L’acqua come scialuppa: il Dnipro, l’Africa e la geografia del futuro globale

 

Foto da Wikipedia

"L’uomo è l’unico animale che sa di dover morire; perciò, cerca di controllare il mondo attorno a sé come se fosse immortale."  Yuval Noah Harari

A ovest degli Urali, la Russia europea è un mosaico di città industriali e villaggi agricoli, dove la popolazione convive con una fragilità crescente. La Siberia può sembrare la frontiera del futuro, ma il sud agricolo – dal Caucaso settentrionale alla steppa del Volga – affronta già oggi temperature estreme, precipitazioni sempre più scarse e siccità ricorrenti. Campi di grano una volta dorati appaiono screpolati; fiumi ridotti a rigagnoli non bastano più a nutrire la terra. Questa crisi climatica è già realtà: minaccia la sicurezza alimentare e la sopravvivenza stessa delle comunità.

L’Ucraina come scialuppa climatica

In questo contesto, l’Ucraina diventa decisiva. Non è più solo il “granaio d’Europa”: è una scialuppa climatica. Le sue terre nere, lo černozëm, tra le più fertili del mondo, sono irrigate dal possente Dnipro. Il fiume scorre lento ma costante tra città, villaggi e campi coltivati, offrendo acqua vitale per agricoltura, industria e centrali idroelettriche.

Lungo le rive del Dnipro, agricoltori trascinano secchi d’acqua dai canali secondari per irrigare orti e piccoli campi. I bambini giocano tra le siepi dei campi, raccogliendo fiori e osservando le acque che scorrono con lentezza. Le donne sistemano le reti di irrigazione, parlando dei raccolti, consapevoli che senza il fiume i campi si ridurrebbero a polvere. Prima del 2022, Kyiv controllava il Canale della Crimea del Nord, derivato dal Dnipro, capace di influenzare direttamente la disponibilità d’acqua della Crimea annessa. La distruzione della diga russa non era simbolica: era guerra per l’acqua, combattuta in tempo reale.

Il Dnipro non è solo acqua: è linfa vitale, economia, vita quotidiana. Chi controlla il fiume controlla il futuro di milioni di persone.

Scenario A: Inerzia Sistemica e Collasso Gestito

In uno scenario di collasso lento, le emissioni globali calano troppo lentamente e le politiche climatiche restano largamente simboliche. Stati e corporation investono in scialuppe climatiche private: dighe, bacini, terre protette. La resilienza diventa un bene esclusivo per chi ha denaro; per gli altri, carestie, siccità, migrazioni disperate ed epidemie diventano la norma.

Nei villaggi lungo il Dnipro, contadini osservano i campi seccarsi. Gli anziani raccontano storie di inverni rigidi e primavere fertili, confrontandole con la realtà attuale: il terreno screpolato, i canali che si restringono, i raccolti dimezzati. La crisi avanza lentamente, senza esplosioni improvvise, ma lasciando segni profondi nella vita quotidiana.

Scenario B: Cooperazione Limitata e Tecnologie di Adattamento

In uno scenario alternativo, tecnologie avanzate riducono parte dei danni. Sistemi di irrigazione intelligente, coltivazioni indoor e gestione idrica avanzata proteggono raccolti e comunità. Blocchi regionali negoziano scambi idrici e agricoli. Lungo il Dnipro, contadini e amministratori coordinano i flussi dei canali secondari. Villaggi e città condividono l’acqua: bambini portano secchi d’acqua dalle pompe ai campi; donne e uomini collaborano per proteggere i raccolti. La Russia occidentale ottiene accesso a risorse limitate, mentre l’Ucraina mantiene la propria autonomia climatica come barriera naturale alla desertificazione.

Scenario C: Collasso Globale e Frammentazione

Il futuro più estremo prevede siccità, temperature estreme e il crollo delle istituzioni. Città e regioni diventano fortini isolati, la tecnologia serve solo a militarizzare le risorse. Carestie ed epidemie si diffondono ovunque. In questo contesto, il Dnipro e le terre nere ucraine diventano fondamentali: chi controlla il fiume sopravvive; chi non lo fa soccombe. Nei villaggi, l’acqua è preziosa come l’oro: bambini percorrono chilometri con secchi pieni, mentre famiglie contano ogni goccia e pregano per le piogge future.

Un paradigma globale: la Cina e i bacini africani

La Cina costruisce grandi bacini idrici in Africa per lo stesso motivo: garantire accesso e controllo su risorse vitali. Nel Sahel, in Etiopia e in altre regioni, dighe e invasi si estendono tra villaggi e città. Agricoltori africani lavorano nei campi vicino ai bacini, osservando con ambivalenza: da un lato, acqua regolare e raccolti più sicuri; dall’altro, controllo centralizzato nelle mani di attori esterni. Bambini raccolgono acqua dalle pompe, donne e uomini gestiscono irrigazioni e raccolti, mentre ingegneri cinesi monitorano flussi e pompe.

Così come il Dnipro garantisce resilienza in Europa orientale, i bacini africani diventano centrali per la sicurezza strategica cinese, assicurando accesso a cibo, energia ed ecosistemi produttivi in un mondo sempre più secco.

Il Dnipro e le scialuppe globali

Il Dnipro diventa paradigma di una nuova geografia della sopravvivenza. Controllare acqua, terre fertili e infrastrutture significa controllare la capacità di vivere in un mondo che si secca e si scalda. La logica russa appare razionale: proteggere il cuore agricolo con la forza. La Cina dimostra che questa logica è globale: il controllo delle risorse idriche è una garanzia di potere e resilienza planetaria.

Stanno comprando la loro scialuppa. Non sull’oceano. Alla fonte dei fiumi e nei bacini costruiti a migliaia di chilometri di distanza. Lì, dove la vita futura deciderà chi sopravvive e chi resta escluso. In questo mondo che cambia, il Dnipro non è solo acqua: è poteresicurezzafuturo.

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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