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La diplomazia è come il golf: l’importante non è solo evitare le buche, ma soprattutto capire sul green dove si trova il fairway.
Attribuita a un funzionario europeo dopo un colpo sbagliato… diplomaticamente parlando Gleneagles, Scozia. L’incontro ad alta tensione tra Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, e l’ex presidente statunitense Donald Trump si è aperto in un clima surreale. Mentre i funzionari europei illustravano i dossier tecnici allestiti con settimane di preparazione, il leader americano ha fatto il suo ingresso con oltre un’ora di ritardo, reduce da una partita di golf conclusa “a meno due sul par”, come ha lui stesso precisato con orgoglio. Una digressione che ben rappresenta lo stile e la sostanza dell’interlocutore: rilassato in apparenza, ma deciso a dettare le condizioni in ogni foro negoziale.
Tema centrale della riunione: i dazi commerciali.
La Commissione Europea è arrivata al tavolo con l’intento chiaro di disinnescare la minaccia imminente dell’aumento delle tariffe statunitensi sulle merci europee. Dal 1° agosto, l’amministrazione Trump ha annunciato l’intenzione di applicare un dazio del 30% su tutte le importazioni provenienti dall’Unione Europea. Questo rappresenterebbe un’escalation rispetto alla struttura attuale, che prevede aliquote già molto elevate: fino al 50% su acciaio e alluminio, 25% sul comparto automobilistico e 10% su una vasta gamma di beni industriali e agricoli.
L’Unione Europea, da parte sua, ha messo sul tavolo una proposta articolata: una tariffa unificata al 15% su quasi tutte le categorie merceologiche, con alcune esenzioni negoziabili per settori sensibili. È il tentativo di ricondurre l’intero sistema tariffario a un livello prevedibile, gestibile e in linea con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. L’approccio europeo mira anche a evitare una guerra commerciale che danneggerebbe entrambe le economie, in un momento in cui le catene del valore transatlantiche sono già sottoposte a stress strutturali.
Il pacchetto europeo prevede quattro linee d’intervento principali.
La prima riguarda la transizione energetica e i sussidi green: Bruxelles vuole evitare sovrapposizioni distorsive tra l’Inflation Reduction Act americano e il Green Deal europeo. In secondo luogo, la Commissione propone un meccanismo di coordinamento tariffario tra i due blocchi, per garantire parità di trattamento nel commercio di beni critici come semiconduttori, batterie, veicoli elettrici e tecnologie emergenti. Il terzo fronte tocca le filiere agroalimentari, con particolare attenzione all’equilibrio tra protezione del mercato interno e accesso equo alle produzioni europee. Il quarto, infine, riguarda l’intelligenza artificiale e la regolamentazione delle piattaforme digitali, temi che pur non essendo strettamente tariffari hanno ricadute dirette sulla competitività.
Trump ha ascoltato la proposta con cortese distacco.
Il leader americano ha lasciato intendere che il livello minimo accettabile per la sua amministrazione è proprio il 15%, e ha escluso qualsiasi ipotesi di esenzione per la farmaceutica e l’agroalimentare, definiti “settori strategici per il popolo americano”. Trump ha ribadito che “la protezione dell’industria americana viene prima di ogni cosa”, suscitando una reazione composta ma visibilmente contrariata da parte della delegazione europea, consapevole del rischio che una tale impostazione possa compromettere anni di cooperazione economica.
Nel caso in cui l’accordo non venga raggiunto, l’Unione Europea è pronta a reagire.
Secondo fonti interne, la Commissione ha predisposto una lista dettagliata di beni statunitensi – per un valore complessivo di circa 100 miliardi di euro – sui quali potrebbero essere applicate contromisure tariffarie simmetriche. Tra questi figurano prodotti iconici come bourbon, motociclette, succo d’arancia, jeans, aeromobili, apparecchiature tecnologiche e beni agricoli. Le misure resterebbero congelate fino al 7 agosto, data ultima fissata da Bruxelles per ottenere un’intesa accettabile.
Il rischio di escalation è reale.
Non si tratta di una mera esercitazione diplomatica. Le tensioni commerciali tra Washington e Bruxelles sono già esplose nel recente passato, in particolare durante il primo mandato Trump, quando i dazi su acciaio e alluminio furono giustificati come misura di sicurezza nazionale. Tali provvedimenti sono ancora oggetto di contestazione presso l’OMC e sono stati dichiarati illegittimi da una sentenza della corte federale americana nel maggio 2025. Tuttavia, l’amministrazione Trump ha presentato ricorso, mantenendo operative le tariffe grazie a una sospensione cautelativa.
Il dossier più delicato resta quello automobilistico.
La Germania, in particolare, spinge per una riduzione delle tariffe al 15%, ma gli Stati Uniti pongono condizioni stringenti: localizzazione della produzione, contenuti minimi americani e accesso garantito per le auto USA al mercato europeo. Per Berlino, Parigi e anche Roma, questa è una linea rossa. L’industria dell’auto non può permettersi un aumento dei costi doganali del 25 o 30% sui componenti e sulle esportazioni. Si moltiplicano, intanto, le pressioni da parte dei produttori europei, che temono di perdere terreno sui mercati globali.
Anche l’agenda multilaterale è in gioco.
Von der Leyen ha insistito sulla necessità di rafforzare le istituzioni multilaterali e di rilanciare una riforma profonda dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, chiedendo a Trump di abbandonare l’approccio bilaterale punitivo in favore di un sistema di regole condivise. La replica americana è stata evasiva. Il messaggio tra le righe è che gli Stati Uniti sotto la guida Trump preferiscono trattare paese per paese, secondo una logica transazionale e sovrana. Per l’Europa, abituata alla forza del diritto, si tratta di un cambio di paradigma difficile da digerire.
Intanto la Cina gongola.
Nel frattempo, a Pechino, le autorità osservano con crescente soddisfazione l’impasse negoziale transatlantica. L’escalation dei dazi tra Stati Uniti e Unione Europea crea un’opportunità di rafforzare la propria posizione come hub commerciale alternativo. La Cina ha già annunciato programmi di espansione delle sue esportazioni verso entrambi i blocchi, approfittando della frammentazione commerciale per ampliare la propria quota di mercato in Europa e America. Non solo: le tensioni transatlantiche indeboliscono anche la coesione geopolitica occidentale, un effetto che Pechino sfrutta abilmente nelle sue strategie di lungo termine.
Lo scenario resta aperto.
Non sono previsti comunicati ufficiali fino alla chiusura dei lavori. Ma già si può affermare che il vertice scozzese rappresenta un passaggio cruciale per le relazioni economiche transatlantiche. Se si arriverà a un’intesa sulla tariffa unica del 15%, con deroghe limitate e reciproche, si potrà forse evitare lo scontro frontale. In caso contrario, l’UE dovrà decidere se accettare condizioni penalizzanti o inaugurare una nuova stagione di ritorsioni.
In conclusione, la diplomazia europea, ancora una volta, si trova a giocare in trasferta. Trump, con la sua strategia da match play, ha spostato il baricentro del confronto. Ma l’Europa, forte della sua coesione interna e della sua massa economica, ha ancora carte da giocare. E anche se il campo è il suo, l’ex presidente potrebbe scoprire che nel gioco delle relazioni internazionali il par non basta. Serve visione, e soprattutto rispetto delle regole.
Carlo Di Stanislao