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"La diplomazia è l’arma dei forti." Indira Gandhi
Lo scontro tra Roma e Parigi non è più sotterraneo ma deflagra con tutta la sua forza sul piano internazionale. L’ambasciatrice italiana in Francia, Emanuela D’Alessandro, è stata convocata dall’Eliseo dopo le parole giudicate “inaccettabili” dal governo francese, pronunciate nei giorni scorsi dal vicepremier Matteo Salvini contro il presidente Emmanuel Macron.
Un gesto, quello francese, che segna un salto di qualità nella crisi diplomatica e costringe il governo italiano a fare i conti con un equilibrio sempre più fragile. Giorgia Meloni dovrà ora scegliere se prendere le distanze dal leader leghista o difenderlo, rischiando di incrinare i rapporti con uno dei partner più influenti dell’Unione Europea in un momento in cui l’Italia non può permettersi isolamenti. Il tutto in un contesto già segnato da continue fratture tra il governo Meloni e l’Eliseo, fratture che negli ultimi mesi hanno minato il clima di fiducia reciproca.
Anche qui emerge il solco che divide Roma e Parigi: da un lato la Francia, che rivendica un ruolo guida nella gestione della crisi; dall’altro l’Italia, che attraverso le voci più polemiche del governo, non perde occasione di criticare Macron. Una dinamica che si inserisce in una serie di conflitti diplomatici ricorrenti tra i due Paesi, dal dossier migranti fino al Mediterraneo.
In questo scenario, Salvini appare sempre più come una “scheggia impazzita e incontrollabile”, capace di minare la linea del governo con uscite estemporanee e aggressive, senza un coordinamento con la premier né con la Farnesina. All’opposto, Antonio Tajani, titolare degli Esteri, si limita a interpretare un ruolo che molti giudicano di secondo piano: una presenza istituzionale e rassicurante, ma nei fatti ridotta a quella di un ministro “sempre asservito”, privo di autonomia e di reale forza negoziale nei confronti degli alleati europei. Una dicotomia che riflette plasticamente la spaccatura interna all’esecutivo, diviso tra chi vorrebbe una linea ferma e autonoma e chi, al contrario, si muove con prudenza e subalternità.
Le difficoltà di Meloni si moltiplicano perché le continue fratture con Macron non si limitano a Salvini. Già in passato, la premier e il presidente francese hanno avuto scontri durissimi su migranti, difesa comune e politica mediterranea. Ora, le nuove accuse del leader leghista rischiano di trasformare un rapporto problematico in una crisi permanente.
Sul fronte migranti, Macron ha spesso accusato Roma di non rispettare le regole europee sugli sbarchi, mentre i governi italiani, da Conte a Meloni, hanno rimproverato a Parigi egoismo e mancanza di solidarietà. Celebre lo scontro del 2018, quando l’Eliseo criticò duramente la chiusura dei porti decisa da Salvini ministro dell’Interno.
Sul piano economico-industriale, non sono mancati contrasti, come il caso Fincantieri-STX, quando l’Italia si scontrò con la Francia per l’acquisizione dei cantieri navali di Saint-Nazaire. Anche sul dossier Libia, Roma e Parigi si sono trovate su fronti opposti: l’Italia appoggiava il governo di Tripoli, la Francia guardava con favore al generale Haftar, generando una rivalità che ha condizionato la politica mediterranea per anni.
Più di recente, altri temi hanno alimentato attriti: dalla gestione del Sahel alla politica energetica in Africa, fino alla leadership europea. Ogni volta, Macron ha cercato di posizionarsi come guida del continente, mentre Roma ha rivendicato un ruolo che spesso si è rivelato marginale. Non a caso, l’Eliseo guarda all’Italia come a un alleato necessario ma instabile, attraversato da crisi politiche interne e da governi di coalizione difficili da controllare.
Gli osservatori internazionali avvertono che il caso Salvini non è un episodio isolato, ma l’ennesimo segnale di una difficoltà italiana a mantenere una linea coerente e affidabile sullo scenario internazionale. In un’Europa già indebolita dalla guerra in Ucraina e dalla fatica di tenere unito il fronte occidentale, ogni scivolata rischia di minare la credibilità dell’intero blocco e di offrire indirettamente un vantaggio strategico a Mosca. Le fratture ricorrenti tra il governo Meloni e Macron accentuano la percezione di un’alleanza fragile, segnata più da diffidenze e rivalità che da cooperazione.
Conclusioni
L’Italia è ora davanti a un bivio: contenere le intemperanze del vicepremier o lasciarle correre, assumendosi però il rischio di una rottura con Parigi. Per Giorgia Meloni, il tempo dell’ambiguità sembra finito e il prezzo dell’inazione potrebbe essere molto alto. La premier dovrà scegliere se difendere Salvini, sacrificando un rapporto delicato con Macron, o isolare il suo alleato interno, rischiando di destabilizzare gli equilibri della coalizione.
Il braccio di ferro tra Salvini e Macron, con Tajani relegato a ruolo di comparsa silenziosa, non è solo una disputa personale o una schermaglia diplomatica: è lo specchio della fragilità della politica estera italiana, divisa tra spinte populiste, ambizioni di protagonismo e necessità di affidabilità europea. Roma rischia di apparire come un partner instabile, attraversato da conflitti interni che finiscono per indebolire la sua voce nel concerto europeo.
In questo scenario, Salvini resta la scheggia impazzita che rompe gli equilibri, Tajani la figura asservita che non incide, e Meloni la premier costretta a muoversi in equilibrio precario. Le continue fratture con Macron, arricchite da un passato di rivalità e scontri irrisolti, rendono ancora più fragile la posizione dell’Italia, consegnandola all’immagine di un Paese diviso e incapace di dettare una linea chiara. La crisi aperta con la Francia non è soltanto un incidente diplomatico: è un banco di prova sulla capacità dell’Italia di decidere se vuole contare davvero nello scacchiere europeo o restare prigioniera delle sue contraddizioni interne.
Carlo Di Stanislao