Educarsi al paradosso

 


"Il Tao che può essere detto non è il Tao eterno."  Laozi

Un amico mi invia fotografie da Meteora. Le rocce si stagliano come colonne di un tempio dimenticato, vertiginose, fessurate, lacrime di Dio solidificate nel tempo. Ogni immagine è un attimo sospeso: un monastero arroccato su un pilastro di roccia, come un pensiero che si sfida a rimanere libero. Il vento sibila tra le pietre e sembra portare con sé la voce dei monaci, sospesi in preghiera e silenzio, come se ogni respiro fosse un dialogo antico tra terra e cielo. Leggere che “il complesso può essere collegato a un residuato continentale risalente ai tempi dell’atavica Pangea” è come sentire l’eco di un tempo primordiale. Il mondo si dilata e si piega e io mi sento a casa tra quelle linee di gravità sospese. Meteora non è soltanto luogo, è idea: un paradosso tangibile, un dialogo tra materia e spirito, tra verticale e infinito.

La mente corre alle montagne sacre del Tao: il Taishan, lo Hua, il Song. Pietre ostinate, quasi ostili all’uomo, eppure sfidate dal coraggio di chi cerca il cielo. Qui, ogni monastero è un paradosso architettonico; ogni monaco, un paradosso vivente, oscillando tra rischio estremo e totale abbandono. In quell’equilibrio precario, corpo e spirito si fondono in un unico gesto: contemplazione e offerta. Varcato Ferragosto, la natura esplode. Il sole ha portato frutti e bestie a pieno compimento; ogni foglia vibra di bronzo e fulvo; ogni erba curva sotto il peso della luce. Tutto giunge a una marcescenza luminosa. È il momento di preparare la propria terra interiore, di seminare invisibile, di abbracciare il paradosso. Ciò che sembra ovvio agli uomini appare insensato al cielo. Il miracolo non è solo ciò che accade, ma come accade, piegando il reale e rovesciando le aspettative, come se ogni giorno nascondesse un segreto pronto a rivelarsi.

Ogni forma di sacro smantella il linguaggio consueto. L’oracolo – l’I-Ching – parla in simboli; l’inno dei Veda in vibrazioni sonore; l’enigma greco e le parabole del Nazareno in messaggi cifrati, rivolti a folli, discepoli, angeli. Il Taoismo, in questo, ci insegna a camminare nel paradosso: il debole vince il forte; non agire è più utile che agire; evitare ogni possesso rende davvero liberi; il vero potere è rifiutare il potere. Con sprezzatura e lirismo, questi testi ci invitano a una rivoluzione interiore, a diventare briganti di noi stessi, custodi della propria libertà sospesa tra cielo e terra.

In questo agosto di guerre feroci e insensate che non si acquietano, la luce è accecante, le ombre acute, la cattiveria – piccola o grande – che graffia i giorni. In questo tempo, praticare il paradosso diventa balsamo: danzare sul precipizio dell’io, riconoscere la vertigine come via di conoscenza. La vita si mostra come un labirinto di contraddizioni: ciò che sembra morte è vita, ciò che sembra perdita è guadagno, ciò che sembra silenzio è canto. Ogni passo è un rischio, ogni respiro una sfida, eppure in questa sospensione nasce una libertà inattesa, fragile e potente insieme.

Le rocce sembrano respirare. Il vento si insinua tra le fessure e porta con sé storie antiche, voci lontane e risa di bambini che forse non ci sono mai stati. Il cielo si piega e curva sopra le cime, e tutto sembra oscillare tra il possibile e l’impossibile. Vivere qui significa imparare a misurare il tempo con la vertigine, a contare i battiti del cuore con la gravità, a sentire il sacro nel silenzio di un’ombra che si allunga e si ritira.

E poi ci sono le piccole epifanie: l’angelo che si libra e ci raccoglie col becco gentile, come acqua che scorre tra le dita; le foglie che vibrano di una vita invisibile; la luce che si spezza tra le rocce creando mappe segrete sui pilastri di pietra. Tutto parla un linguaggio nuovo, dove il visibile e l’invisibile si intrecciano, e l’anima si espande nel vuoto come un ponte tra cielo e terra. Vivere è accogliere il paradosso, respirare il rischio, abitare la vertigine. La luce diventa insegnamento; il silenzio diventa canto; l’abbandono diventa radice. Il mondo non chiede controllo, chiede ascolto.

In questo agosto taoista impariamo che l’unica via è sospenderci tra le contraddizioni. Camminare sull’orlo della vertigine, lasciarsi trasportare dal paradosso, sentire la gravità e il vento come alleati, non nemici. La vita si rivela come un film in cui ogni scena è un enigma, ogni passo un miracolo, e ogni respiro un ponte tra l’umano e il divino. Quando l’angelo ritorna, leggero come un sospiro e potente come un tuono, ci ricorda che la fede, il paradosso e la vertigine non sono ostacoli, ma ali. È lì, tra cielo e terra, che il sacro si manifesta: fragile, incerto, vertiginoso… e tuttavia assolutamente reale.

E così impariamo a camminare sospesi, tra le rocce e le nuvole, tra la vertigine e il silenzio. Impariamo che il paradosso non è confusione, ma un metodo per vedere oltre l’ovvio; che il rischio non è pericolo, ma misura del coraggio; che la libertà non è assenza di vincoli, ma capacità di abbracciare l’inatteso. L’estate si dilata, il sole brucia le foglie, le bestie si muovono lente tra l’ombra e la luce, e tutto ciò che sembra finito si prepara a rinascere. Impariamo che la fede è un atto di equilibrio, e che il sacro non si trova solo nei templi o nei monasteri, ma in ogni gesto che sospende il giudizio, in ogni respiro che accoglie il paradosso e lo trasforma in canto.

Camminare tra Meteora e le montagne taoiste significa imparare l’arte dell’osservazione, il coraggio della sospensione, la dolcezza della vertigine. Ogni pietra, ogni raggio di sole, ogni ombra diventa maestro. Ogni giorno si apre come un enigma, e chi osa abitare il paradosso scopre che il mondo non è fatto di risposte, ma di porte, finestre, e precipizi che invitano a guardare oltre se stessi. In questo viaggio, tra cielo e terra, tra luce e ombra, tra vertigine e respiro, impariamo che la vita stessa è un Tao in movimento: ineffabile, sorprendente, eterno.

E quando il sole cala e l’ombra diventa oceano, il mondo trattiene il respiro. Le rocce brillano come cristalli antichi, il vento racconta storie di tempi lontani, le nuvole si piegano come veli d’argento. In quell’istante, ogni paradosso si dissolve nella luce, ogni paura si trasforma in vertigine condivisa, e l’anima si apre come una porta verso il cielo. Il precipizio non è più rischio, ma abbraccio; il silenzio non è vuoto, ma canto; la vita non è logica, ma miracolo. In questo momento sospeso, tra cielo e terra, tra luce e ombra, tra ferocia e bellezza, impariamo finalmente che il paradosso è la via, la vertigine è la maestra, e il sacro non è altrove: è qui, dentro ogni respiro, dentro ogni passo, dentro ogni battito di cuore che osa guardare l’infinito senza. 

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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