La poesia del pianoforte tra Chopin e Debussy: Juan Pablo Gavilanes Almeida al Teatro di Marcello. L'intervista di Fattitaliani

©Fattitaliani.it

Nell’incanto delle serate romane, quando la città eterna si veste di luci e silenzi, il Teatro di Marcello diventa il cuore pulsante della musica. Per i concerti al Tempietto, stasera il pianista Juan Pablo Gavilanes Almeida offrirà al pubblico un viaggio poetico tra due mondi sonori unici: la raffinatezza sognante di Claude Debussy e l’intensità lirica di Frédéric Chopin.

Il programma intreccia pagine immortali – dai Préludes e la Suite bergamasque di Debussy, ai Notturni e allo Scherzo op. 20 n. 1 di Chopin – in un dialogo che unisce delicatezza, profondità ed emozione.

Una serata che non è soltanto concerto, ma esperienza: un incontro tra la magia del luogo e la forza evocativa della musica. L'intervista di Fattitaliani.

Maestro, cosa rappresenta per Lei suonare a Roma, in un contesto storico e suggestivo come quello del Teatro di Marcello?

Quella spianata che attraversa l'area monumentale del Circo Flaminio portò con sé, durante il periodo della Roma classica, non solo giochi, marce trionfali e sontuosi santuari, ma anche un'importante funzione culturale incentrata sulla presenza centrale di teatri e anfiteatri come il Teatro di Marcello. Ogni volta che torno a Roma per dare un concerto, è impossibile non immergersi nella suggestiva magia della sua storia: in questa occasione, suonando ai piedi del leggendario Teatro di Marcello, immagino cosa dovesse essere una tragedia sul suo palcoscenico in Forma Urbis Severiana; la sua acustica perfetta; e la dimensione morale di un'estetica espressa in piena interazione con i valori supremi dell'Antica Roma.

Il programma prevede pagine di Debussy e Chopin. Come ha costruito il dialogo tra questi due universi sonori apparentemente distanti ma, in fondo, legati da una grande raffinatezza poetica?

In effetti, poiché Chopin precede e riconosce le sonorità che emergeranno in seguito dall'universo di Debussy, possiamo trovare una corrispondenza estetica tra i due compositori -un colloquium inter pares-. Tuttavia, Chopin ha lavorato con il suono da una prospettiva strettamente legata allo sviluppo tecnico, meccanico e fenomenologico del pianoforte come strumento musicale. A sua volta, Debussy ha utilizzato il pianoforte come "medium" ontologico per esplorare a fondo le condizioni essenziali che determinano l'identità e l'esistenza del suo rapporto poetico con il suono.

Lei ha studiato con maestri leggendari, tra cui Aldo Antognazzi, allievo di Arturo Benedetti Michelangeli. Quanto sente ancora oggi il peso e il privilegio di quella tradizione pianistica?

La tradizione può e deve essere intesa come dialogo tra passato e presente: quella "fusione di orizzonti" di cui parlava Hans-Georg Gadamer. Un'eredità è possibile solo quando si instaura un processo che porti alla comprensione individuale e collettiva dei valori e dei saperi radicati, in questo caso, nella tradizione pianistica italiana che il Maestro Aldo Antognazzi, discepolo diretto del grande Arturo Benedetti Michelangeli, mi ha trasmesso oggi e che rappresento con orgoglio e impegno.

Chopin e Debussy sono al centro della sua specializzazione alla Schola Cantorum di Parigi. In che modo l’approfondimento accademico ha trasformato la sua interpretazione sul palcoscenico?

Più che una trasformazione, ha significato una profonda evoluzione nella mia carriera musicale, orientata verso una percezione consapevole del modo di Stare e di Essere con l'arte. Maestri e grandi pianisti come Francisco Escoda ed Eugen Indjic, con sapiente semplicità, mi hanno insegnato l'arte del tocco francese al pianoforte, nel contesto di una Schola Cantorum de Paris che ha saputo mettere da parte i regolamenti a favore della valorizzazione dell'eccezione di un profilo professionale e "sui generis" come il mio.

La sua carriera unisce attività concertistica, ricerca e scrittura. Come riesce a mantenere in equilibrio questi diversi aspetti della sua vita musicale?

Ho il privilegio di avere come Maestro e il mio Capo del Dipartimento di Filologia Italiana, presso l'Università Nazionale di Madrid, il Dott. Salvatore Bartolotta: la serietà, correttezza, rigore, attenzione ai dettagli ed etica, permettono di unire una vita in cui la vocazione per le arti espressa attraverso la musica, la pedagogia, la letteratura e la ricerca accademica possono coesistere e alimentarsi convenientemente in armonia. Poiché parlavamo di tradizione italiana, sono proprio i suoi fondamenti che condividiamo e cerchiamo di rafforzare insieme al mio caro collega e amico, il Maestro Baritono Roy Espinoza, presso l'Accademia Internazionale Umberto Giordano di Foggia, un'istituzione di cui siamo entrambi docenti e vicerettori. L'istituzione è stata costruita sui principi dell'alta specializzazione artistica in Italia, grazie al grande impegno del suo Rettore, la fantastica soprano e pianista Maestra Maria Gabriella Cianci.

Nei suoi studi ha esplorato anche la “spiritualità come vocazione interpretativa” e la “fenomenologia del suono”. Come trasmette questi concetti complessi a un pubblico che viene ad ascoltarla dal vivo?

Ogni pubblico ha la capacità di essere aperto, ricettivo e sensibile alla possibilità di trasferire l'esperienza sonora e acustica ai confini della propria e personale interrogazione esistenziale sulla condizione umana. Per questo motivo, la vocazione di un esecutore musicale, in quanto possiede il potere e il privilegio di trasmutare, sublimare ed esprimere simbolicamente i dettagli dell'esperienza umana, assume allo stesso tempo l'impegno e la responsabilità deontologica di farlo attraverso la via dello spirituale, inteso come esplorazione intensa e intrinseca della natura dell'anima e dell'esistenza verso la qualità dello trascendente. Questa disposizione non può che rendere l'artista un umile servitore dei più alti proclami dell'umanità e, quindi, dell'arte. Don Javier Romera, amato parroco di Villaviciosa de Odón, Madrid - dove ho il privilegio di collaborare -, riflette nelle sue omelie sull'importanza di abbracciare la virtù dell'umiltà come atteggiamento del cuore al servizio degli altri: forse è per questo che il mio saggio padre mi ha sempre esortato a offrire ogni mio sforzo nella vita "Alla maggior gloria di Dio".


***

La poesía del piano entre Chopin y Debussy: Juan Pablo Gavilanes Almeida en el Teatro de Marcelo

En el encanto de las veladas romanas, cuando la Ciudad Eterna se viste de luces y silencios, el Teatro de Marcelo se convierte en el corazón palpitante de la música. Para los conciertos del Tempietto, esta noche el pianista Juan Pablo Gavilanes Almeida ofrecerá al público un viaje poético entre dos mundos sonoros únicos: la delicadeza soñadora de Claude Debussy y la intensidad lírica de Frédéric Chopin.

El programa entrelaza páginas inmortales – desde los Préludes y la Suite bergamasque de Debussy, hasta los Nocturnos y el Scherzo op. 20 n. 1 de Chopin – en un diálogo que une delicadeza, profundidad y emoción.

Una velada que no es solamente concierto, sino experiencia: un encuentro entre la magia del lugar y la fuerza evocadora de la música. La entrevista de Fattitaliani.

Maestro, ¿qué representa para usted tocar en Roma, en un contexto histórico y sugestivo como el del Teatro de Marcelo?

Aquella explanada que recorre la monumental zona del Circo Flaminio trajo consigo, durante el período de la Roma Clásica, no solamente juegos, marchas triunfales y fastuosos santuarios, sino una importante función cultural en torno a la presencia central de teatros y anfiteatros como el de Marcello. Cada vez que retorno a Roma para brindar un concierto, resulta imposible no dejarme empapar por la magia sugestiva de su historia: en esta ocasión, al tocar al pie del mítico Teatro di Marcello, imagino cómo habrá sido la representación de una Tragedia en su escenario de Forma Urbis Severiana; su perfecta acústica; y la dimensión moral de una estética expresada en plena interacción con los valores supremos de la Roma Antigua.

El programa prevé páginas de Debussy y Chopin. ¿Cómo ha construido el diálogo entre estos dos universos sonoros aparentemente distantes pero, en el fondo, unidos por una gran delicadeza poética?

Efectivamente, debido a que Chopin antecede y advierte las sonoridades que posteriormente emergerán del universo debbusyano es que podemos encontrar una correspondencia estética entre ambos compositores -colloquium inter pares-. Sin embargo, Chopin trabajó el sonido desde un vínculo íntimamente ligado al desarrollo técnico, mecánico y fenomenológico del piano como instrumento musical. A su vez, Debussy utilizó el piano como "medium" ontológico para excavar profundamente las condiciones esenciales que determinan la identidad y existencia de su relación poética con el sonido.

Usted ha estudiado con maestros legendarios, entre ellos Aldo Antognazzi, discípulo de Arturo Benedetti Michelangeli. ¿Cuánto siente hoy el peso y el privilegio de esa tradición pianística?

La tradición puede y debe entenderse como un diálogo entre el pasado y el presente: aquella "fusión de horizontes" de la que hablaba Hans-Georg Gadamer. Un legado es posible solamente cuando se establece un proceso que lleve a la comprensión individual y colectiva de los valores y saberes enraizados, en este caso, a la tradición pianística italiana que supo transferirme el Maestro Aldo Antognazzi, discípulo directo del gran Arturo Benedetti Michelangeli, tradición que hoy represento con orgullo y compromiso.

Chopin y Debussy están en el centro de su especialización en la Schola Cantorum de París. ¿De qué manera la profundización académica ha transformado su interpretación en el escenario?

Más que una transformación, ha significado en mi carrera musical una profunda evolución dirigida hacia la percepción consciente acerca del modo de Estar y Ser con el arte. Maestros y grandes pianistas como Francisco Escoda y Eugen Indjic, me transmitieron con sabia sencillez el arte del toque francés en el piano, dentro del ámbito de una Schola Cantorum de Paris que supo hacer a un lado la normativa a favor de valorizar la excepción de un perfil profesional y "sui generis" como el mío.

Su carrera une actividad concertística, investigación y escritura. ¿Cómo logra mantener en equilibrio estos diferentes aspectos de su vida musical?

Tengo el privilegio de tener como Maestro y Jefe, en el Departamento de Filología Italiana de la Universidad Nacional de Madrid, al Doctor italiano Salvatore Bartolotta: el ser serio, correcto, estricto, detallista y ético, permite aunar una vida en donde la vocación por las artes expresadas a través de la música, la pedagogía, la literatura y la investigación académica pueden convivir y retroalimentarse en conveniente armonía. Puesto que hablábamos sobre la tradición italiana, son precisamente sus fundamentos los que compartimos y buscamos afianzar junto a mi querido colega y amigo, el Maestro Barítono Roy Espinoza, en la Accademia Internazionale Umberto Giordano di Foggia, institución de la que somos catedráticos y vicerrectores, la cual se erigió bajo los principios de la alta especialización artística en Italia, gracias al gran empeño de su señora Rectora, la fantástica soprano y pianista Maestra Maria Gabriella Cianci.

©Fattitaliani.it

En sus estudios ha explorado también la “espiritualidad como vocación interpretativa” y la “fenomenología del sonido”. ¿Cómo transmite estos conceptos complejos a un público que viene a escucharlo en vivo?

Todo público tiene la capacidad de mostrarse abierto, receptivo y sensible a la posibilidad de transferir la experiencia sonora y acústica hasta los confines del propio y personal cuestionamiento existencial sobre la condición humana. Por tal motivo, la vocación de un intérprete musical, en cuanto dispone de la potestad y del privilegio para transmutar, sublimar y expresar de forma simbólica los pormenores de la experiencia humana, por la misma vía asume el compromiso y la responsabilidad deontológica de hacerlo a través del sendero de lo espiritual, entendido como la intensa e intrínseca exploración de la naturaleza del alma y de la existencia hacia la cualidad de lo trascendente. Esta disposición solo puede hacer del artista un humilde servidor en torno a los enunciados más elevados de la humanidad y, por ende, del arte. Don Javier Romera, dilecto párroco de la Parroquia de Villaviciosa de Odón, en Madrid -donde tengo el privilegio de colaborar-, en sus homilías reflexiona sobre la importancia de acoger la virtud de la humildad como una actitud del corazón al servicio de los demás: será acaso por ello que mi sabio padre siempre me ha instado a ofrecer cada uno de mis empeños en la vida "A Mayor Gloria de Dios".

Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top