"La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!" Gesù di Nazareth
Un’ipocrisia antica in abiti moderni
Negli ultimi giorni, le dichiarazioni dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, contro una città “asservita al profitto” hanno riacceso un dibattito mai sopito: quello del rapporto tra Chiesa e denaro. Un’accusa diretta ai cosiddetti “grattacielari” che avrebbero “venduto la Madonnina”, simbolo spirituale di Milano, al dio del business e del cemento. Tuttavia, l’ipocrisia emerge evidente quando si osserva l’atteggiamento della stessa Chiesa, che di fatto ha adottato una pratica commerciale: quella di imporre un biglietto d’ingresso per accedere al Duomo, la casa di Dio. Prima di puntare il dito verso gli altri, la Curia dovrebbe interrogarsi profondamente su questa contraddizione e sul messaggio che essa trasmette ai fedeli e alla società.
Il Duomo a pagamento: il caso emblematico
Il Duomo di Milano, emblema di fede e storia, è oggi accessibile solo dietro pagamento di un biglietto, che si tratti di turisti o di chi desidera pregare. Ciò rappresenta una svolta significativa rispetto alla tradizione millenaria del luogo sacro, che avrebbe dovuto rimanere aperto e libero a tutti, senza discriminazioni economiche. Non si tratta di una semplice questione di manutenzione o di necessità economiche — anche se sono indubbiamente rilevanti — ma di un principio fondamentale: il tempio di Dio dovrebbe essere un luogo di incontro gratuito, uno spazio sacro nel quale il denaro non può essere posto a barriera. Il fatto che oggi, secondo testimonianze, si debba quasi “contrattare coi guardiani” per poter accedere e pregare è un’ulteriore prova di come si sia smarrito il senso originario della chiesa come casa di preghiera e accoglienza.
Dalle catacombe al tornello: un paradosso storico e spirituale
Riflettendo sul passato, nei primi secoli del cristianesimo i fedeli si riunivano nelle catacombe o nelle umili abitazioni per celebrare la fede. Erano tempi di persecuzione, ma anche di grande gratuità spirituale: nessuno chiedeva denaro per l’accesso a Dio, e la comunità viveva la propria fede come un dono gratuito da condividere. È un fatto paradossale che, mentre oggi godiamo di libertà religiosa e ricchezze inimmaginabili per quei tempi, si siano invece eretti barriere economiche che limitano l’accesso alla preghiera. I martiri, che hanno versato il loro sangue per garantire la libertà della fede, troverebbero incredibile e doloroso che ora siano gli stessi custodi della fede a porre ostacoli di natura materiale all’ingresso nei luoghi sacri. Questo paradosso riflette una confusione che ha attraversato la storia della Chiesa: tra la bellezza e la funzione del tempio, si è perduto il senso autentico che vuole il luogo di culto accessibile a tutti, senza condizioni di censo o potere d’acquisto.
La Chiesa e la simonia: un vizio mai estirpato
L’atteggiamento attuale, con ingressi a pagamento e “offerte consigliate”, richiama in maniera inquietante la piaga storica della simonia, cioè la vendita di beni spirituali per denaro. Questa pratica, formalmente condannata più volte nel corso dei secoli, si è trasformata nel tempo assumendo forme più sofisticate ma sostanzialmente analoghe: dalla vendita delle indulgenze nel Medioevo fino ai biglietti di ingresso e alle tariffe per visite guidate nelle chiese di oggi. Già nel 306 d.C. il Concilio di Elvira proibiva severamente la simonia, e nel 451 il Concilio di Calcedonia ribadiva con fermezza che nessuno potesse trarre profitto da ciò che appartiene a Dio. Nel corso dell’XI secolo, Papa Gregorio VII definì la simonia come la vera “peste della Chiesa”. Nonostante tutto ciò, il male non è mai stato estirpato completamente, e si è nascosto dietro pratiche che, oggi come allora, rischiano di minare la credibilità e la spiritualità della Chiesa.
Gesù e i mercanti del tempio: una lezione dimenticata
Nel Nuovo Testamento, il gesto di Gesù che rovescia i tavoli dei mercanti nel Tempio di Gerusalemme è una condanna senza tempo della mercificazione del sacro. Gesù scaccia i cambiavalute e i venditori, dichiarando: “La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!”. Quell’atto non fu solo un gesto di indignazione, ma una potente manifestazione profetica contro l’abuso e la perdita del senso vero del tempio. Se Gesù non tollerava la vendita e il commercio all’interno del luogo di culto, cosa direbbe oggi di un Duomo che ha trasformato le sue porte in tornelli, dietro cui si cela un biglietto d’ingresso?
Un atteggiamento radicato nella Curia
L’esempio di Milano non è isolato. La Curia romana e molte diocesi nel mondo si trovano a dover fare i conti con una realtà economica complessa che ha portato alla diffusione di una logica di incasso all’interno della Chiesa. Dalla gestione dei Musei Vaticani, tra i più cari al mondo, fino alle basiliche che impongono un biglietto per l’ingresso, si assiste a un fenomeno che fa emergere una tensione forte tra la vocazione spirituale e la necessità di sostenibilità economica. Queste scelte, spesso giustificate da esigenze di bilancio e manutenzione, raramente si accompagnano a una trasparenza chiara o a una riduzione reale degli sprechi, alimentando così il sospetto di un’istituzione più interessata al profitto che al servizio.
Potrà un Papa agostiniano cambiare lo stato delle cose?
Sant’Agostino, padre della Chiesa e maestro di spiritualità, ricordava che l’amore è la chiave di ogni azione: “Ama e fa’ ciò che vuoi”, ma mettendo sempre Dio e il prossimo al centro. Un Papa che si ispirasse realmente a questa visione avrebbe il dovere di ripensare radicalmente il modello attuale di gestione della Chiesa, soprattutto quando si tratta di garantire l’accesso al sacro. Tornare a un sistema basato sulla gratuità, sulle offerte spontanee e sul servizio disinteressato sarebbe non solo un atto di coraggio, ma una vera e propria rivoluzione spirituale. Tuttavia, questo cambiamento richiederebbe una volontà ferma e un impegno a tagliare con secoli di compromessi, meccanismi economici consolidati e interessi radicati.
Confronto internazionale: quando il sacro resta gratuito
A livello globale, molte cattedrali e luoghi di culto prestigiosi conservano ancora la tradizione dell’accesso gratuito alla preghiera. La Basilica di San Pietro a Roma, nonostante i costi elevatissimi di gestione, resta aperta gratuitamente a tutti i fedeli e visitatori. La Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, prima dell’incendio, permetteva l’ingresso libero per la preghiera, chiedendo contributi solo per l’accesso alle aree panoramiche o alle visite guidate. Anche cattedrali come quella di Siviglia o di Santiago de Compostela garantiscono l’ingresso libero ai fedeli, riservando solo alcune zone o esperienze a pagamento. Questi esempi dimostrano che è possibile sostenere la manutenzione senza mercificare l’ingresso ai luoghi sacri. Milano, con la sua decisione di monetizzare l’accesso al Duomo nella sua interezza, sembra invece aver scelto un percorso differente, che rischia di escludere i meno abbienti dalla casa di Dio.
Appello ai fedeli e ai pastori onesti
Di fronte a questo scenario, non basta più indignarsi passivamente. I fedeli devono pretendere il diritto di accedere ai luoghi di culto senza pagare un biglietto, ricordando che questo non è un privilegio concesso dalla Curia, ma un diritto spirituale. La trasparenza nella gestione dei fondi delle diocesi deve essere un punto fermo, così come l’impegno a destinare le offerte esclusivamente ad opere di carità e alla cura delle strutture. Allo stesso tempo, i sacerdoti e i vescovi che incarnano una vita sobria e coerente con il Vangelo devono trovare il coraggio di alzare la voce contro le pratiche economiche che minano la fede. Il vero tesoro della Chiesa non sono i bilanci o gli immobili, ma le anime e le comunità che essa guida. Ogni passo verso una gestione più evangelica e disinteressata sarà una vittoria per tutti.
Gesù oggi nel Duomo di Milano
Immaginiamo Gesù entrare oggi nel Duomo di Milano. Non troverebbe cambiavalute o venditori di colombe, ma tornelli elettronici, casse automatiche, guardiani in divisa e souvenir disposti accanto alle navate. Lo vedremmo avvicinarsi ai custodi, strappare di mano i biglietti, rovesciare i registratori di cassa e spalancare le porte per far entrare chiunque voglia pregare. Griderebbe con la stessa forza di duemila anni fa: “Non fate della casa del Padre mio un mercato!”. L’eco di quella voce risuonerebbe potente sotto le volte gotiche, sovrastando il brusio dei turisti e il tintinnio delle monete. Sarebbe uno scandalo, ma anche un atto di purificazione necessario: perché il Tempio appartiene a Dio, e Dio non si vende.
Un monito per il futuro
Il tornello davanti al Duomo non è solo un ostacolo fisico, ma un simbolo potente: quello di una Chiesa che rischia di dimenticare la sua missione più autentica. Se il sacro diventa merce, la fede si svende. È tempo che la Chiesa torni a essere una casa aperta a tutti, senza distinzioni di censo o potere d’acquisto. Solo così potrà restare viva e credibile, evitando di trasformarsi in un museo vuoto, dove le anime si perdono dietro le porte chiuse di un tornello.
“La vera pietra angolare non è la cattedrale, ma il cuore aperto di chi crede.”
Carlo Di Stanislao