Riconoscere la Palestina: la premier alla prova della storia

 

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"Ci sono momenti nella storia in cui l’ambiguità diventa complicità." Angelo Bonelli

Domenica 27 luglio 2025, ore 20:40

Roma – Un appello chiaro, inequivocabile e – come raramente accade nel mondo della diplomazia – esplosivo. Trentacinque ex ambasciatori italiani, tra i più autorevoli della storia repubblicana, firmano una lettera aperta indirizzata alla presidente del Consiglio Giorgia Melonil’Italia deve riconoscere lo Stato di Palestina. Non più parole, né formule di rito: "è il momento di agire".

Tra i firmatari figurano nomi del calibro di Pasquale FerraraFerdinando Nelli FerociVincenzo De LucaStefano Stefanini. Tutti con una lunga carriera alle spalle tra Farnesina, NATO, UE, Quirinale e presidenze del Consiglio. Personalità abituate alla prudenza e al linguaggio ovattato della diplomazia, che oggi – di fronte al conflitto in corso nella Striscia di Gaza – decidono di rompere gli schemi, scegliendo un’esposizione pubblica che sa di atto di coscienza.

“La gravità della situazione – si legge nella lettera – non consente più collocazioni intermedie. L’orrore perpetrato contro civili inermi, le flagranti violazioni dei diritti umani, la distruzione sistematica di vite e territori impongono una presa di posizione netta, concreta, pubblica.”

La richiesta è duplice:
– il riconoscimento formale dello Stato palestinese da parte dell’Italia
– la sospensione immediata di ogni cooperazione militare con Israele

Il documento va oltre la denuncia, chiamando in causa direttamente l’esecutivo italiano e sollecitando un cambio di rotta nella politica estera. Una richiesta che investe la premier Meloni di una responsabilità storica. Finora il suo governo ha mantenuto una linea attendista, ribadendo il sostegno alla “soluzione dei due Stati”, ma definendo “non risolutivo” un riconoscimento unilaterale in questa fase.

L’opposizione, invece, trova nel gesto degli ambasciatori una potente sponda morale e politica.
“Una lezione di dignità”, secondo Nicola Fratoianni,
“un atto di patriottismo autentico”, afferma Giuseppe Conte.
Elly Schlein non usa mezzi termini:
“Meloni dice che è troppo presto. Ma quando non resterà più nulla da riconoscere, sarà troppo tardi.”

Nel frattempo, la maggioranza sembra optare per il silenzio. Fonti vicine a Palazzo Chigi ribadiscono che la posizione della premier resta immutata, con il riconoscimento legato al contesto di un processo di pace internazionale. Tuttavia, i firmatari della lettera insistono:
“La diplomazia deve farsi azione. L’Italia non può continuare a voltarsi dall’altra parte.”

Il tema tocca nervi scoperti anche all’interno della comunità internazionale. Sempre più Paesi europei si muovono in direzione di un riconoscimento formale, mentre le proteste nelle piazze, la pressione delle ONG e la crisi umanitaria in corso impongono un ripensamento dell’equilibrio mediorientale. E Roma, storicamente ponte tra Est e Ovest, tra Bruxelles e il Mediterraneo, potrebbe giocare un ruolo decisivo.

Nel frattempo, tra i cittadini cresce il dibattito. Sui social, nei talk show, nei circoli accademici, la questione palestinese torna al centro della scena politica nazionale come non accadeva da anni. E la domanda si fa sempre più insistente:
Cosa aspetta il governo italiano?

Giorgia Meloni è di fronte a un bivio che va ben oltre la contingenza geopolitica. Il riconoscimento dello Stato di Palestina sarebbe un atto di rottura con una certa inerzia diplomatica, ma anche un gesto forte di posizionamento internazionale, in un momento in cui l’Italia è osservata con attenzione dai suoi partner europei e mediterranei.

La lettera dei 35 ambasciatori non è solo una richiesta tecnica.
È un monito morale.
E come ogni appello che nasce da una responsabilità collettiva, solleva la politica da terra e la pone davanti alla Storia.

Sta ora alla premier decidere se restare ancorata all'equilibrismo o compiere un passo, forse rischioso, ma carico di significato.

In certi momenti, il silenzio non è neutralità. È scelta.

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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