivereste l’essenza dell’XYQuartet?
Alessandro Fedrigo: Curiosità, gioco, rigore.