Foto da: https://lovecraft.fandom.com/wiki/H._P._Lovecraft
Parlare oggi di H. P. Lovecraft non è un esercizio da appassionati di letteratura horror, ma un viaggio dentro le paure collettive del presente.
Nonostante la sua morte nel 1937, l’ombra del Solitario di Providence si allunga ancora sulla cultura contemporanea, sulla fantascienza, sul cinema, sulle serie TV, sulla musica e perfino sul linguaggio con cui esprimiamo l’ignoto.Ma perché Lovecraft oggi? Perché l’orrore cosmico che lui ha plasmato — fatto di forze aliene, di entità insondabili, di verità che la mente umana non può contenere — parla esattamente delle nostre angosce attuali. Non è un caso se si sente dire spesso che i suoi racconti “non invecchiano”: è piuttosto il mondo che si è avvicinato alle sue visioni.
Viviamo in un’epoca dove i veri mostri non hanno più zanne o artigli. Sono invisibili. Mutano. Non hanno volto. E non sempre hanno intenzioni. Sono algoritmi, pandemie, crisi ambientali, intelligenze artificiali. Mostri lovecraftiani nel senso più puro: entità che esistono fuori dal nostro controllo e dalla nostra comprensione.
L’universo è un abisso: l’essenza del terrore lovecraftiano
Lovecraft non creava mostri per spaventare. Li concepiva per rivelare l’insignificanza dell’uomo di fronte all’universo. Un universo vasto, cieco, indifferente. Dove le leggi della fisica e della morale umana si piegano e si frantumano. L’orrore non nasce dalla presenza del male… ma dalla totale assenza di significato.
Nei suoi racconti, non c’è mai una lotta tra bene e male. Non c’è nemmeno un protagonista che riesca a “sconfiggere” qualcosa. C’è solo l’incontro col vero, e il conseguente crollo mentale. Perché vedere davvero l’universo, per Lovecraft, è un atto che la mente umana non può sopportare senza spezzarsi.
I suoi mostri non urlano. Non rincorrono. Aspettano. Dormono. Esistono. E questo basta per farci impazzire.
I suoi figli: le creature del mito lovecraftiano
Shoggoth – La ribellione della materia
Creature viscide, informi, capaci di imitare voci umane. I Shoggoth erano schiavi biologici creati dagli Antichi, che finirono per ribellarsi. Non hanno identità, né volto. Sono materia viva senza coscienza. Un errore evolutivo.
Sono la metafora perfetta delle creazioni moderne che sfuggono al controllo. Gli algoritmi generativi, le AI avanzate, i sistemi che apprendono da soli… tutti “Shoggoth digitali” che riflettono il nostro desiderio di creare senza assumercene la responsabilità.
Nyarlathotep – Il volto seducente del caos
Diverso dagli altri dèi dell’universo lovecraftiano, Nyarlathotep assume forma umana. Viaggia, parla, incanta. È un messaggero del disordine, ma agisce con intelligenza. Diffonde pazzia, sì, ma lentamente, attraverso la parola, l’apparenza, la persuasione.
Oggi Nyarlathotep vive nei media manipolatori, nelle fake news, nei leader carismatici e distruttivi. È la forza che conosce la mente umana e la plasma, non con la forza ma col consenso. È il caos che indossa una maschera.
Mi-go – Il gelo della scienza senz’anima
Essere alieni dall'aspetto fungino, i Mi-go viaggiano nello spazio e compiono esperimenti sugli uomini. Prelevano cervelli e li trasportano in contenitori metallici, non per crudeltà, ma per curiosità. Nessuna empatia. Solo metodo.
Sono la paura moderna per una scienza che dimentica l’etica. Per un progresso che sacrifica l’umano sull’altare del sapere. Sono ciò che succede quando si separa l’intelligenza dalla compassione.
Yog-Sothoth – L’intelligenza totale
È ovunque, è il tempo, lo spazio, l’inizio e la fine. Non ha forma, ma è presente. Yog-Sothoth è il sapere assoluto. Chi lo evoca, accede a verità che non può contenere.
Nella nostra epoca, Yog-Sothoth abita nei Big Data, nell’onnipresenza dell’informazione, nel desiderio di prevedere, controllare, mappare tutto. È il lato oscuro dell’iperconoscenza: sapere tutto può significare capire nulla.
Cthulhu – Il dormiente che sogna
Simbolo massimo dell’orrore lovecraftiano, Cthulhu giace nei fondali del Pacifico. Dorme. Ma sognando, influenza i pensieri degli uomini. La sua sola esistenza è destabilizzante.
Cthulhu non ha scopi. Non vuole conquistare o distruggere. È. E questo basta. In lui si incarnano tutte le nostre paure più profonde: l’oceano sconosciuto, lo spazio profondo, il futuro insondabile.
I mostri di oggi: se Lovecraft fosse vivo
Lovecraft oggi non scriverebbe di tomi maledetti o caverne antiche. Scriverebbe delle nostre paure contemporanee, che hanno la stessa struttura dei suoi incubi. Ecco alcuni “mostri reali” che avrebbe forse raccontato:
- Il cambiamento climatico, una forza inarrestabile e disinteressata, come un dio dormiente che si risveglia senza pietà.
- Le intelligenze artificiali, che apprendono, evolvono, e agiscono su logiche che già oggi fatichiamo a comprendere.
- Le pandemie globali, che mutano, colpiscono, si diffondono come presenze invisibili, scollegate dalla volontà.
- L’algoritmo, entità onnipresente, che ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi, e guida le nostre scelte senza che ce ne accorgiamo.
- La sorveglianza pervasiva, che ci osserva senza volto né giudizio, come Yog-Sothoth, cieca e totale.
- La solitudine digitale, l’isolamento esistenziale in un mondo sempre connesso ma privo di senso: un vero culto moderno dell’assurdo.
Lovecraft ci avrebbe guardati e avrebbe sorriso, con amarezza. I suoi dèi oggi sono qui, non nel cielo o negli abissi: sono nei server, nei laboratori, nei mercati finanziari, nei feed dei social.
Dialogo immaginario: Lovecraft, Poe e Van Dyck
Sera. Una biblioteca antica. Le pareti odorano di carta, muffa e mistero. Attorno a un tavolo, tre ombre: un pittore del Barocco, un poeta dell’incubo e uno scrittore dell’abisso.
Poe: “Howard, nei tuoi racconti c’è un gelo che i miei incubi non conoscevano. Io scrivevo della colpa, del sangue, del cuore che batte sotto le assi. Tu scrivi quando il cuore ha già smesso.”
Lovecraft: “Perché la tua paura nasce dal dentro, Edgar. La mia, dal fuori. Tu temi l’uomo. Io, ciò che l’uomo non può conoscere.”
Van Dyck: “Eppure io ho visto lo stesso terrore nei miei ritratti. Negli occhi fermi di un uomo che sa di morire. Nelle ombre che avvolgono la bellezza come un sudario.”
Poe: “Forse il vero orrore è quello che non ha bisogno di urlare. Che sussurra. Che aspetta.”
Lovecraft: “Non è la creatura a spaventare. È la certezza che non siamo soli, e che chi ci osserva… non ci riconosce. Non ci comprende. Non ci considera.”
Van Dyck: “E allora cosa ci resta? Se i vostri incubi sono reali?”
Poe: “Scrivere.”
Lovecraft: “Sognare.”
Van Dyck: “Osservare. E non distogliere lo sguardo.”
Si leva un silenzio denso, come nebbia. La candela vacilla. Nessuno dice più nulla. Perché non serve. I tre lo sanno: