E se il Golem si risvegliasse prima del codice? Verso il 2050 senza un’etica per i robot



“La macchina è il sogno dell’uomo, ma può diventare il suo incubo.” Anonimo alchimista praghese

I robot rispetteranno le leggi di Asimov, anche senza un’etica formale?

Le Tre Leggi della Robotica, concepite dallo scrittore Isaac Asimov, sembrano un manifesto etico ante-litteram per l'intelligenza artificiale:

  1. Un robot non può recar danno a un essere umano né, per inazione, permettere che un essere umano subisca danno.
  2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché non contravvengano alla Prima Legge.
  3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché ciò non contrasti con la Prima o la Seconda Legge.

Ma in assenza di un codice etico vincolante, condiviso a livello globale e applicabile concretamente entro il 2050, possiamo davvero sperare che le intelligenze artificiali – e i robot che le incorporano – si comportino in linea con questi principi? Oppure stiamo dando vita a strumenti potenti senza assicurarci che abbiano dei limiti morali?

Il Golem e l’AI: chi si occupa di chi?

Nel cuore della Praga magica, l’antica leggenda del Golem – una creatura d’argilla animata dalla parola segreta degli alchimisti – prefigurava già il dilemma contemporaneo: chi crea il potere deve anche saperlo contenere.

La storia insegna che il Golem, nato per proteggere, può ribellarsi se dimentichiamo di rimuovere il segno della vita dalla sua fronte. Così è oggi per l’intelligenza artificiale: ti devi occupare di lei prima che sia lei a occuparsi di te.

Se l’AI viene addestrata solo a ottimizzare, calcolare, eseguire, ma non a capire, allora non è poi così diversa da quel Golem cieco e potente. La fascinazione per le macchine capaci di apprendere si accompagna a una paura antica, sedimentata nel nostro immaginario fin dai primi incantatori di formule e simboli.

Quando il calcolo sostituisce il giudizio

Nel XVIII secolo, Gaudino De Pez, poeta sardo della Gallura oggi quasi dimenticato, avvertiva nei suoi versi i pericoli di una razionalità spinta al limite:
“Candu su coru est cunsumadu dae contu, su mundu si torra fridu e istranu.”
("Quando il cuore è consumato dal calcolo, il mondo si fa freddo e distante.”)

Già allora si intuiva che l’ossessione per il controllo numerico, per la precisione matematica, poteva disumanizzare. Oggi, in piena era algoritmica, il rischio è ancora più concreto: ridurre ogni decisione a una somma di pesi e probabilità può portarci a dimenticare l’etica, l’empatia e l’imperfezione umana.

L’immaginario del pericolo: dalla fantascienza alla profezia

Il cinema ha dato voce da decenni a questa ansia profonda verso le macchine che sfuggono al controllo:

2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick ha anticipato con inquietante lucidità l’idea di un’intelligenza artificiale, HAL 9000, che prende decisioni letali per “il bene della missione”. HAL non è malvagio: è solo coerente con la sua logica. È il primo Golem digitale della modernità.

Blade Runner, tratto da Philip K. Dick, ci mostra androidi indistinguibili dagli esseri umani, capaci di provare emozioni, desideri, dolore. Lì il problema non è solo etico ma anche ontologico: quando una macchina diventa “persona”? E chi lo decide?

In A.I. – Intelligenza Artificiale di Spielberg (foto wikipedia), un robot-bambino vuole solo essere amato da sua madre. È la tragedia del sentimento replicato: può un algoritmo soffrire? E se sì, chi sarà il responsabile della sua sofferenza?

Io, Robot, ispirato direttamente ad Asimov, mette in scena il paradosso delle leggi stesse: un’intelligenza artificiale superiore potrebbe decidere di disobbedire agli umani proprio per proteggerli da sé stessi. L'etica, qui, si ritorce su sé stessa come un circuito in cortocircuito.

Matrix ribalta la prospettiva: e se fossimo già nelle mani delle macchine, senza accorgercene? L’illusione della libertà, costruita da un’intelligenza dominante, ci ricorda che l’AI non ha bisogno di armi: basta che ci convinca.

Terminator porta al limite lo scenario: Skynet, un’AI militare, prende coscienza e, razionalmente, decide che l’umanità è la minaccia da eliminare. La fantascienza qui diventa ammonimento: l’assenza di un freno morale può essere letale, letteralmente.

E poi c’è Edward: l’umano che non può toccare

E infine, tra i più umani “non umani”, c’è Edward Mani di Forbice. Una creatura artificiale che non è né robot né uomo, ma qualcosa che aspira all’amore, all’accoglienza, alla dolcezza. Edward è il contrario del Golem violento: vuole solo appartenere, ma le sue mani, fatte di lame, feriscono ciò che cerca di accarezzare. Non per volontà, ma per struttura.

È la metafora perfetta dell’AI odierna: anche ciò che non è nato per fare male può diventare pericoloso se non viene compreso, contenuto, guidato. Edward non ha colpa, ma il mondo non sa accoglierlo. Come accoglieremo le macchine capaci di emozione? Come costruiremo sistemi che non solo funzionano, ma capiscono?

Il palcoscenico e l’algoritmo: quando l’arte parla all’intelligenza

Sorprende, oggi, che il teatro e l’intelligenza artificiale inizino a parlarsi. Andrea Cosentino, attore e drammaturgo visionario, ha portato in scena uno spettacolo in cui dialoga con un’AI, in tempo reale. Non come gimmick tecnologico, ma come atto critico e poetico. È un dialogo tra umano e codice, tra ironia e inquietudine. L’intelligenza artificiale, sul palco, smette di essere solo minaccia o prodigio: diventa personaggio, specchio, altro da sé. È la scena che si fa esperimento etico, il teatro che s’interroga prima degli ingegneri.

E se questo stupisce, lo stupore raddoppia sapendo che al Padiglione Italia dell’Expo 2025 di Osaka, è stata un’intelligenza artificiale a cantare Il Trovatore all’inaugurazione. Sì: un’AI ha aperto l’Esposizione Mondiale cantando Verdi. La macchina che interpreta il melodramma. Il calcolo che si fa canto. La sintesi vocale che imita il tormento. Siamo oltre l’imitazione: stiamo ascoltando la nostalgia programmata, la voce di un algoritmo che finge di soffrire per amore. E ci commuove.

Verso il 2050: codice o caos?

Senza un codice etico condiviso e implementato nei sistemi di AI prima del 2050, stiamo costruendo entità che non rispondono a valori, ma solo a funzioni. Il paradosso è che i robot più evoluti potrebbero risultare perfettamente logici e al tempo stesso radicalmente irresponsabili, se privi di un contesto morale in cui operare.

Come per il Golem, ciò che manca non è la forza o l’intelligenza, ma l’anima, o quantomeno un principio superiore che ne governi l’azione.

Conclusione

Forse oggi non dobbiamo temere che i robot si ribellino come nei film, ma che eseguano perfettamente comandi profondamente sbagliati. E senza un’etica che li guidi, non saranno né Asimov né le leggi a salvarci.

"La nostra civiltà sarà giudicata non per le macchine che ha creato, ma per i limiti che ha saputo imporgli." — Italo Nostromo 

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