«La fame è la forma più crudele di violenza» Mahatma Gandhi
Introduzione: un digiuno che parla al mondo
Il 28 agosto 2025 l’Italia sanitaria ha fatto sentire la sua voce in modo forte e simbolico. Medici, infermieri e operatori hanno scelto di partecipare a uno sciopero della fame collettivo per denunciare la catastrofe umanitaria che si consuma da mesi a Gaza. Non un gesto individuale o sporadico, ma una mobilitazione diffusa che ha attraversato il Paese, coinvolgendo ospedali universitari, strutture pediatriche, aziende sanitarie locali, ordini professionali e singoli cittadini.
La protesta, promossa dal coordinamento Sanitari per Gaza e sostenuta da reti civiche e associazioni di solidarietà, ha inteso trasformare il digiuno in un atto politico ed etico: rendere visibile l’uso della fame come arma di guerra e costringere istituzioni e opinione pubblica a guardare in faccia l’ingiustizia.
La crisi umanitaria a Gaza: numeri e volti
Da oltre un anno Gaza è stretta in un assedio che priva la popolazione civile di cibo, acqua potabile, elettricità e medicinali. Secondo l’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), più di mezzo milione di persone vivono in condizioni di fame estrema e il numero è destinato a salire nei prossimi mesi. Si tratta di una delle più gravi crisi alimentari documentate nel XXI secolo.
Negli ospedali, ciò che resta delle strutture sanitarie, i medici sono costretti a lavorare senza strumenti, con anestetici finiti e antibiotici centellinati. I neonati muoiono per mancanza di incubatrici funzionanti, i malati cronici non ricevono cure, i feriti vengono medicati con mezzi di fortuna. La fame, in questo contesto, non è un danno collaterale: è un’arma deliberata, come denunciano da mesi le agenzie delle Nazioni Unite.
Medici senza frontiere e il coraggio di chi cura sotto attacco
Medici senza frontiere (MSF) continua a operare a Gaza in condizioni quasi impossibili. Gli ospedali sostenuti dall’organizzazione hanno registrato flussi costanti di feriti, soprattutto bambini e donne, ma l’assenza di risorse impedisce spesso interventi salvavita. Gli operatori stessi, molti dei quali locali, sono colpiti dalla fame e dalla paura, ma scelgono ogni giorno di restare al fianco della popolazione.
Gli ospedali diventano rifugi, ma anche bersagli. Le équipe denunciano bombardamenti su reparti pediatrici, ortopedici, persino sulle sale parto. In questo scenario, la scelta dei medici italiani di digiunare è un atto di vicinanza: un modo per dire “noi non vi lasciamo soli”, anche a costo di sacrificare, simbolicamente, il proprio benessere.
La mobilitazione in Italia: Nord, Centro e Sud
Il digiuno del 28 agosto ha avuto un respiro realmente nazionale. Hanno aderito medici e infermieri di strutture note e di ospedali territoriali, uniti da un filo invisibile di solidarietà.
- L’ospedale Umberto I di Roma, il più grande policlinico universitario d’Italia, ha visto decine di specializzandi e docenti sospendere il pasto in segno di protesta.
- Il Meyer di Firenze, centro di eccellenza pediatrica, ha dedicato il digiuno ai bambini di Gaza, vittime più fragili della guerra e della fame.
- Il Niguarda di Milano e il Sant’Orsola di Bologna hanno ospitato momenti di raccoglimento e digiuno collettivo.
Accanto a questi nomi simbolici del Nord e del Centro, la partecipazione del Sud ha dato forza all’iniziativa:
- L’azienda ospedaliera dei Colli di Napoli (Monaldi, Cotugno e CTO) ha organizzato una giornata di digiuno a staffetta, con cartelli che recitavano “Digiuno contro il genocidio a Gaza”.
- Al Monaldi di Napoli il personale ha esposto la bandiera palestinese come segno di vicinanza ai colleghi sotto assedio.
- In Calabria alcuni medici dell’ospedale di Catanzaro hanno aderito individualmente, diffondendo sui social il messaggio che “la neutralità non è più possibile davanti alla fame imposta”.
Questo mosaico di adesioni ha dimostrato che il digiuno non è rimasto confinato a poche realtà, ma ha unito Nord, Centro e Sud in una testimonianza comune.
Digiuni a staffetta, immagini e l’eco sui social
L’iniziativa del digiuno a staffetta, partita dalla Toscana, ha raggiunto oltre 1.300 operatori. Il gesto è semplice ma potente: al momento della pausa pranzo, i sanitari timbrano l’uscita, si riuniscono per pochi minuti, espongono cartelli e dichiarano il loro digiuno. Le foto vengono poi condivise sui social con l’hashtag #digiunogaza, creando una catena visiva che collega reparti, città e regioni.
In Toscana oltre 800 operatori hanno digiunato davanti ad Asl, ospedali e pronto soccorso. A Roma, al Meyer di Firenze e al Monaldi di Napoli, si sono uniti anche rappresentanti degli ordini professionali, segno che la protesta non è rimasta confinata alla base ma ha coinvolto anche le istituzioni sanitarie.
La fame come arma e la denuncia del diritto internazionale
Impedire l’accesso a cibo e cure viola apertamente le Convenzioni di Ginevra e costituisce un crimine di guerra. Amnesty International e Human Rights Watch hanno più volte ribadito che la fame a Gaza non è una conseguenza inevitabile del conflitto, ma il risultato di decisioni politiche mirate a colpire la popolazione civile.
Per questo il digiuno dei medici italiani ha una valenza doppia: da un lato la solidarietà concreta, dall’altro la denuncia di un crimine che riguarda l’intera comunità internazionale. Non basta più parlare di “emergenza umanitaria”: occorre riconoscere che si tratta di una strategia di guerra, e quindi di una responsabilità penale e politica.
Un’Italia che si riscopre comunità civile
La giornata del 28 agosto non ha visto protagonisti soltanto i medici. Studenti, associazioni, sindacati e cittadini comuni hanno partecipato a veglie, sit-in, raccolte fondi e incontri culturali. A Napoli un presidio davanti al Cotugno ha unito sanitari e cittadini in un momento di silenzio interrotto dalla lettura di testimonianze arrivate da Gaza. A Firenze associazioni studentesche hanno digiunato in piazza Santissima Annunziata, mentre a Roma un gruppo di infermieri dell’Umberto I ha organizzato una veglia serale con candele accese.
Questi gesti hanno trasformato lo sciopero della fame in un evento corale, in cui la società civile ha riscoperto se stessa come comunità capace di reagire.
Conclusione: un gesto che illumina la coscienza
Il digiuno del 28 agosto 2025 resterà nella memoria collettiva come un atto di resistenza civile. In un mondo in cui la guerra sembra annullare l’umanità, medici e infermieri hanno ricordato che la cura non conosce confini, che il corpo del paziente non può diventare campo di battaglia e che la fame non può essere arma.
Restano i bombardamenti, la fame e il dolore, ma oggi l’Italia sanitaria ha detto no all’indifferenza. Ora la responsabilità passa ai governi e alle istituzioni internazionali: aprire corridoi umanitari, fermare la violenza, garantire il diritto universale alla vita.
Come scriveva Gandhi: «La fame è la forma più crudele di violenza». E a questa violenza, il 28 agosto, la coscienza collettiva ha risposto con il linguaggio silenzioso ma potente del digiuno, dimostrando che un altro modo di essere comunità è possibile.
Carlo Di Stanislao