Nel tempo del rumore, una voce più forte
In un tempo che corre veloce, dove il rumore della propaganda sovrasta il silenzio della coscienza, c’è una verità che resta incrollabile per chi si dice credente: l’altro non è mai un numero, ma un volto. Non è una statistica, ma una persona. E per un cristiano, quell’altro è Cristo stesso che bussa.
Certo, non tutti i vescovi parlano la stessa lingua quando si tratta di migranti. Non tutti pronunciano parole che suonano allo stesso modo agli orecchi del potere. Alcuni si fanno più guardinghi, altri più audaci. Alcuni invocano prudenza, altri denunciano senza paura. È comprensibile. La Chiesa è grande, viva, diversificata. Ma c’è un punto che non può essere oggetto di mediazione: la dignità inviolabile dell’essere umano. E su questo, tutti i cristiani - senza eccezione - sono chiamati a dire sì. Un sì che non si piega al calcolo, alla paura o al consenso.
Meloni, Perego e la frattura che interroga la coscienza
L’ultima frattura tra la Conferenza Episcopale Italiana e il governo guidato da Giorgia Meloni riaccende un dibattito antico, ma oggi più che mai urgente. Il vescovo di Ferrara, monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, ha parlato di “strategie subdole” nella gestione dell’immigrazione. Parole forti, che hanno suscitato la pronta reazione della premier, la quale ha rivendicato l’impegno contro le organizzazioni criminali e per il rispetto delle leggi dello Stato. Una posizione netta, che non deve stupire in un contesto di responsabilità istituzionale.
Ma non si può liquidare il pensiero di un vescovo come una voce fuori dal coro. Non si può - e non si deve - archiviare il grido della Chiesa in nome della “sicurezza nazionale”. Perché la sicurezza, per un cristiano, non è mai una scusa per chiudere il cuore. Non lo è, e non può esserlo.
Voci diverse, ma un unico Vangelo
È vero: altri vescovi si sono espressi con toni diversi. Il vescovo di Ventimiglia, Antonio Suetta, ha ricordato che la solidarietà non può superare le capacità recettive di uno Stato. Ha parlato del “dovere di solidarietà”, ma anche della necessità di “programmare i flussi” e rispettare la legalità. Monsignor Massimo Camisasca, vescovo emerito, ha sottolineato il diritto dello Stato di valutare le ragioni di chi emigra, chiedendo un’integrazione “vera”, non solo di facciata.
Il teologo Nicola Bux, citando il cardinal Giacomo Biffi, ha perfino rilanciato l’idea di privilegiare i migranti “compatibili” con la nostra cultura, sulla base della tradizione cristiana del nostro Paese. Posizioni argomentate, certo. Ma che non possono - mai - diventare il pretesto per ridurre l'accoglienza a un atto condizionato dalla convenienza.
Governare sì, respingere no
È giusto che uno Stato regoli i flussi. È doveroso combattere il traffico di esseri umani. È necessario garantire sicurezza. Ma se un cristiano smette di guardare prima alla persona e poi ai documenti, ha smesso di seguire il Cristo delle Beatitudini. Ha smesso di “vedere”. E se un cristiano si affida solo alla legge e non alla misericordia, ha dimenticato che la legge più grande è l’amore.
Quando il cardinal Robert Sarah parla del “diritto a non emigrare”, solleva un punto fondamentale: il dramma della fuga forzata, dell'esodo, della mancanza di speranza. Anche il cardinal Francis Arinze ha denunciato l’emorragia di giovani che svuota il continente africano. Ma l’appello a investire nei Paesi di origine, seppur nobile, non può diventare una giustificazione per respingere chi oggi è in mare, chi oggi è nel deserto, chi oggi è davanti ai nostri porti chiusi.
Il vero scandalo è il silenzio
Il vero scandalo non è che alcuni vescovi si esprimano in modo diverso. Il vero scandalo sarebbe il silenzio. Il silenzio di chi ha fede e tace. Di chi ha una croce al collo ma il cuore chiuso. Di chi va a messa la domenica ma non riconosce Cristo nel migrante senza nome.
Carlo Di Stanislao