"L’uomo non può vivere senza illusioni: ma alcune illusioni sono veleno."-Italo Svevo
Benjamin Netanyahu non è più soltanto un leader discusso: è il volto di un potere arrogante e spietato che calpesta il diritto e si nutre del dolore altrui. Con l’annuncio dell’occupazione della Striscia di Gaza, ha strappato l’ultima maschera, rinunciando a ogni pretesto di “difesa” per gettarsi in un’avventura militare che la storia giudicherà come un atto di pura aggressione.
Non siamo di fronte a una “operazione di sicurezza” come la propaganda tenta di far credere: siamo di fronte a un’espansione territoriale lucida e calcolata, che usa il terrorismo come giustificazione e la paura come strumento di consenso interno. La logica è quella della punizione collettiva, dove ogni bambino palestinese affamato, ogni ospedale distrutto, ogni famiglia sradicata diventa un messaggio di potere.
Gaza è oggi una prigione a cielo aperto, ridotta a cumulo di macerie e polvere. L’acqua è razionata come fosse oro, il pane è un lusso, i medicinali spariti. Le strade sono diventate cimiteri improvvisati e le scuole rifugi bombardati. Netanyahu chiama tutto questo “necessità militare”. Il mondo civile lo chiama per quello che è: un crimine.
Eppure, qualcosa si muove. Dopo mesi di inazione e parole vuote, Italia, Germania, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda hanno finalmente detto “basta”. Non è una condanna tiepida: è un “no” chiaro, scritto nero su bianco, alla violazione del diritto internazionale, all’annessione mascherata, all’espansione degli insediamenti. La Francia, per una volta, ha scelto toni persino più duri, segno che la pazienza diplomatica è agli sgoccioli.
Ma basta una dichiarazione a fermare un uomo che si crede intoccabile? Netanyahu ha costruito la sua carriera sull’arte di ignorare ogni monito, convinto che il sostegno di Washington e l’inerzia delle cancellerie europee gli permettano qualsiasi cosa. Ha trasformato la paura di Hamas in una rendita politica infinita e l’odio reciproco in una strategia di governo.
Ogni giorno che passa, Israele è più isolato. Eppure, nel bunker politico di Gerusalemme, sembra non arrivare il rumore della condanna internazionale, solo l’eco dei missili. Netanyahu sa che il tempo gioca contro di lui, ma intanto lo usa per infliggere danni irreparabili.
La verità è semplice: non esiste sicurezza costruita sulla distruzione di un intero popolo. Non esiste pace imposta dal filo spinato. Non esiste diritto che giustifichi l’assedio, la fame e la deportazione. Ogni bomba che cade su Gaza semina non la sicurezza di Israele, ma il rancore che domani alimenterà nuova violenza.
Chi oggi resta in silenzio si macchia già di complicità. Chi parla a mezza voce, scegliendo termini ambigui per non urtare Tel Aviv, sceglie il lato sbagliato della Storia. Netanyahu passerà, come passano tutti i leader che credono di essere più forti delle leggi e della morale. Ma il segno che sta lasciando è quello di un Israele isolato, intrappolato in un conflitto senza uscita e guidato da un uomo disposto a sacrificare tutto — persino il futuro del proprio Paese — pur di rimanere al potere.
La Storia non è indulgente con i carnefici che si fingono salvatori. Il giorno in cui si scriverà la cronaca di questa guerra, non ci saranno note a piè di pagina per attenuare la responsabilità. Ci saranno nomi, date, e la conta dei morti. E in cima, ci sarà il nome di Benjamin Netanyahu, l’uomo che ha portato Israele sull’orlo dell’abisso.
Carlo Di Stanislao