“L’istruzione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo.” Nelson Mandela
Il sistema universitario italiano, da sempre considerato un pilastro di cultura e prestigio, rappresenta simbolicamente la possibilità di costruirsi un futuro migliore. Dalle storiche aule di Napoli, alla suggestiva Università dell’Aquila, passando per i moderni poli di Salerno e Chieti, lo studio è percepito come uno strumento fondamentale per il progresso personale e sociale. Tuttavia, negli ultimi decenni, la realtà si è dimostrata molto più complessa e spesso deludente. La laurea, un tempo vera e propria chiave di accesso alla mobilità sociale e a una vita professionale sicura, oggi non garantisce più né opportunità concrete né un riconoscimento reale nel mercato del lavoro. Il divario tra teoria e pratica, unito a fenomeni come il nepotismo e l’inadeguatezza di alcuni docenti, ha trasformato il percorso accademico in un terreno di sfide e frustrazioni per molti giovani italiani.
La laurea come misura del valore personale
In Italia, conseguire la laurea è stato per decenni un indicatore di valore personale e sociale. Studiare non è solo un percorso accademico: è un segno di dedizione, perseveranza e aspirazione a un futuro migliore. Chi non consegue il titolo universitario rischia di essere guardato con sospetto e chi abbandona gli studi viene etichettato come un fallito. Questa pressione sociale ha generato un clima in cui ogni esame, ogni master, ogni pubblicazione diventano tasselli fondamentali del proprio "valore" percepito.
Purtroppo, molti studenti affrontano il percorso universitario senza un reale orientamento professionale, senza informazioni sul mercato del lavoro e senza strumenti concreti per affrontare la transizione dalla teoria alla pratica. A Napoli, città con la storica Università Federico II, e a Salerno, dove il polo universitario è in rapida espansione, la qualità dell’insegnamento è spesso elevata, ma i laureati si trovano frequentemente a dover lasciare la regione per trovare opportunità coerenti con la loro preparazione. L’Aquila, dopo il devastante terremoto del 2009, ha visto una mobilità accresciuta tra studenti e professionisti, accentuando il fenomeno della fuga dei cervelli. Chieti, pur senza emergenze sismiche, affronta analoghe difficoltà, soprattutto nei settori dove l’esperienza pratica è fondamentale per l’occupabilità.
Il mercato del lavoro: il tradimento della meritocrazia
Il tradizionale legame tra laurea e sicurezza professionale è stato messo in crisi da un mercato del lavoro sempre più esigente e flessibile. Oggi le aziende cercano competenze pratiche, esperienza immediatamente spendibile e adattabilità, elementi che molti laureati italiani non riescono a offrire dopo anni di formazione teorica. Il paradosso è evidente: in Italia, gli autisti di tram a Roma e Milano sono spesso laureati, mentre ingegneri vengono assunti con contratti da operai meccanici e medici si trovano a lavorare con stipendi irrisori, ritmi massacranti e talvolta a rischio di aggressioni fisiche e psicologiche.
Questa situazione mette in luce quanto la laurea sia spesso svalutata, soprattutto in settori in cui la preparazione dovrebbe essere altamente specializzata. I giovani laureati, abituati a pensare che lo studio garantisse il successo, si confrontano oggi con stipendi minimi, incarichi non coerenti con le proprie competenze e una precarietà continua che rischia di minare motivazione e fiducia nel futuro.
Differenze Nord-Sud
Uno dei problemi strutturali del sistema universitario italiano riguarda la disomogeneità territoriale. Al Nord, città come Milano, Torino e Bologna offrono reti consolidate di contatti con aziende, poli industriali e incubatori di start-up, garantendo ai laureati migliori opportunità di inserimento professionale. Al Sud, invece, Napoli, Salerno e altre città meridionali devono affrontare un mercato del lavoro più frammentato, con minore presenza di grandi aziende e scarse opportunità di tirocini e progetti concreti.
Questa disparità genera un fenomeno di migrazione professionale, in cui i giovani laureati del Sud si trasferiscono al Nord o all’estero, impoverendo culturalmente ed economicamente le regioni di origine. All’Aquila, le conseguenze del terremoto hanno amplificato questa tendenza, mentre Chieti deve fare i conti con un tessuto economico meno dinamico, nonostante la qualità della formazione offerta.
La qualità dei corsi e il nepotismo
La qualità dei corsi universitari è un altro tema cruciale. Molti programmi restano troppo teorici, offrendo scarse opportunità di applicazione pratica. A ciò si aggiunge il fenomeno del nepotismo, particolarmente evidente in alcune università, come quella di Messina. Studi hanno evidenziato una concentrazione anomala di docenti con lo stesso cognome, suggerendo pratiche di assunzione poco trasparenti e non sempre basate sul merito.
L’effetto combinato di nepotismo e docenti non sempre adeguati ha un impatto diretto sulla preparazione degli studenti: molti laureati escono dalle università senza competenze pratiche sufficienti per affrontare il mondo del lavoro, con una formazione che, pur teoricamente solida, risulta inefficace nel contesto professionale reale.
Settori più colpiti
Le discipline più teoriche, come economia, giurisprudenza e scienze politiche, presentano i tassi più bassi di occupabilità immediata. Anche atenei prestigiosi, come la Scuola Superiore Sant’Anna o l’Università di Pisa, registrano laureati che faticano a trovare ruoli coerenti con la formazione. Al Sud, laureati in queste discipline spesso devono accettare impieghi non correlati o emigrare verso altre regioni o Paesi, accentuando ulteriormente la fuga dei cervelli. Settori tecnici, scientifici e sanitari offrono maggiori opportunità, soprattutto se accompagnati da tirocini, progetti pratici e collaborazioni con enti locali o imprese.
La formazione pratica come chiave
Gli stage, i tirocini e i progetti sul campo rappresentano strumenti essenziali per ridurre il divario tra università e lavoro. A Napoli e Salerno alcuni corsi hanno iniziato a sperimentare partnership con aziende e incubatori di start-up, mentre l’Aquila ha sviluppato progetti di ricostruzione urbana e sviluppo territoriale. Chieti, grazie ai poli tecnologici e sanitari, cerca di garantire una formazione più concreta e spendibile sul mercato.
Tuttavia, queste iniziative rimangono parziali. Molti studenti dipendono ancora da reti personali o conoscenze, evidenziando come il merito, in molte situazioni, non sia premiato in modo equo.
Il ruolo della politica e delle istituzioni
Migliorare il sistema universitario non è compito dei soli atenei. Governo, enti locali e istituzioni devono intervenire con politiche mirate, investimenti in ricerca e innovazione, incentivi per la collaborazione tra università e imprese. Al Sud, Napoli e Salerno devono valorizzare distretti industriali e culturali, sviluppare infrastrutture digitali e promuovere l’imprenditorialità giovanile. L’Aquila e Chieti devono sostenere la mobilità accademica senza disperdere talenti e rafforzare legami concreti tra formazione e mondo del lavoro.
Conclusioni
Oggi la laurea non può più essere considerata un semplice pezzo di carta. Deve diventare uno strumento concreto di inserimento nel mondo del lavoro, grazie a una combinazione di studio, esperienze pratiche, reti professionali e docenti qualificati.
Il sistema universitario italiano ha davanti a sé una sfida storica: trasformare la laurea da simbolo teorico di prestigio a strumento reale di crescita professionale e sociale, affinché le parole di Mandela diventino fatti concreti per le nuove generazioni. Solo attraverso una maggiore trasparenza, una formazione pratica concreta e una meritocrazia reale sarà possibile ridurre il divario Nord-Sud, valorizzare i laureati e offrire opportunità concrete a chi investe tempo e sacrificio nello studio.
Carlo Di Stanislao