“La politica è l’arte di cercare guai, trovare qualcuno da incolpare, prendere decisioni e non assumersi la responsabilità.” Ambrose Bierce Nel 2025, gli italiani sono chiamati alle urne solo in sei regioni: Veneto, Toscana, Marche, Campania, Puglia e Liguria. Un numero limitato, ma non per questo meno ricco di spettacolo. Anzi, sembra proprio il teatro ideale per mettere in scena tutte le contraddizioni, le ambizioni e le mancanze di una politica italiana sempre più stanca. Ma non dimentichiamo le altre regioni — Abruzzo, Molise, Sicilia, Calabria, Sardegna, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige e Piemonte — che quest’anno non votano, ma non per questo smettono di offrire uno spettacolo degno di nota, fatto di gestione fallimentare, faide interne e liste fantasma. Insomma, un festival di vizi e virtù che solo la politica italiana sa mettere insieme così bene.
Veneto – il regno senza Zaia
Dopo dodici anni di guida ferrea e personalissima di Luca Zaia, il centrodestra si trova a cercare un erede che non sia una fotocopia sbiadita o un soprammobile. Luca De Carlo prova a raccogliere il testimone, ma tra Lega che si squarcia da sola, Fratelli d’Italia che alza la voce e Forza Italia che si limita a dire “presente”, il risultato sembra una partita di Monopoli giocata con le regole cambiate a metà gioco. Il centrosinistra tenta di sorprendere con il virologo Andrea Crisanti, sperando di capitalizzare sulla notorietà scientifica, ma il suo entusiasmo rischia di trasformarsi in un esperimento da reality show. I 5 Stelle si ritirano in modalità “presente ma invisibile”, così come quei parenti che compaiono solo a Natale e nessuno sa bene perché.
Toscana – il museo del riformismo esausto
La Toscana, roccaforte storica della sinistra, si trova a fare i conti con un Pd spaccato e affaticato. Eugenio Giani cerca di reggere l’onda, ma pare più un custode di un museo polveroso che un innovatore. Le correnti interne litigano come bambini per un biscotto, incapaci di offrire un progetto chiaro. Sul fronte opposto, il centrodestra fatica a trovare un candidato credibile e la coalizione appare un mosaico instabile di interessi divergenti. I 5 Stelle sono ancora alla ricerca del loro Conte, sperando che il leader porti un po’ di magia. Nel frattempo l’elettore toscano si aggira tra correnti come un turista perso nel museo di arte contemporanea.
Marche – murales, garanzie e sionismi
Nelle Marche il quadro politico è un thriller in piena regola. Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro, è finito al centro di un’inchiesta giudiziaria su presunti affidamenti diretti e murales pilotati che sembrano più opere di street art politica che atti amministrativi. La procura ha acceso i riflettori sulla cosiddetta Affidopoli, mettendo a rischio la credibilità del centrosinistra locale. Acquaroli, governatore uscente per il centrodestra, si ricandida con la fiducia di chi ha saputo governare la regione, ma tra accuse e polemiche su posizioni civiche e vicinanze sioniste la competizione si fa rovente. I 5 Stelle navigano a vista, senza una direzione chiara e con poche speranze di imporsi.
Campania – l’ombra lunga deluchiana e il grande gioco dell’assenza
La Campania nel 2025 è come un film in cui il protagonista principale ha deciso di prendersi una lunga vacanza, lasciando dietro di sé una sceneggiatura incompleta e un cast in crisi d’identità. Vincenzo De Luca, il governatore uscito di scena dopo anni di dominio incontrastato e megafono sempre acceso, è ancora la figura politica più influente della regione. Anche se formalmente fuori dai giochi elettorali, la sua ombra si allunga minacciosa su ogni mossa, come un regista invisibile che continua a dirigere le scene dall’ombra.
Il centrosinistra, che in passato ha trovato nella figura carismatica di De Luca il suo punto di riferimento e il suo timoniere, ora si aggira in un deserto strategico. Non c’è un successore in grado di raccogliere quella eredità di potere, consenso e capacità di comunicazione così sopra le righe da sembrare più un comizio permanente che una campagna elettorale. I candidati potenziali si guardano in cagnesco, come se si trovassero in un reality dove solo uno può emergere, ma nessuno vuole davvero fare il primo passo per paura di finire stritolato nella macchina mediatica che De Luca ha costruito in oltre un decennio.
Sul fronte opposto, il centrodestra si mostra più prudente che ambizioso. Non c’è un candidato vero, capace di rompere il dominio di un centro-sinistra che senza De Luca sembra quasi spaesato ma sempre potentemente radicato. La coalizione appare più una fragile alleanza di comodo che una squadra unita da un progetto condiviso. Tra la Lega, che cerca di non perdere terreno ma non ha ancora capito bene cosa proporre, Fratelli d’Italia che scalpita ma teme di bruciarsi, e Forza Italia che sembra un ospite inatteso a una festa già in corso, la Campania diventa il terreno ideale per un nulla di fatto politico che si consuma tra chiacchiere, promesse e slogan riciclati.
I 5 Stelle, che solo qualche anno fa avevano raccolto consensi travolgenti, ora sembrano reduci di una guerra persa. Lontani da quelle piazze gremite e da quelle promesse di cambiamento, i pentastellati si aggirano come spettri di un movimento che ha perso la bussola e fatica a ritrovare un’identità convincente. La loro presenza alle elezioni sembra più una formalità che una reale sfida, un tentativo di mantenere un minimo di visibilità in un palcoscenico dove gli altri recitano parti più ingombranti.
I cittadini campani, nel frattempo, assistono a questo gioco delle parti con una rassegnazione che rasenta la commedia amara. La qualità dei servizi pubblici, dalla sanità ai trasporti, continua a oscillare tra il disastroso e il gestibile solo per miracolo. Le promesse di rilancio economico, di valorizzazione del territorio e di sviluppo sostenibile si infrangono spesso contro la realtà di una burocrazia elefantiaca e di una politica locale che fatica a farsi carico delle reali esigenze della popolazione.
In sintesi, la Campania nel 2025 è come un palcoscenico dove il protagonista è assente ma la sua presenza si fa sentire in ogni battuta, dove il cast è diviso, le sceneggiature latitano e lo spettacolo rischia di trasformarsi in una tragicommedia senza vincitori né vinti. Un grande gioco dell’assenza che riflette bene la crisi di una politica italiana sempre più incapace di rinnovarsi e di coinvolgere davvero chi dovrebbe essere il vero protagonista: il cittadino-elettore.
Puglia – civiche, tamburelli e nebbia strategica
Con l’addio di Michele Emiliano, la Puglia si prepara a un voto carico di tensioni e ambizioni. Le liste civiche, spesso più simili a cori da stadio che a proposte politiche, si moltiplicano. Antonio Decaro si fa avanti come possibile candidato del Pd, ma la sua candidatura non è immune da malumori interni. Il centrodestra sembra impegnato a evitare scontri interni più che a costruire una proposta credibile, mentre i 5 Stelle si aggirano come fantasmi in un campo minato, incapaci di recuperare terreno. La musica di fondo è un tamburello stonato che nessuno sa bene come accordare.
Liguria – la terra del caos a portata di mano
La Liguria, meno al centro dei riflettori, resta un piccolo grande teatro politico. Giovanni Toti, governatore uscente e leader di Cambiamo!, punta alla riconferma ma non senza fatica. La coalizione di centrodestra appare tesa, con Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia in perenne competizione per rubarsi lo spazio. Il centrosinistra prova a rispondere con un candidato civico, ma l’unità è lontana. I 5 Stelle continuano a recitare la parte di comparse, tra risultati deludenti e scarso entusiasmo.
Emilia Romagna – il gigante addormentato che sogna il risveglio
Anche se non si vota, l’Emilia Romagna continua a essere un laboratorio politico in fermento. Dopo anni di predominio del centrosinistra, la regione si trova a fare i conti con un Pd che sembra una pentola a pressione pronta a esplodere. Le tensioni interne sono palpabili, con vecchie glorie che cercano di mantenere il controllo e nuove leve che scalpitano per farsi strada. Il centrodestra osserva con interesse, sperando in una débâcle del rivale per strappare un ruolo più importante in futuro. I 5 Stelle arrancano tra scissioni e ritiri, incapaci di trovare una linea che parli davvero agli elettori emiliani.
Trentino Alto Adige – l’autonomia che non smette di far discutere
Nel Trentino Alto Adige, regione a statuto speciale, la politica si muove su un terreno delicato fatto di equilibri etnici e autonomistici. Anche senza elezioni nel 2025, il dibattito è acceso. I partiti locali si confrontano su questioni di identità e gestione del territorio, mentre le coalizioni nazionali cercano di inserirsi senza troppo successo. Le faide tra le province di Trento e Bolzano sono un classico che si rinnova, complicando la formazione di alleanze stabili e rendendo ogni passo una partita a scacchi che dura da decenni.
Piemonte – il crocevia dell’eterna indecisione
Il Piemonte, pur non andando al voto, rappresenta un altro esempio di quella politica italiana bloccata nel limbo dell’indecisione. Il centrosinistra fatica a trovare un volto che riesca a unire le varie anime del partito, mentre il centrodestra si divide tra aspiranti leader che non si decidono mai a fare il salto. I 5 Stelle, che avevano fatto breccia qualche tempo fa, ora sono sparsi in mille rivoli senza una strategia chiara. La regione appare come un teatro in cui tutti parlano ma nessuno ascolta, e dove le decisioni rimandate sono ormai un’abitudine consolidata.
Abruzzo – gestione fallimentare in sanità, cultura e turismo
L’Abruzzo, che non vota nel 2025, è il perfetto esempio di come una gestione inefficiente possa minare settori vitali. La sanità pubblica è un campo di battaglia dove liste d’attesa infinite, sprechi e strutture che ricordano scenari da film horror sono all’ordine del giorno. La cultura, un tempo fiore all’occhiello della regione, è ridotta a una sagra di occasioni perse, con finanziamenti dispersivi e progetti naufragati. Il turismo, potenziale oro verde abruzzese, è gestito come un bar di periferia aperto a orari casuali. Il centrosinistra tenta di tappare i buchi ma la fiducia dei cittadini si sgretola come mura antiche. Il centrodestra osserva in attesa, mentre i 5 Stelle vagano come spettatori silenziosi di questo disastro annunciato.
Molise, Sicilia, Calabria e Sardegna – il festival delle liste fantasma
Nonostante non si voti, queste regioni non mancano di offrire spettacoli politici memorabili. Liste civiche che nascono e muoiono più velocemente di un trend su TikTok, alleanze che si formano e si disfano come castelli di sabbia, volti politici che ricompaiono con la stessa frequenza delle guest star di un reality. La Sicilia, in particolare, è un mosaico di spinte indipendentiste, faide interne e candidati civici più civici di altri. Calabria e Sardegna rimangono territori complessi, tra autonomie sognate e realtà dure, mentre il Molise è il palcoscenico dei piccoli duelli tra vecchie glorie e nuove promesse della politica locale.
Conclusione estesa – il grande circo delle regionali italiane
Le regionali del 2025 sono la rappresentazione perfetta di un’Italia politica in crisi d’identità. Coalizioni che si sfaldano, candidati in cerca di copione, programmi che sembrano slogan riciclati, e un elettorato sempre più disorientato. Le inchieste, come quella su Ricci nelle Marche, le polemiche e la mancanza di idee fresche trasformano queste elezioni in un rito senza passaggio.
Le regioni coinvolte sono poche, ma la confusione è grande. Lo spettatore-elettore assiste a uno spettacolo di déjà-vu, dove il nulla diventa protagonista. Benvenuti nel grande teatro del nulla, dove la politica italiana si esibisce nel suo spettacolo più stanco
Carlo Di Stanislao