L’anima del Fado nella voce di Camilla Barbarito. L'intervista di Fattitaliani

 

© Matteo Gilli

di Giovanni Zambito - Si è svolto mercoledì 16 luglio al Parco Center di Milano L come Lusitania, nuovo appuntamento della rassegna Alfabeto di PARCO, diretta da Antonio Ribatti. Lo spettacolo ha proposto un intenso viaggio musicale tra le sonorità e le parole del Fado, patrimonio immateriale dell’umanità secondo l’Unesco, simbolo della cultura portoghese e lisboeta.
Protagonisti della serata: la cantante Camilla Barbarito, il chitarrista Fabio Marconi, la violinista Eloisa Manera, alcuni ospiti a sorpresa e l’attore Davide Ferrari, voce narrante in un intreccio poetico tra musica, teatro e video.
Fattitaliani ha intervistato Camilla Barbarito per farci raccontare com’è nato questo progetto e cosa rappresenta per lei il Fado, musica dell’anima carica di saudade.

Buongiorno Camilla, come nasce “L come Lusitania”? Qual è stata la scintilla che ha fatto scattare questo omaggio al Fado?
Questo spettacolo è nato per impulso di Antonio Ribatti, direttore artistico di Alfabeto, iniziativa ospitata da PARCO. Il Fado è sempre stato per me uno dei territori in cui inoltrarmi, nelle mie ricerche nell’ambito della musica popolare sud europea e mediterranea.

Il Fado è una musica dell’anima, intrisa di saudade. In che modo ti sei preparata emotivamente e vocalmente per affrontare questo repertorio?
Questo repertorio tocca corde particolarmente sensibili. Con il suo stile e il suo carattere, porta direttamente interprete e ascoltatore in una zona sentimentale di particolare intensità.
Questa lingua crea dinamiche che fanno oscillare tra reticenza e esplosione. Emozioni trattenute, che poi fuoriescono come un’eruzione vulcanica a tratti.

C’è un brano del concerto che senti più vicino alla tua sensibilità artistica? Perché?
Forse il brano in cui mi sento più a mio agio è Adoro a noite, un omaggio alla vita notturna e a tutte quelle atmosfere e sensazioni che porta.
Questa canzone l’ho trovata in un disco vinile che mi era stato regalato tantissimi anni fa. Non l’ho mai trovata né su YouTube né su Spotify… Un reperto preziosissimo, lontano dalle dinamiche della fruizione della musica attuali.

La serata unisce parole e musica: come si intrecciano drammaturgia e canto in questo spettacolo?
Questo format creato da Antonio unisce momenti musicali a racconto, immagini e video, nonché la presenza di un attore – Davide Ferrari – che interpreta alcune poesie di Pessoa.
Una ricchezza di stimoli, insomma, e anche la possibilità per il pubblico italiano di approcciarsi a questo genere, spesso del tutto sconosciuto.

Hai definito il Fado uno dei tuoi “grandissimi amori”. Quando lo hai incontrato per la prima volta, e cosa ti ha colpito di più?
A casa mia Amália Rodrigues era uno degli ascolti.
Poi il contatto precoce con il teatro mi ha permesso di conoscere le sonorità delle musiche tradizionali di molti popoli.
L’ascolto di voci provenienti direttamente dalla tradizione mi ha fatto amare un certo tipo di vocalità, del tutto differente, dal sapore schietto.

Da sinistra, Manera, Barbarito e Marconi

Nei tuoi viaggi e nelle tue ricerche musicali hai attraversato molte culture: cosa accomuna secondo te il Fado ai canti dei villaggi africani o delle terre andine?
Sicuramente direi che interpreti di musica popolare, lontano dalle dinamiche dell’intrattenimento, sono figure che hanno tratti comuni nei diversi contesti culturali.
Pur con le dovute differenze, esiste un tratto direi cerimoniale, dove l’artista diventa più che altro il portale e il medium che incarna la vita di tutti.
Non tanto un divo da ammirare, ma qualcuno che fa parte della comunità e si prende la responsabilità di dare voce in rappresentanza di tutti.

Hai detto che il Fado “non tollera fronzoli e orpelli”. In che senso questa essenzialità ti richiama come artista?
Ci sono repertori e repertori. Due linguaggi convivono: quello misterioso degli intervalli, delle armonie, delle timbriche, e quello del testo.
La fusione di queste due visioni concorre a creare una poetica.

La tua vocalità è molto lontana da quella “imperante” nella tua generazione, come tu stessa hai dichiarato. Come hai costruito questa voce libera, intensa e anticonvenzionale?
Devo ammettere che sono spesso a disagio con il cantautorato attuale italiano. Mi sento molto indifferente ai modi e agli argomenti.
C’è un atteggiamento invece, in queste vecchie canzoni, che mi prende direttamente allo stomaco. Forse sono una persona antiquata.
Ma ci sono luoghi dove sono stata e ho anche cantato come per esempio Atene o Istanbul, dove mi sento più omogenea, al sentire diffuso. Poi i musicisti, in verità, sono una grande famiglia: quando seguo amici che fanno musica rebetika, come Tasos e soci, c’è sempre uno sguardo comune, una piena comprensione dello stato del musicista. La complicità, la grazia che arriva all’improvviso, il rispetto… sono cose che ti fanno andare avanti, nonostante un certo modo di fare arte sia sempre più difficile e raro.

Che poi non si è mai davvero soddisfatti di quello che si è fatto. Solo raramente si pensa di avere cantato bene.
Anche perché la voce è uno strano animale, che vive nella sua tana, e farla uscire richiede tante diverse arti persuasive.

Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top