Gianluigi Tosto e l'Iliade: "Voglio che il pubblico soffra con me, che senta il dolore degli eroi". L'intervista di Fattitaliani

 


di Giovanni Zambito - La XXVIII edizione della rassegna sull’espressione tragica e comica del Teatro Antico, organizzata da Cilento Arte ETS, è tornata sull’antica Acropoli di Elea-Velia con due eventi particolarmente rappresentativi dello spirito che ha animato il festival fin dalle sue origini, attento alla filologia ma aperto alle rivisitazioni proposte dai contemporanei. Mercoledì 20 agosto andrà in scena “Medea e Clitennestra”, tratto da testi di Dario Fo, Franca Rame e Marguerite Yourcenar, e proposto da Angela Malfitano: due figure che la mitologia greca ha fissato nel tempo, alimentando la storia e le varie epoche di sempre nuove interpretazioni, analogie e confronti, rilette da grandi autori del’900. Sabato 2 agosto è andata in scena l’“Iliade” di Omero nell’appassionante interpretazione di Gianluigi Tosto: una performance capace di rievocare la musicalità e la forza degli antichi aedi, dando corpo, ritmo e voce ai versi omerici, nella storica traduzione di Vincenzo Monti. Fattitaliani lo ha intervistato.

Qual è stato il processo di adattamento del testo omerico per la performance? Come hai lavorato per mantenere la sostanza e lo spessore emotivo dei sentimenti espressi?

Il processo di adattamento ha seguito fondamentalmente il filo dell'Ira di Achille. Dovevo scegliere un percorso narrativo tra i tantissimi offerti dall’Iliade e, trattandosi di uno spettacolo della durata di un’ora e un quarto, ho dovuto fare dei tagli dolorosi. Il primo è stato eliminare tutta la parte che riguarda gli dèi sull’Olimpo - una sorta di "Iliade parallela" - per concentrarmi invece sul protagonista umano: Achille.

Ho seguito la sua vicenda dal litigio iniziale con Agamennone, passando per lo scoppio della sua ira, la richiesta a Teti di intercedere con Zeus per ottenere vendetta, l’espediente escogitato da Zeus, le battaglie, la morte di Patroclo, fino al ritorno di Achille in battaglia e alla sua terribile vendetta contro Ettore.

In questo modo, concentrando la narrazione su un unico filo, ho potuto esaltare la sostanza emotiva della vicenda. I sentimenti non sono stati diluiti in molteplici storie, ma si sono condensati in un unico percorso narrativo.

Come descriveresti il tuo approccio alla narrazione? Come cerchi di coinvolgere il pubblico nella storia?

Per me la narrazione non è solo un fatto uditivo: è un'esperienza fisica. Il mio modo di lavorare cerca di coinvolgere il pubblico attraverso la fisicità della parola e dei sentimenti. Non porto il pubblico in scena, ma voglio che percepisca fisicamente ciò che racconto.

Cerco di trasmettere sensazioni, non solo emozioni mentali. Voglio che il pubblico soffra con me, che senta il dolore degli eroi dell’Iliade, che combattano, che muoiano, che piangano i loro caduti insieme a me.

Quali sono stati i momenti più emozionanti della preparazione della performance?

Sono passati 25 anni dalla preparazione di questo spettacolo, quindi quei momenti sono ormai lontani. Più che momenti emozionanti, ricordo la fatica e il rigore necessari per affrontare questo lavoro. Era la prima volta che realizzavo uno spettacolo completamente da solo: dalla riduzione del testo alla composizione della narrazione, dalla scelta degli strumenti musicali alla linea registica, fino al lavoro di memorizzazione.

È stato un anno di preparazione intensa, quasi da monaco, in cui mi sono ritirato in luoghi isolati per dedicarmi esclusivamente allo spettacolo.

Come hai lavorato per integrare la traduzione di Monti con altre traduzioni?

Ho confrontato diverse traduzioni, e quelle di Monti e Romagnoli sono state le più convincenti, pur essendo le più arcaiche. Monti è dell'inizio dell’Ottocento, Romagnoli dell’inizio del Novecento. Ma proprio questo sapore arcaico mi interessava, perché poteva trasportare il pubblico in una dimensione antica.

Ogni tanto ho usato anche le traduzioni di Calzecchi Onesti e un’altra che ora non ricordo, per dare qua e là un tocco più contemporaneo. Tuttavia, il mio obiettivo principale era restituire un gusto arcaico alla narrazione, e per questo Monti e Romagnoli erano perfetti.

In che maniera pensi che la tua formazione ti abbia aiutato a creare questa performance?

La mia formazione comprende anche la danza, ma soprattutto è stata influenzata dal lavoro con Orazio Costa e il suo metodo "mimesico" - preferisco chiamarlo così, perché si basa sulla mimesi: la capacità dell’essere umano di aderire alla realtà, lasciandosi trasformare fisicamente da ciò che percepisce.

Questo tipo di lavoro è fondamentale per un poema come l’Iliade. Nei miei spettacoli, che si basano sempre sulla parola poetica, il corpo ha un ruolo centrale. La danza e il metodo di Costa sono stati strumenti imprescindibili per coinvolgere il pubblico in modo profondo e fisico.

C'è un personaggio, un momento o una frase del poema in cui ti identifichi?

Non c’è una frase in particolare, ma mi sento molto vicino al personaggio di Ettore. È il più umano: sa perfettamente che sta andando a combattere contro Achille e che non potrà mai vincere, eppure accetta il suo destino e lo affronta fino in fondo. Non è un semidio come Achille: è un uomo, figlio di esseri umani. Questo lo rende profondamente toccante.

Qualcuno più anziano di me potrebbe forse identificarsi con Priamo, il vecchio re, che affronta anche lui eventi terribili. Ma io mi riconosco in Ettore.

Se dovessi citare una frase, anche se non proviene dall’Iliade ma dall’Eneide, sarebbe questa:

“In sì grande tumulto tu, Giove, lasciasti combattere genti che in pace per sempre sarebbero restate.”

È l’invocazione che fa Enea verso la fine del poema, ed è la stessa che noi rivolgiamo ai nostri dei, alla vita stessa: perché dobbiamo soffrire così tanto? Perché Dio, se esiste, permette che gli uomini debbano affrontare tutto questo dolore? Una domanda eternamente attuale, soprattutto di fronte a un poema di guerra.

Fattitaliani

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