MATTEO LANCINI SUGLI ADOLESCENTI E I SOCIAL, SULLA VIOLENZA E SULLA NECESSITÀ DI ASCOLTARE LE EMOZIONI DEI FIGLI



“La pervasività di una società online non l'hanno creata i ragazzini. Teniamo conto che quello che io dico sempre è che il sequestro del corpo dei nostri figli è avvenuto prima dell'arrivo dei social e dei videogiochi: vietato il giuoco del pallone, la chiusura dei cortili e dei giardini. Io crescevo e a 10 anni mia madre mi guardava - è vero che c'era meno traffico, ma era una società dove c'erano gli anni di piombo, battaglie politiche, eroina per le strade - e diceva: “è arrivata l'adolescenza, esci e speriamo che tu torni” e non avevi neanche il gettone telefonico. Noi li abbiamo sequestrati e io credo che su questo li dovremmo educare a una società che abbiamo creato noi. Oppure se ci vogliamo lavare la coscienza diciamo che è tutta colpa dei social, ma non è così”.

“Non deve essere una giustificazione di niente, nel senso che poi come sappiamo soprattutto in questi fatti la giustizia che interviene è quella migliore ed è quella che dà anche, come dire, una possibilità non solo di punire ma di dare una nuova speranza a chi commette (violenza). Quindi non è una giustificazione, il problema è che questa (violenza) ha sempre a che fare con delle emozioni che in adolescenza, da giovane adulto, se tu non riesci a trasformare in parola, in simbolo noi diciamo, e poi in linguaggio, in relazione, esplodono violentemente. Dopodiché è chiaro che il fatto non porta che a dire: “qui c'è una natura cattiva”. Io che mi occupo di questo dolore e conosco molte di queste situazioni, so che le emozioni che non trovano altro canale comunicativo, in adolescenza rischiano di esplodere. Esplodono contro di sé o contro gli altri”

“Io parto da questo discorso: mio nonno faceva i figli e aveva un mandato diciamo verticale, “lavora e fai i figli”, mia nonna non avesse fatto i figli sarebbe stata definita una zitella” “Noi tutti, in realtà, decidiamo di avere figli, li vogliamo molto di più, li amiamo molto di più e gli chiediamo di sottoscrivere un patto alle origini che è molto diverso. Non è quello della distanza, è quello della comprensione reciproca. Però siamo anche un po’ stanchi e un po’ presi dalla nostra vita e quando questo ascolto fa emergere delle emozioni che ci disturbano - che di solito non sono né la gioia né quando un figlio va a nuotare - ma la paura, la tristezza, la rabbia, li mettiamo a tacere perché sono delle emozioni che ci lasciano interdetti, perché ci chiederebbero di impegnarci nuovamente, perché ci chiedono di dire: “ma come… io ti ascolto molto di più di quanto sia stato ascoltato io o di quanto sia stato ascoltato mio padre… La tristezza e la rabbia fanno parte della vita, le abbiamo avute tutti dentro. Il problema è come mai oggi fatichiamo così tanto a fargliele legittimare, secondo me. Diciamo così, la superficialità di cui sono accusati gli adolescenti non deriverebbe, lo dico anche come padre, dal fatto che sono superficiali, ma dal fatto che quando esprimono queste emozioni noi gli diciamo: “non è possibile”. Io faccio sempre l'esempio del clown, nessuno mi voglia male: un bambino va a una festa accompagnato dal papà, c'è il clown e dice: “il clown mi fa malinconia” e tu gli devi dire in una visione ormai di gioia, di positività: “no, il clan è buono”. Perché vorrebbe dire andare via, cambiare il programma, non bere lo spritz con gli altri padri. Queste emozioni noi sempre più spesso le silenziamo. Una volta non le cercavi nella relazione coi genitori, oggi le cercano”


Fattitaliani

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