“Sì, ho la sensazione di aver sprecato la mia vita. Il prezzo che si paga, il vedere la propria figura in una specie di immagine fissa per cui attaccarti, essere bersaglio, diventare simbolo, di fatto impedisce la possibilità di libertà. Ho patito molto anche per le conseguenze che la mia famiglia ha dovuto subire per le mie scelte, anche questo constante massacro che ormai viene considerato ordinario, non riguarda solo me, sia chiaro, chiunque si espone, prende posizione, chiunque sa che sarà critico verso il potere, paga un prezzo che un’artista o uno scrittore non dovrebbe pagare mai: la libertà di poter scrivere. La differenza tra democrazia e regime è questa: poter avere una posizione, questa è la democrazia, e non pagarne le conseguenze. Nei regimi, invece, quando hai una posizione politica ne paghi le conseguenze, sul lavoro, sulla libertà di espressione, ti portano in tribunale. Sprecare la vita significa aver speso gran parte della tua vita in un’immagine, in un ruolo, che o sei quello o non sei, su cui vieni valutato, giudicato. Qualunque scelta tu faccia, se sbagli stai compromettendo gli impegni della tua vita. Essere costretto ad avere una reputazione è un orrore per un artista, uno scrittore non deve avere reputazione. Invece dossier, macchina del fango, continue attenzione, tentativi costanti. Come i giornalisti spiati di Fanpage. Chi non ha reputazione vince. Se tu hai una reputazione, ma peggio della reputazione, se hai l’onore, perché la reputazione è ciò che gli altri pensano di te, l’onore è ciò che tu pensi di te stesso, nel momento in cui ce l’hai te la distruggono. Non hai possibilità di uscirne anche se vivi nel modo più disciplinato. Infatti vince chi non ha reputazione. Se qui inizi a dire una valanga di fesserie, di attaccare, di dire qualsiasi idiozia, di fare gossip e farlo passare per un’inchiesta e viceversa, qualunque cosa tu possa dire non hai reputazione, quindi nessuno ti può togliere il tuo lavoro. E, nella società in cui conta quanto sei virale, non la qualità del tuo messaggio ma quanti click hai fatto, questo cambia tutto. Allora penso di aver sprecato la mia vita perché dico “Quanto altro si poteva fare? Quanta altra vita io potevo avere, invece di essere rinchiuso?”, quando il governo ti dice “La scorta è superflua”, quando Salvini era Ministro degli Interni. Ma se è superflua perché io vivo così da quasi vent’anni? Perché la mia famiglia vive così? Il processo contro i boss che mi hanno minacciato dura da 16 anni. Quanto avrei fatto meglio a cambiare? E non l’ho fatto per mia responsabilità. Nessuno mi ha obbligato, è la mia ambizione, perché io ho creduto che con le mie parole potevo cambiare le cose, ci ho creduto fino in fondo. E alla fine? Alla fine sono che mi prendono e mi rinchiudono nella stanza. Appena io ti lascio sono chiuso in una stanza, non è responsabilità di nessuno, è mia, sono io che ho voluto fare questa battaglia, sono io che mi sono distrutto la vita quindi non do la colpa a nessuno, solo che sto cercando di metterla in ordine per trovare una soluzione”. Così Roberto Saviano, ospite a Che tempo che fa di Fabio Fazio sul NOVE.
Sull’amore e il buon senso: “Dalla storia del mio libro ho cercato di imparare qualcosa e cioè che bisogna dare nome alle cose. L’amore come atto ribelle, libertario, dissidente, è una pratica in cui voglio stare. E anche l’insegnamento che mi ha lasciato Michela Murgia, “Sii libero”, la possibilità di mantenere la propria libertà, la propria differenza è l’eredità più grande che puoi lasciare. Quello che è difficile è continuare in una sensazione di solitudine, che non è reale perché sai che accanto a te ci sono molte persone… Ma poi? Sei solo. Quando sei in tribunale sei solo, quando sei continuamente costretto a dover ragionare su una battaglia di tutti con tutti, ognuno di noi è in una battaglia che fa da solo, la battaglia dei numeri, la battaglia per farsi leggere, la battaglia del quando ti dicono “Ma perché non parli di questo?”, che significa, sono l’unico? No. La solitudine è il prezzo più alto da pagare quando decidi di scegliere, di mettere il corpo nella tua battaglia”.