Basta tacere, basta subire: è arrivato il momento di denunciare senza filtri l’assurda realtà che i balneari italiani continuano a imporre con arroganza sulle nostre coste. Per decenni, queste piccole monarchie dell’ombrellone hanno trasformato la spiaggia in un parco giochi esclusivo per pochi, spremendo i vacanzieri con prezzi esorbitanti, regole assurde e un controllo quasi feudale sulle aree demaniali.
Pensateci: un lettino e un ombrellone per una giornata di mare a Jesolo, località simbolo del turismo balneare, costano fino a 16 euro solo per l’affitto. A questa cifra si aggiungono poi costi per bibite, snack, servizi igienici a pagamento e, in alcuni casi, parcheggi costosissimi o accessi limitati. Non parliamo di lusso, ma di costi che ormai rendono la spiaggia un lusso proibitivo per molte famiglie italiane.
Ma il problema non è solo questo: i balneari impongono anche una serie di regole assurde e spesso vessatorie, che limitano la libertà dei clienti. Prenotazioni obbligatorie, orari rigidissimi, divieti di portare cibo e bevande dall’esterno, addirittura imposizioni sul tipo di abbigliamento o comportamento da tenere in spiaggia. Un vero e proprio regime, mascherato da “servizio”.
In Riviera Romagnola, in Versilia, lungo tutta la costa tirrenica, e persino in località meno famose, il copione è sempre lo stesso: prezzi alle stelle, servizi minimali e un atteggiamento di totale disprezzo verso chi non può permettersi di spendere cifre da boutique di lusso per una giornata al mare. Nel frattempo, le spiagge libere — quelle poche rimaste — sono spesso trascurate, mal tenute e, in molti casi, rese quasi inaccessibili dalla proliferazione di stabilimenti abusivi o da barriere non ufficiali.
I dati parlano chiaro: nonostante i balneari continuino ad alzare i prezzi ogni anno, le spiagge private sono sempre più vuote. Un segnale che il mercato sta reagendo: sempre più persone scelgono alternative come spiagge libere, campeggi, agriturismi, soggiorni in montagna o in località meno care, soprattutto in bassa stagione. Questo trend è un campanello d’allarme che i balneari continuano a ignorare con arroganza, convinti che il loro sistema sia eterno.
La storia torbida delle concessioni balneari: da privilegio a caso nazionale
Le concessioni balneari in Italia hanno una storia lunga e controversa, fatta di proroghe infinite, favoritismi, e un sistema che per decenni ha garantito stabilità solo a pochi eletti. Le spiagge italiane, patrimonio pubblico per definizione, sono state spesso affidate per decenni a famiglie e gestori storici con una rigidità quasi ereditata di padre in figlio, senza mai passare per un reale meccanismo di gara pubblica.
Questa situazione ha creato un sistema chiuso, in cui pochi hanno goduto di privilegi che hanno impedito l’ingresso di nuovi operatori e hanno alimentato prezzi esorbitanti per il consumatore. La sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2018 ha messo in discussione questa pratica, definendola contraria ai principi di libera concorrenza e trasparenza, aprendo la strada a una necessaria e ormai inevitabile liberalizzazione.
Il caso limite di Ostia è emblematico: per anni, le concessioni sono state gestite senza alcuna trasparenza, con proroghe “a scatola chiusa” e una situazione che ha portato a denunce per corruzione, infiltrazioni malavitose e un vero e proprio degrado del litorale. Ostia è diventata così il simbolo della gestione opaca e clientelare delle spiagge italiane, dove il mare e la sua fruizione diventano terreno di scontro politico, economico e criminale.
Questo esempio drammatico dimostra cosa può succedere quando un bene pubblico così importante viene lasciato nelle mani di pochi senza controllo, e sottolinea l’urgenza di una riforma che tuteli i cittadini e il territorio.
La svolta imminente: messa all’asta delle concessioni e cosa aspettarsi
Ora, la messa all’asta delle concessioni balneari è alle porte. Dopo decenni di proroghe e battaglie legali che hanno congelato ogni riforma, lo Stato italiano si prepara a mettere in gara pubblica le concessioni per la gestione delle spiagge. Questo significa che le famiglie e i gruppi che da generazioni si sono spartiti le coste italiane dovranno giocarsi tutto in un mercato competitivo, aperto a chiunque rispetti le regole.
Questa svolta potrebbe finalmente portare trasparenza e meritocrazia in un settore che per troppo tempo è stato gestito come un feudo privato. Potrebbe far emergere nuovi operatori più attenti alle esigenze reali dei clienti, con prezzi più equi e servizi migliori. Ma c’è anche un rischio enorme: se il sistema non sarà regolamentato con rigore e trasparenza, si aprirà la porta a speculatori e grandi investitori pronti a trasformare le nostre coste in un altro terreno di spreco e mala gestione, dove i prezzi saranno ancora più alti e i cittadini sempre più esclusi.
A questo punto non possiamo fare a meno di guardare a quanto è accaduto nel settore dei trasporti, con la rivoluzione di Uber e delle app di mobilità che hanno scardinato un sistema vetusto di tassisti “protetti” da regole antiquate. La battaglia di Uber contro il monopolio dei tassisti è stata feroce, con scontri durissimi, proteste e resistenze da parte di chi voleva mantenere un privilegio storico. Ma alla fine il mercato e i consumatori hanno voluto il cambiamento, chiedendo più libertà, scelta e prezzi più giusti.
La messa all’asta delle concessioni balneari potrebbe essere il “caso Uber” del turismo italiano: un’occasione per abbattere vecchi privilegi, introdurre trasparenza, liberalizzare il mercato e restituire ai cittadini il diritto sacrosanto di godere del mare senza dover subire prezzi e regole da signorotti dell’ombrellone.
Tuttavia, questo processo richiede una vigilanza costante e una regolamentazione severa da parte dello Stato e delle istituzioni. Senza regole chiare e controlli rigorosi, rischiamo solo di sostituire un monopolio con un altro, con l’aggiunta di speculazioni finanziarie e interessi economici poco trasparenti.
Caro balneare, il vento è cambiato. I tuoi ombrelloni dorati non sono più il simbolo del sogno estivo, ma l’immagine sbiadita di un privilegio ormai fuori tempo. Se vuoi sopravvivere, dovrai finalmente ascoltare la voce di chi non vuole più pagare il prezzo di questa ingiustizia.
La spiaggia deve tornare a essere di tutti. Non di pochi. E questa è la vera rivoluzione che sta per cominciare.
Carlo Di Stanislao