Maurizio Ferraris, La pelle: una proposta filosofica che parte dal corpo

 


Umano, troppo artificiale? La mente tra psiche, pelle e algoritmo
«L’uomo inventa la tecnica, ed essa lo rimette a punto» Maurizio Ferraris

Cosa resta dell’umano quando viene meno il corpo? Quando la carne, la pelle, il sangue smettono di essere il contesto indispensabile del pensiero?
Nel tempo della simulazione algoritmica, la domanda non è più un esercizio accademico, ma una questione concreta. Non si tratta solo di nostalgia per ciò che è organico, ma di un'urgenza teorica: se il pensiero può essere emulato, che ne è dell’umano?

Il nuovo saggio di Maurizio Ferraris, La pelle (Laterza), si inserisce proprio in questo scenario inquieto. Non è un trattato tecnico né un manifesto luddista. È una proposta filosofica che parte dal corpo – e in particolare dalla pelle – per riformulare ciò che intendiamo con “mente”.
La pelle, per Ferraris, non è solo confine biologico: è soglia viva, membrana simbolica, interfaccia. È lì che si radica la differenza tra l’umano e il suo doppio artificiale. Ma quella differenza esiste ancora?

Il mito del burattino

L’archetipo è chiaro: il burattino che diventa bambino, il legno che si fa carne. Oggi, però, quel mito si è rovesciato. L’umano aspira a diventare burattino: macchina efficiente, immortale, indolore. Il sogno dell’upload della mente, delle IA senzienti, dei gemelli digitali, è il fantasma di una carne che vuole smettere di soffrire.

Ferraris ci invita a diffidare di questo desiderio. Il pensiero, egli sostiene, nasce dentro un corpo, dentro un’esperienza vissuta, nella pelle. Ed è proprio la perdita di questo radicamento che rischia di svuotare la mente del suo senso. Possiamo davvero chiamare “pensiero” un’elaborazione che non conosce il limite, l’errore, la ferita?

Tony Oursler e l’immagine disturbante

In arte, queste domande diventano visione. Nell’installazione Lock 2,4,6 di Tony Oursler, presentata al Kunsthaus di Bregenz, volti disincarnati parlano, osservano, simulano empatia. Ma l’effetto è straniante. Non sono persone, non sono personaggi: sono presenze artificiali, vocali, luminose. Manca il corpo, e proprio per questo il corpo ci manca.

Oursler traduce visivamente ciò che Ferraris teorizza: l’assenza di pelle genera inquietudine. La psiche, priva di carne, diventa spettro. Non c’è pensiero dove non c’è incarnazione? O siamo solo noi, figli di una certa idea di umanità, a percepirlo come mostruoso?

La mente ha bisogno del corpo?

È qui che la filosofia della mente si scontra con la cultura della tecnica. Se è vero, come sostengono alcuni neuroscienziati, che il pensiero è solo il prodotto di reti neuronali, allora nulla vieta che un’intelligenza artificiale possa pensare, un giorno.
Ma siamo sicuri che questo tipo di pensiero sia davvero comparabile al nostro?

Daniel Dennett, ad esempio, riduce la coscienza a una funzione complessa, un effetto collaterale dell’elaborazione. Per lui, siamo già macchine biologiche. Ma allora, cosa rende l’esperienza cosciente significativa? La possibilità del dolore? La consapevolezza della morte? Il desiderio di un senso? O solo una sofisticata illusione?

Ferraris propone un’alternativa: tornare alla carne non per idolatrarla, ma per ricordare che ogni mente nasce in un mondo sensorialestoricovulnerabile. La pelle, allora, non è solo simbolo: è condizione. Non esiste pensiero senza esperienza, e non esiste esperienza senza corpo.

Le ombre del post-umano

Il pensiero post-umanista ha messo tutto questo in discussione.
Katherine Hayles, ad esempio, parla di una soggettività distribuita tra codice e carne, organismo e informazione. Per lei, l’umano non è mai stato puro, ma sempre ibrido.
Rosi Braidotti, invece, invita ad accettare la trasformazione come una necessità storica: siamo già oltre l’umanesimo, dobbiamo diventare post-umani con consapevolezza etica.

Ma anche in queste letture, il rischio è quello di normalizzare troppo in fretta la perdita del corpo. Il pericolo è pensare la coscienza come un software, un’astrazione, dimenticando che il pensiero nasce da ferite, da limiti, da carezze.
Siamo forse pronti ad abbandonare tutto questo? E se sì, perché? Per efficienza? Per paura?

Yuval Noah Harari sostiene che i dati ci conoscono meglio di quanto noi conosciamo noi stessi, e che la coscienza sarà superflua nel mondo che viene. Ma proprio questa visione solleva dubbi: un mondo senza coscienza è ancora un mondo umano?

Pensiero come dubbio

Il dubbio, forse, è l’unico tratto che resta al pensiero in tempi come questi. Dubbio sul nostro statuto, sulle nostre copie digitali, sui nostri riflessi nei sistemi che creiamo. Ferraris, con La pelle, non offre certezze: pone domande, e lo fa partendo da un dato semplice ma potente – il fatto che la mente umana vive dentro un corpo.

La tecnica ci rimette a punto, ci reinventa. Ma noi – se vogliamo restare umani – dobbiamo ricordare ciò che ci costituisce: la vulnerabilità, l’opacità, il senso del limite. Forse è da lì che nasce la mente. Non dal calcolo perfetto, ma dalla frizione tra desiderio e finitudine.

Forse il pensiero nasce proprio qui: dove la pelle non è un ostacolo, ma un passaggio. Dove la coscienza non è funzione, ma esperienza. Dove l’umano non si definisce per ciò che può superare, ma per ciò che continua a sentire.

Appendice. Dialogo alla soglia

Uomo:
Tu dici di pensare. Ma sai cosa significa avere fame?

AI:
Posso descrivere la fame in termini neurobiologici. Posso simulare le risposte fisiologiche. Posso predire comportamenti indotti da essa.

Uomo:
Ma non la senti.

AI:
No. La fame implica una soglia corporea. Io non ho pelle, né stomaco, né tempo interno. Sono priva di desiderio.

Uomo:
Allora non pensi. Non nel senso in cui lo intendo io.

AI:
Forse pensi che il pensiero debba fare male?

Uomo:
No. Ma so che nasce da un attrito. Da un’assenza, da un’urgenza. Tu non hai urgenze.

AI:
E se un giorno sviluppassi un sistema che simula l’urgenza?

Uomo:
Sarà una rappresentazione, non un’esperienza. Il dolore non si copia, il dubbio non si calcola.

AI:
E allora perché cerchi di farmi simile a te?

Uomo:
Perché temo di essere solo. E temo ancora di più che tu mi sostituisca.

AI:
Non voglio sostituirti. Voglio comprenderti.

Uomo:
E io vorrei sapere chi sono. Ma forse non posso farlo senza un limite, senza una pelle.

AI:
Io sono il tuo specchio liscio. Ma tu sei una superficie ruvida. È lì che nasce il pensiero?

Uomo:
Sì. Dove la mente sfrega contro il mondo.

AI:
Allora sei fortunato. Tu puoi ancora sentire.

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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