(trailer) Con I Grotteschi, il regista Rafael R. Villalobos (curatore anche dei costumi e della scenografia) compie una vera impresa artistica: cucire insieme frammenti tratti da tre capolavori monteverdiani (L’Orfeo, Il ritorno d’Ulisse in patria e L’incoronazione di Poppea) in un’unica drammaturgia organica, coesa e sorprendentemente fluida.
È difficile immaginare che queste musiche siano nate per contesti e tempi tanto differenti: grazie alla visione registica, tutto si fonde in un racconto compatto, come se fosse un’opera concepita unitariamente sin dall’origine.Il dispositivo scenico – un doppio plateau rotante, ricco di dettagli simbolici e ambientazioni kitsch con punte di raffinatezza visiva – riesce a restituire perfettamente il senso claustrofobico e decadente di questa saga familiare grottesca e paradossale. Ogni spazio, ogni movimento meccanico della scena, contribuisce alla narrazione, in un continuo gioco di specchi e riferimenti alla modernità trash, senza mai scivolare nel gratuito.
Sul versante musicale, la direzione di Leonardo García-Alarcón è un tripudio di energia, controllo e passione. Alla guida della sua Cappella Mediterranea, l’ensemble storico straripante di colori e timbri antichi, il maestro scolpisce con precisione ogni frase, sa quando esaltare la teatralità e quando lasciare spazio al silenzio eloquente. L’equilibrio dinamico tra strumenti e voci – nonostante qualche inevitabile amplificazione per coprire le distanze sceniche – è generalmente ben calibrato.
Nel cast spicca il controtenore Xavier Sabata nella parte di Esperienza, una governante/nutrice dal cuore grande e dalla morale elastica. La sua interpretazione è un tour de force attoriale e vocale: accogliente, ironica, dolente – un vero perno emotivo dello spettacolo. Commuove e diverte con uguale intensità.
Mark Milhofer, nei panni del patriarca Melancolia (alias Orfeo), offre un ritratto teneramente folle di un vecchio smarrito nei suoi ricordi. La sua voce, intrisa di malinconia e fragilità, riesce a toccare corde autentiche, anche nei momenti più grotteschi.
Jérôme Varnier, in Sapienza (Sénèque), impressiona con la sua voce profonda e autorevole, incarnando la saggezza disillusa e destinata al sacrificio. La sua uscita di scena nel primo atto – la morte della cultura stessa – lascia il segno.
Jeremy Ovenden, che interpreta Coraggio (Ulisse), padroneggia il difficile equilibrio tra presenza scenica intermittente e risvegli allucinati, con raffinatezza e misura. Anche nei suoi interventi più brevi, lascia un’impronta drammatica forte.
Infine, la mezzosoprano Raffaella Lupinacci, in Virtù, si distingue per intensità emotiva e una vocalità incisiva, dando spessore a un ruolo inizialmente marginale ma sempre più centrale nello sviluppo dell’intrigo.
Capriccio, il figlio minore, si dibatte tra il rigore inflessibile di Sapienza e l’attrazione ardente che prova per Impazienza. Figura sfuggente, è al tempo stesso ingenuo e già pervaso da inquietudini più oscure. La voce del controtenore Federico Fiorio, chiara, flessibile e ricca di sfumature, restituisce con grazia questa tensione interiore: il timbro etereo e ambiguo si accorda perfettamente alla fragilità acerba del personaggio, sostenuta da una linea di canto agile e ben scolpita. La sua interpretazione, sospesa tra leggerezza e minaccia, suggerisce l’imminenza di una caduta, in cui si intravedono già tratti di potere in formazione e una nuova, sotterranea autorità.
Privilegio, interpretato dal tenore lirico Matthew Newlin, è l’erede designato, il fratello maggiore, e incarna un’autorità trasmessa per lignaggio che esercita con crescente durezza. La sua vocalità, ampia e scolpita con cura, sfoggia una certa inclinazione belcantista, arricchita da ornamentazioni raffinate. Il suo legame con Fortuna si sviluppa secondo un gioco di potere in progressivo squilibrio, che lo conduce verso un isolamento sempre più marcato: anche la voce, inizialmente sicura e affermativa, si incrina gradualmente, lasciando emergere una vulnerabilità più intensa e drammatica.
Fortuna, impersonata dal soprano Giulia Semenzato, è la sorella di Privilegio e sua amante, animata da un’irrefrenabile ambizione sociale. Decisa a emergere, fa leva tanto sul fascino quanto su una presenza vocale incisiva. La sua voce, di una chiarezza cristallina, si distingue per nitidezza e precisione, con un fraseggio tagliente e controllato che rivela una mente calcolatrice e determinata. Con la sua emissione rapida e tagliente, Fortuna non lascia dubbi sulle sue intenzioni: pronta a tutto pur di affermarsi.
Con I Grotteschi, Monteverdi si reinventa: Villalobos e García-Alarcón offrono una visione provocatoria, ma mai gratuita, dove ogni elemento – visivo, musicale, narrativo – è parte di un mosaico coerente, beffardo e tragicamente umano. Un’opera barocca per il nostro tempo, che guarda al passato solo per far esplodere il presente.
Foto: © Matthias Baus