Niko Cutugno, figlio di Toto Cutugno nato da una relazione extraconiugale, è l’ospite della nuova puntata di One More Time (OnePodcast), il podcast di Luca Casadei, disponibile da oggi, venerdì 21 marzo, su OnePodcast e su tutte le principali piattaforme di streaming audio.
Il ragazzo, oggi 36enne, si racconta ai microfoni di Luca Casadei ripercorrendo la sua infanzia trascorsa per la maggior parte del tempo nella totale inconsapevolezza di essere figlio del celebre cantante. Si sofferma sul momento in cui ha scoperto chi fosse realmente suo padre, sui ricordi che ha di lui, ma anche sul brutto periodo della malattia che lo ha portato alla morte nel 2023. E infine racconta dei diari del padre su cui sta scrivendo un libro e che lo fanno sentire vicino a lui, ora che non c’è più.
Sui primi anni della sua infanzia «Per la maggior parte della mia vita ho avuto la percezione di essere il frutto di un tradimento. Per i primi sette anni, io inconsapevole, ho portato il cognome solo di mia mamma. Conoscevo il suo vero nome che era Salvatore. Non credo che mi avessero detto Toto per evitare che in qualche modo ci potessero essere dei deragliamenti rispetto al piano di segretezza che avevano, diciamo, deciso di perpetrare. Ero in macchina con mio papà, avevo forse sette anni, una cosa del genere, e in radio di punto in bianco passano un suo brano. Questa voce che usciva dalla radio, mi ricordo un po’ un senso di: “c’è qualcosa che non quadra”, perché comunque ce l’avevo seduto a fianco. Ebbi la sensazione che rimase tipo in silenzio, quasi pietrificato, come se si stesse nascondendo per paura di essere scoperto in sostanza».
Su quando esce sui giornali la notizia della sua esistenza «Scattano queste foto di nascosto di me e papà che giochiamo nel cortile di casa. Questo ha dato vita a uno sconvolgimento, almeno temporaneo, delle sue certezze, perché ha dovuto scegliere se farlo emergere e farlo scoprire, diciamo, non solo a sua moglie, ma tutto il suo mondo lavorativo. Nessuno lo sapeva. Il giorno prima che uscisse questo giornale, è andato dalla moglie e le ha raccontato tutto. In quel momento sembrava che fosse cascato il mondo, almeno il suo mondo. La moglie è rimasta sconvolta da questa notizia, ma ha esortato mio papà a riconoscermi perché lei, a sua volta, da bambina aveva vissuto una storia molto simile con il padre. Lui, comunque, per recuperare il rapporto con la moglie, disse appunto che la relazione con mia mamma si era interrotta quando non era vero».
Su quando ha scoperto la vera identità di suo padre «Me lo disse il mio bisnonno: “tuo padre è Toto Cutugno”. C’era una settimana enigmistica con lui in copertina e ha detto: “questo è tuo padre, è un cantante famoso. È una persona che tutti conoscono”. Mi ricordo proprio questa stanza e questo senso di confusione. Non posso dire di aver avuto un’infanzia finta, ma comunque una grossa parte della mia identità era nascosta».
Sulle molteplici relazioni del padre «Mio papà era una persona estremamente controllante, narcisista, era molto possessivo. Non ha mai accettato l’idea di essere lasciato. A un certo punto nella vita di mia mamma è subentrato un altro uomo: lei non avrebbe dovuto avere altre relazioni, mentre lui ne aveva durante il loro rapporto. Mamma andò in depressione, era un continuo e nemmeno con troppo impegno nel nasconderlo. (…) Lui era un maestro in termini di bugie. Amava usare la bugia per l’adrenalina che gli dava l’essere scoperto. Aveva costruito questo mondo parallelo grazie alle bugie, che in questo caso diceva alla moglie, ma si serviva di questo strumento anche quando non era necessario. Non è mai stato violento fisicamente, ma io ho conosciuto violenza verbale e paura, incuteva proprio timore. Vivevamo in un regime di terrorismo psicologico, dove avevi paura a fiatare».
Sulla malattia «Era agosto del 2023 e mi hanno detto: “guarda che tuo papà è giallo”. Dopo un mese, è risuccessa la stessa cosa e l’ho accompagnato io all’ospedale. Quella è stata una notte tosta perché poi il dottore ha detto: “abbiamo fatto un’ecografia all’addome e c’è una macchia”. Era il 1° agosto, il 22 se n’è andato: era un uomo che non aveva più voglia, si capiva che voleva andarsene (…) Sono arrivato in ospedale, ero da solo, sono stato il primo. Mio papà era già in coma. Ricordo proprio quell’ora in cui siamo stati in camera da soli, gli ripetevo mentalmente un mantra: “ti amo, mi spiace, perdonami, grazie”. Lui mi stringeva la mano e a un certo punto si è commosso. Questa è la mia interpretazione, non so se sia un’inesattezza scientifica, ma la sensazione che ho avuto è che mi sentisse. Sentivo questo suo respiro sempre più affannato. Quando è arrivato l’ultimo, nella stanza è scoppiato un grido di dolore, ma dentro di me si è sprigionata una pace che non avevo mai sperimentato. Ho sentito proprio che sapevo esattamente dov’era, che non era più lì e che stava bene».
Sui diari del padre su cui sta scrivendo un libro: «Nel 2016-17 mi ha regalato questo borsone pieno di diari che coprono dal 1980, io li ho fino al 2019. In quest’ultimo periodo ho utilizzato finalmente questi diari per scrivere un libro e rimanevo a toccare le pagine, a vedere se c’erano dei resti della gomma da cancellare. Il fatto di pensare che quella pagina era stata toccata e poi mai più aperta fino a che non l’ho ritoccata io, soprattutto adesso che non c’è più, è una cosa impagabile. In quei diari ci sono anche suoi piccoli segreti, confessioni che lui fa a se stesso, sempre celate dalla paura di essere scoperto».
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